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IL CASO: “Sgallettata con la fissa per lo scoop”, la giornalista Adele Fortino condannata dalla Cassazione ma “punita” dalla Nemesi storica. La clemenza mal riposta per la collega Palmira Mancuso e l’accanimento inutile contro il docente universitario Mauro Federico

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Palmira Mancuso e Adele Fortino

“Sgallettata”: c’è in Italia qualcuno che imbattendosi in simile aggettivo avrebbe pensato a cosa diversa da un galletto, a chi si muove come un galletto baldanzoso, vivace e vispo, declinato al femminile, secondo quella che è la primaria definizione che danno tutti i dizionari d’italiano?

E c’è qualcuno che all’espressione “con la fissa per lo scoop”, che seguiva l’aggettivo “sgallettata”, avrebbe pensato all’organo genitale femminile, invece che a fissazione, ossessione?

Forse pochissimi sulla penisola. Tra questi, cinque giudici della Corte di Cassazione.

Per loro, che hanno privilegiato il significato scherzoso o volgare del termine riportato nei dizionari, sgallettata vuol dire “donna che ostenta la propria sensualità in modo sguaiato”.

Questa interpretazione è costata alla giornalista messinese Adele Fortino, autrice dello scritto in cui aveva usato tal espressione nei confronti di una collega, la condanna definitiva per diffamazione.

Persona offesa (ora ristorata) la giornalista Palmira Mancuso, direttrice della testata www.messinaora.it  e alle ultime elezioni candidata a consigliere comunale in una delle liste a sostegno del sindaco uscente Renato Accorinti.

A leggere le carte della vicenda, la Fortino però più che della sua penna disinvolta e della sfortunata (per lei) interpretazione dei giudici con l’ermellino è stata vittima di quella che i greci chiamavano Nemesi storica.

Una sorta di punizione per un’ingiustizia (o un errore) commesso in precedenza da propri familiari.

Eh si. Proprio così.

I mirabolanti scoop all’origine della vicenda

La pugnace giornalista infatti non si sveglia una mattina del mese di dicembre del 2014 con la luna storta e se la piglia così a caso con la prima persona che le viene a tiro.

Impugna la penna, o meglio scarica sulla tastiera del pc la sua ira, appena scopre che Palmira Mancuso ha pubblicato un servizio sul marito, il docente universitario Mario Centorrino, morto ormai da 5 mesi in Trentino Alto Adige mentre si trovava con lei in vacanza.

Cosa aveva scoperto la direttrice di www.messinaora.it. di così sensazionale?

In anteprima, il 2 dicembre del 2014, aveva rivelato l’esistenza di un giallo sul decesso di Centorrino, che vedeva come protagonista “negativa” la stessa Fortino.

Quest’ultima – a leggere l’articolo – da un lato, non si rassegnava all’archiviazione delle indagini per accertare un caso di malasanità ai danni del marito e quindi commissionava consulenze di parte e inoltrava richieste di autopsia all’autorità giudiziaria, mentre dall’altro sul suo blog dava notizia che il corpo del congiunto fosse stato cremato.

Lo scoop, smentito dalla stessa logica e denigratorio della Fortino dipinta in sostanza come una folle, si basava sullo sfasamento temporale nella ricostruzione dei fatti: le istanze della moglie erano immediatamente successive al tragico evento e precedenti alla cremazione.

Adele Fortino avrebbe potuto limitarsi a querelare la redattrice dell’articolo, invece le venne in mente l’epiteto “sgallettata” e non riuscì a tenere a freno i polpastrelli.

Anche perché non fu solo questo scoop a farla schiumare di rabbia.

Al peggio non c’è mai limite

Non era la prima volta, infatti, che occupandosi di Mario Centorrino, Palmira Mancuso scambiava lucciole per lanterne.

Insomma, era recidiva “fissata” (rectius, ossessivamente concentrata) con l’ex assessore comunale e regionale.

Solo 8 mesi prima era incorsa in uno dei più gravi infortuni che possano capitare a un giornalista: dare la notizia dell’arresto di una persona neppure indagata.

“Inchiesta formazione: ai domiciliari l’assessore regionale Mario Centorrino”, titolò il 19 marzo del 2014.

Un infortunio cui cercò di rimediare dopo circa un’ora con una rettifica e pubbliche scuse che comunque non gli avrebbe evitato una sicura condanna penale e un inevitabile e importante risarcimento dei danni.

Tuttavia, Mario Centorrino fu magnanimo.

Non domandò giustizia e graziò la Mancuso, contro la quale non propose querela penale.

La “fissa” per il collega Mauro Federico

Fu, in compenso, molto duro e ostinato nei confronti del suo collega di ateneo Mauro Federico.

Che c’entra Federico, ci si chiederà?

Docente di fisica e attuale membro del Senato accademico dell’ateneo di Messina, Federico prendendo per buona la notizia degli arresti di Centorrino letta su www.messinaora.it vergò un duro commento pubblicato (per 20 minuti) sul sito dell’Andu, l’Associazione dei docenti universitari, di cui era segretario.

Con esso si rivolse all’allora rettore Pietro Navarra perché, visti gli arresti, chiedesse le dimissioni del docente, già in pensione ma titolare di alcuni incarichi in organi universitari.

Aspro ma legittimo esercizio del diritto di critica fondato sulla notizia (falsa, data dalla Mancuso) ma ritenuta vera dal lettore Federico.

Il professore Centorrino al commento di Federico reagì duramente: chiese subito al rettore di irrogargli una sanzione disciplinare. Navarra in quattro e quattro otto lo adottò pure: “Censura”, sancì.

Nel tempio della cultura e delle libertà veniva sanzionato un docente peraltro sindacalista colpevole di aver espresso la sua opinione sulla base di una notizia (grave) pubblicata da una testata giornalistica registrata al Tribunale, benché secondo la pacifica giurisprudenza sarebbe andato esente da responsabilità penale.

L’incidente politico era già dietro l’angolo. Un gruppo di docenti elaborarono un documento a sostegno di Federico.

Dopo qualche giorno, il rettore Navarra fece dietrofront ma salvò (in apparenza) la faccia: la revoca della sanzione fu infatti presentata come clemenza.

A quel punto, Centorrino nonostante le pubbliche scuse del collega si recò in Procura: la Mancuso no, ma Mauro Federico andava punito.

Qualche mese dopo, ad agosto del 2014, il professore di economia, morì improvvisamente.

Il figlio Marco, anch’egli professore universitario e all’epoca delegato del rettore Navarra (ironia della sorte) alla comunicazione, scrisse in Procura per sollecitare il proseguimento dell’inchiesta per diffamazione a carico del ricercatore di fisica.

Mentre le indagini su Federico andavano avanti, a 8 mesi dal suo decesso, ecco il casus belli: Palmira Mancuso prese di mira di nuovo Centorrino (per la seconda volta) e la moglie Adele Fortino, inducendo quest’ultima a definirla “sgallettata con la fissa per lo scoop”.

Baldanzose e soddisfatte rivalse

La Mancuso non ci pensò su due volte e afferrò la palla al balzo. “Grata” per non essere stata querelata da Centorrino (per l’arresto inventato) o forse soltanto smemorata, firmò una bella querela nei confronti della di lui moglie. Uscendo baldanzosa dal Tribunale dopo il deposito la fotografò e la postò su face book: tanto era l’orgoglio.

Adele Fortino, dal canto suo, quando alcuni mesi dopo viene rinviata a giudizio per diffamazione è ancora in tempo a rimediare alla magnificenza del marito, promuovendo (quale erede) contro la Mancuso una causa civile dall’esito scontato per il risarcimento del danno patito per effetto della notizia del falso arresto. O anche per l’articolo (lo scoop) denigratorio del 2 dicembre 2014.

Invece, si limitò a difendersi affidandosi alla sagacia giuridica dell’avvocato Nino Favazzo, che – notizia di queste ultime settimane – non la salvò dalla sentenza di condanna, in cui dei due clamorosi scivoloni della Mancuso, fonte del commento incriminato, non c’è traccia (nella loro reale portata).

Un proscioglimento naturale

Nel frattempo il procedimento a carico di Mauro Federico andò avanti.

Un pm della Procura, Piero Vinci, chiese l’archiviazione sostenendo che la diffamazione c’era ma il fatto era di lieve entità. L’indagato si oppose, chiedendo la più ampia formula liberatoria e il Giudice per le indagini preliminari Maria Militello gliel’accordò,  prosciogliendolo.

La Nemesi

Insomma, il professore Centorrino si “fissò” contro chi aveva esercitato il diritto di critica e non poteva mai essere ritenuto penalmente responsabile, ma fu clemente nei confronti di chi invece lo aveva gravemente diffamato. E che ora, la moglie, “punita” da Nemesi per gli errori di valutazione del congiunto, dovrà pure risarcire.

Tra il serio e il faceto. Il retroscena: Quando il capo supremo dei coronavirus si incontrò in segreto con Cateno De Luca e gli concesse l’immunità di gregge per il tempo necessario a distribuire le uova pasquali

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“Il vostro sindaco vi ordina di stare in casa” e di uscire ma solo a gruppi (possibilmente folti) per ricevere l’uovo di pasqua che lui vi consegnerà personalmente.

Chi ha trovato in questo messaggio qualcosa di contraddittorio o di incoerente non ha capito ancora nulla dell’onnipotenza di Cateno De Luca.

Davvero qualche malpensante alla vista delle immagini del primo cittadino intento a distribuire in vari quartieri della città le uova di cioccolata con la sorpresa dentro attorniato da decine di persone ha potuto pensare che lui, l’uomo che ama i propri cittadini come i figli, ne avrebbe mai messa a rischio la salute?

Che lo avrebbe fatto dopo un mese e mezzo poi di martellante campagna del terrore, al limite dello stalking, con cui ha imposto, da vero sceriffo, limitazioni alle libertà che la legge dello Stato neppure prevedeva?

La salute poi di coloro che soffrono tra l’amianto dentro le baracche (ma con i condizionatori e le antenne paraboliche) per i quali sacrificherebbe la vita?

Ma no! Siamo seri! Mica lui è come i famigerati sciatori contro i quali ha condotto una dura battaglia e istigato una sacrosanta caccia all’untore.

Ci sono cose che gli umani normodotati, i criticoni dei social, quelli che “De Luca è la causa di tutti i mali”, quelli che si indignano a corrente alternata, non sanno; neppure immaginano. E che il primo cittadino non può rivelare per comprensibile riserbo.

Allora, a scanso di equivoci, in modo da evitare che intervenga di nuovo il Garante dell’infanzia (il vescovo Giovanni Accolla no, lui le labbra le scolla solo se a De Luca sfugge qualche parolaccia), è bene rivelare l’arcano.

De Luca sapeva che l’assembramento, prevedibile e inevitabile, per la distribuzione delle uova non avrebbe assolutamente messo in pericolo nessuno delle decine di persone accorse entusiaste. Bastava però che fosse osservata una condizione: la sua presenza.

Ah si, e perché?

Il primo cittadino dopo oltre un mese di spettacolini da vera star del genere tragico comico, appositamente studiati per far ridere i virus in modo da renderli meno aggressivi, proprio alla vigilia della santa Pasqua è stato convocato dal Capo supremo dei coronavirus, una sorta di ape o formica regina.

Un incontro segreto, avvenuto di notte, senza testimoni.

Per l’occasione De Luca eccezionalmente si è dovuto muovere senza gli uomini del suo nucleo di tutela.

E non si pensi sia una boutade come la telefonata che ricevette da Papa Francesco non appena divenuto sindaco, quando pianse per la commozione.

Il capo supremo degli esserini invisibili che hanno gettato l’Italia nel terrore si è voluto complimentare personalmente con il sindaco: mai nella triste e millenaria storia dei virus c’era stato un umano capace di metterlo così tanto di buon umore.

In genere, i cattivissimi umani cercano sempre di inventare vaccini, farmaci anti e retro virali: di sterminarli. De Luca no.

Il sindaco, grazie all’aiuto di vallette e ballerine trasformate in giornalisti, ha messo in atto una strategia nuova: diffondere l’allegria tra esseri invisibili e infelici, costretti loro malgrado a vivere per complicare la vita degli altri.

C’è mancato poco che De Luca, gratificato da tale complimento, inscenasse uno sketch esilarante. Per la verità aveva già a razzo elaborato un (comico) comizio.

Era quasi sul punto di iniziare.

Il capo supremo l’ha fermato: “Ti prego mi hai già fatto scompisciare dalla risate. Non esagerare“, l’ha implorato.

De Luca ha abbassato lo sguardo, costernato. Ma il prestigioso interlocutore l’ha subito tirato su: “Ho per te un premio, per ringraziarti di tutto. Siccome siamo in periodo di Pasqua e so che tu sei tanto generoso e ci tieni tanto a donare le uova alla tua gente, a sentire il loro calore, concedo a te e a tutti coloro che si assembreranno attorno l’immunità di gregge, giusto il tempo della consegna“.

Gli occhi di De Luca si sono illuminati. Immediatamente ha immaginato il bagno di folla, la cosa che più lo eccita; la richiesta di foto come accade agli attori famosi. Gli è balenata in mente anche la promessa di voti futuri, la cosa che meno gli interessava, un’idea ripugnante: “Bravo signor sindaco, la prossima volta i voti tutti vostri sono!“.

Il sindaco si è inchinato per baciare le mani al capo supremo ma questi d’improvviso si è volatilizzato.

Come d’incanto De Luca si è ritrovato in mezzo al letto. Erano le 5 di mattina. Eccitato per l’incontro, con l’adrenalina a mille, ha subito preso il telefono e svegliato tutti i suoi collaboratori e assessori.

Il piano A va annullato, le uova di Pasqua le porto io nei quartieri di persona personalmente. E’ un ordine: ve lo ordino io e quello che dico non si discute, perché io so i cazzi mei“, ha intimato, tenendo a tutti nascosto l’incredibile incontro di qualche ora prima.

Il piano A? Cos’era il piano A?

Sarebbero state decine i volontari impegnati nella stessa operazione, ma l’amministrazione non poteva mancare: per giorni si era discusso in Giunta su come distribuire le uova senza violare il divieto di assembramento, unica misura davvero razionale per limitare il contagio.

Alla fine De Luca aveva avuto un’idea geniale. Recapitare le uova dall’alto, stile cicogna.

Non avrete certo immaginato che i droni con cui l’ingegner Gabriel Valentino Versaci fa le prove da un mese servissero per tenere sotto scacco la gente?

Questa era solo la motivazione apparente, per non rovinare la sorpresa.

Il sindaco aveva deciso di usare i droni nonostante le obiezioni di un suo fidatissimo assessore: “Ma Cateno se le uova le porta il drone, alla prossima tornata elettorale la gente cercherà drone sulla scheda del voto e noi dopo aver candidato alle europee la collega Daffine non possiamo certo candidare anche il drone, a tutto c’è un limite“.

De Luca ha schiumato di rabbia: “Ma perché noi le uova le consegniamo per alimentare e far crescere clientele? Come ti permetti di fare queste basse insinuazioni?“, l’ha aggredito.

Dopo una breve e interminabile pausa d’imbarazzato silenzio ha soggiunto: “Ho letto nelle carte di un’inchiesta, come si chiama? Ah si, Matassa, che a Messina i miei predecessori le buste della spesa le consegnavano con le ambulanze dismesse. Che miserabili. Noi dobbiamo essere migliori, al di sopra di ogni sospetto: lungimiranti e generosi. Non aspettare la settimana prima delle elezioni. Cominciamo con largo anticipo. E dobbiamo anche essere efficienti e tecnologici: i droni sono perfetti“, aveva sentenziato.

Poi, l’incontro che susciterà l’invidia di virologi ed epidemiologici ha stravolto il piano. L’ingegnere dei droni dovrà attendere ancora.

“L’emergenza sanitaria può essere gestita senza sospendere le garanzie costituzionali. Le libertà limitabili solo con legge o con decreto legge e non da Dpcm e ordinanze locali”. Il presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri fa sentire la sua voce contro le derive autoritarie dello stato di eccezione e sollecita la centralità del Parlamento

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L’ex presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri

 

Le norme della Carta Costituzionale sono chiare: i diritti fondamentali e le libertà possono essere limitate soltanto con legge approvata dal Parlamento, organo di rappresentanza democratica, e solo nei casi e per motivi specificamente previsti.

Invece, in Italia dall’inizio dell’emergenza coronavirus il Parlamento (grazie anche alla complicità dei suoi membri che, terrorizzati dalla possibilità di essere contagiati, si sono “autoeliminati”), è stato di fatto esautorato: tutte le misure di contenimento della diffusione del virus (e di compressione delle libertà e dei diritti fondamentali)  sono state delegate ai Dpcm, Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, ovvero a uno strumento monocratico che non è neppure tra le fonti del diritto ed è quindi sottratto alle forme di controllo per queste previste.

Con due decreti legge emanati dal Governo (il primo, n° 6 del 22 febbraio e l’altro, n° 19 del 25 marzo 2020) si sono indicate le misure che potevano essere adottate e poi si è rinviato al Dpcm il compito di farle divenire norme cogenti.

Il primo decreto legge neppure prevedeva che l’elenco delle misure fosse tassativamente determinato, anzi si dava carta bianca alle autorità di assumere anche provvedimenti diversi e più restrittivi.

Di più, si è consentito che questa grave compressione delle libertà fondamentali avvenisse ad opera di sindaci e di Presidenti delle regioni, che hanno (ab) usato dell’ordinanza contingibile e urgente.

Non si tratta di forzature di poco conto se si considera che le norme di contenimento del contagio da Covid-19″ abbiano intaccato valori e libertà quella personale (art. 13 Cost.), di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), di riunione (art. 17 Cost.), di religione (art. 19 Cost.), di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), nonché sul diritto-dovere al lavoro (art. 4 Cost.) e sulla libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).

Il tutto è stato realizzato in nome (o con il pretesto) dello stato di eccezione (o dello stato di terrore), con l’avallo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il silenzio pressoché unanime di giuristi e uomini politici.

Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex rettore dell’ateneo di Messina, non ci sta e fa sentire la sua voce autorevole, ferma e preoccupata per le sorti dello stato liberal democratico.

L’intero contributo è in un articolo pubblicato sul sito dell’Unicost, una delle associazioni di magistrati, da cui ci si permette di estrapolare le parti salienti.

Il giurista, innanzitutto, contesta la teoria dello stato di eccezione che lascia mano libera ai governanti, a chi comanda: pericolosa perché apre la via all’instaurazione di un regime opposto a quello democratico:

“Sul piano del diritto costituzionale, un primo equivoco, di carattere generale, è prodotto dall’affermazione che una situazione di emergenza richieda la sospensione, ancorché temporanea, delle garanzie, personali e istituzionali, previste dalla Costituzione. Non si deve sospendere nulla. (…..) Per fronteggiare lo stato di necessità, sarebbe sufficiente applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale, senza vagheggiare revisioni e tirare in ballo la sempre fascinosa teoria di Carl Schmitt sulla sovranità che spetta a chi comanda nello stato di eccezione”, scrive Silvestri.

Lo stato di eccezione preludio delle dittature

L’ex presidente della Corte costituzionale non nasconde la sua preoccupazione e avverte sui gravi rischi che corrono le libertà e i diritti di ciascun cittadino: “Lo stato di eccezione schmittiano – di questi tempi spesso evocato – presuppone invece uno spazio vuoto, deregolato e riempito dalla volontà del sovrano, inteso come potere pubblico liberato da ogni vincolo giuridico e capace di trasformare istantaneamente la propria forza in diritto. Tutto ciò non è ipotizzabile nell’Italia repubblicana e democratica, mentre sarebbe ben possibile sul piano dell’effettività storica se, anche sulla base di equivoci non chiariti, si accedesse all’idea di un salto extra-sistematico verso un ordinamento giuridico-costituzionale opposto a quello vigente e paradossalmente introdotto da quest’ultimo. Sembra che molti non si avvedano di evocare scenari di questo tipo. Peggio ancora nell’ipotesi che se ne avvedano!”.

La gestione dell’emergenza è stata infatti caratterizzata da “sfregi” autoritari alla Carta fondamentale, specie nella prima fase, cioè sino all’adozione del decreto legge del 25 marzo.

Quest’ultimo provvedimento pur avendo questa finalità non ha impedito ai presidenti delle regioni e ai sindaci di adottare provvedimenti che danno “luogo a normative anche fortemente differenziate non solo per obiettive necessità di adeguamento a situazioni locali, ma anche per pura polemica politica con il Governo nazionale o per smania individualistica di visibilità, in vista del possibile, successivo sfruttamento elettorale”, chiosa Silvestri, che giudica “tristi e squallide” queste manovre.

La centralità del Parlamento

Per Silvestri quindi si impone il rispetto della Costituzione all’interno della quale ci sono gli strumenti e le procedure per affrontare l’emergenza senza travalicare la cornice disegnata dai costituenti:

“Si potrebbe dire che, nel momento attuale, di fronte alla necessità di salvare la salute e la vita stessa delle persone, l’osservanza delle regole istituzionali slitta in secondo piano. Sarebbe asserzione ineccepibile, se non fosse possibile ottenere gli stessi risultati senza “sospensioni”, in tutto o in parte, della Costituzione” osserva Silvestri.

Che indica anche la via dell’unico strumento che può e deve essere usato: il decreto legge e, quindi, il pieno coinvolgimento del Parlamento, chiamato a convertire il decreto stesso e a controllare la necessità, l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure decise dal Governo:

“Oggi più che mai è necessario riaffermare, senza tentennamenti – scrive Gaetano Silvestri – che qualunque limitazione di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione o disciplina restrittiva della generale libertà dei comportamenti – anche sotto forma di istituzione o ampliamento di doveri – deve trovare il suo presupposto in una statuizione di rango legislativo – legge formale o atto con forza di legge – perché, in un modo o nell’altro, la limitazione stessa possa essere assoggettata al vaglio del Parlamento. (…). Ne deriva che, nelle ipotesi di emergenza, lo strumento, non surrogabile, da utilizzare per interventi immediati, è il decreto legge (art. 77: «In casi straordinari di necessità e urgenza…»)”, afferma il giurista.

Il pretesto della lentezza

L’ex rettore dell’ateneo di Messina replica preventivamente alle possibili obiezioni circa la lentezza dei lavori e delle decisioni della principale istituzione democratica e le difficoltà di riunione dei parlamentari:

“Sarebbe aberrante che l’unico rimedio fosse l’irrigidimento autoritario dello Stato. Il pericolo tuttavia esiste, giacché – è inutile negarlo – è rimasta in vita in una parte della popolazione la cultura politica che accompagnò la nascita e l’affermazione del fascismo: disprezzo per il Parlamento ed i suoi “riti”, culto del capo. A poco varrebbe obiettare che spesso queste tendenze si manifestano in forme farsesche e quindi non temibili. Al contrario, l’incapacità di percepire il proprio stesso ridicolo è stata una componente dell’appoggio di massa alle dittature moderne.

Osservando quanto si è verificato nella prima fase della crisi da covid-19 sottolinea Silvestri – si ha la conferma dell’assoluta necessità che la democrazia sia saldamente presidiata da organi di garanzia, quali il Presidente della Repubblica (così come è configurato dalla Costituzione italiana) e la Corte costituzionale. Non sorprende che la venatura autoritaria della cultura politica italiana favorisca continui attacchi contro di essi”.

Se Silvestri boccia il collega Ruggeri e il sindaco De Luca

Il presidente emerito della Consulta non si esime, sia pure con garbo e stile, a esprimere la sua opinione su uno dei casi più clamorosi di violazione della Costituzione ad opera di un sindaco: la chiusura dello Stretto di Messina da parte di Cateno De Luca, oggetto di duro intervento di annullamento da parte del Governo e di feroci polemiche.

A sostegno della bontà giuridica e compatibilità costituzionale della decisione del sindaco De Luca era sceso in campo il costituzionalista Antonio Ruggeri, ordinario di diritto Costituzionale nell’ateneo di Messina, con una lunga disquisizione ospitata dall’unico quotidiano cartaceo di Messina.

Silvestri la pensa in maniera opposta al collega Ruggeri e spiega il perché in poche righe:

“In ogni caso, nessuna legge autorizzativa potrà mai consentire ad una Regione (a fortiori ad un ente locale) di emanare norme che impediscano o ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, in palese dispregio del primo comma del citato art. 120 della Costituzione, come purtroppo in qualche caso si sta verificando. Un blocco di transito da una Regione ad un’altra ha una rilevanza nazionale per diretto dettato costituzionale. Sempre e comunque è necessario un provvedimento statale. La Repubblica «una e indivisibile» (art. 5 Cost.) non può tollerare che parti del territorio e della popolazione nazionali si pongano in contrapposizione tra loro. Vi osta, oltre che il principio di unità nazionale, anche il principio di solidarietà (art. 2 Cost.), inconciliabile con qualunque chiusura egoistica o particolaristica. Chiudere si può e si deve, se la situazione concreta lo impone, ma solo se si valuta l’impatto nazionale di provvedimenti così incisivi su princìpi supremi (unità e solidarietà), dai quali dipende l’esistenza stessa della Repubblica democratica”.

 

L’intero contributo è rinvenibile al seguente link: https://www.unicost.eu/covid-19-e-costituzione/

Il sindaco podestà fatto martire nella stagione dell’emergenza coronavirus: se uno Stato incoerente perde ogni credibilità e fa il gioco del ribaldo di turno. Il Governo si mobilita contro l’ordinanza palesemente illegittima di Cateno De Luca, ma lascia correre sulle ordinanze di Nello Musumeci e degli altri presidenti di Regione. E così gli oppositori del primo cittadino

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Violazione della stessa legge. Identica lesione delle libertà fondamentali sancite dalla Costituzione.

Per sanare il vulnus determinato dall’ordinanza del sindaco di Messina Cateno De Luca che chiudeva lo stretto di Messina il Governo nazionale ha seguito la strada dell’annullamento straordinario.

Invece, si è comportato come Ponzio Pilato, girandosi dall’altra parte, rispetto ad analoghe ordinanze inutilmente liberticide assunte da vari presidenti delle regioni, primo fra tutti da quello della Regione Sicilia, Nello Musumeci (ma anche della Lombardia), in epoca successiva al 5 aprile 2020, termine ultimo di efficacia di qualsiasi provvedimento locale in materia di contenimento della diffusione del coronavirus.

Allo stesso modo, facendo finta di nulla, si sono atteggiati i giuristi, i sindacalisti, i (pochi) giornali, la Rete dei 34, che si erano battuti contro l’ennesima prevaricazione del sindaco di Messina.

I principi costituzionali non valgono sempre chiunque li infranga?

O forse, parafrasando George Orwell la legge se non la rispetta Tizio vale tantissimo e se non la osserva Caio fa niente, non vale nulla?

Come si può essere credibili se si applicano due pesi e due misure?

Il governo italiano con la sua incoerente condotta ha offerto al sindaco di Messina uno straordinario assist: da abile manipolatore qual è, sfruttando da par suo la psicosi collettiva che alimenta ogni giorno, ha avuto gioco facile in assenza di contraddittorio nello spiegare che lui è vittima di una persecuzione perché difende i cittadini messinesi da un governo imbelle, se non addirittura razzista.

Insomma, un martire: già preso di mira per il suo attivismo dal ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, che lo ha denunciato per vilipendio delle istituzioni (come se insultare le persone fosse un modo concreto per risolvere i problemi), irrorando così di olio lubrificante i meccanismi sempre ben curati del suo gioco vittimistico.

De Luca, non va dimenticato, da ultimo ha aumentato il suo consenso proprio grazie agli “spregiudicati” arresti di cui è stato vittima qualche mese prima delle elezioni amministrative del 2018: misura cautelare fatta a fettine dal Tribunale del Riesame. Ciò che gli ha consentito di ergersi a martire della giustizia che non funziona: emblema in cui si sono immedesimati tutti coloro che con il (dis) servizio giustizia hanno avuto a che fare.

In quest’ultima occasione, il sindaco – per usare una metafora – ha recitato ottimamente la parte del ladro che per dimostrare di essere innocente non ha argomentato sulla liceità della sua condotta, ma ha con passione sostenuto non andasse punito perché i suoi complici erano stati graziati. 

I fans ci sono cascati. E questo non meraviglia.

Meraviglia che persone che fanno politica da anni possano pensare di fare un’opposizione credibile e costruttiva alle prevaricazioni di un maestro di propaganda come De Luca senza essere coerenti; senza onestà intellettuale. Senza battersi per la difesa dei valori su cui si fonda la comunità, chiunque vi attenti, anche il proprio amico o ex compagno di classe: liberi dalla logica della tribù. 

Antonio Saitta, persona di sicura e ampia cultura giuridica e candidato a sindaco (perdente) alle ultime elezioni amministrative, ha esultato alla notizia che il Consiglio di Stato avesse dato il via libera alla bocciatura dell’ordinanza liberticida del 5 aprile del 2020, una delle tante sfornate da De Luca e usate unicamente per aumentare il consenso.

E si è avventurato in una chiosa accusatoria ad ampio raggio a chi sostiene acriticamente il sindaco, pure condivisibile per gran parte.

Ma non ha speso pubblicamente una parola sulle ordinanze del presidente Musumeci oltremodo irrazionalmente limitative della libertà personale, benché anche queste si applichino nella città di Messina: giusto per smontare l’argomentazione secondo cui ci può opporre concretamente solo a ciò che ha effetti sulla propria sfera giuridica.

Non una parola l’hanno spesa i nostrali e fieri contestatori di De Luca, che proprio per la pervicacia con cui il sindaco vìola le regole ne hanno chiesto al Governo la rimozione.

Al contrario, per esempio, della giurista Vitalba Azzollini che dalle pagine di www.meridionews.it ha criticato aspramente sia l’ordinanza di De Luca e sia quelle di Musumeci.

E allora non c’è da stupirsi se a chiunque venga il sospetto che il problema non sia difendere i principi e i valori, ma fare politica, campagna elettorale, attaccare l’avversario. Esattamente quello che fa De Luca, incurante degli effetti negativi che il clima di tensione crea ai cittadini che ama: li ama e li terrorizza, per poi proteggerli. E se è così, l’opposizione in quanto egualmente fanatica è anche sterile e improduttiva: perdente, perché non incide sul vuoto di cultura in cui sguazza De Luca.

Perché pensa di batterlo giocando sul terreno su cui il sindaco/podestà è maestro, imbattibile: quello dell’arena virtuale di face book e delle manipolazioni dialettiche.

L’ordinanza del sindaco era palesemente illegittima, come quelle precedenti. E come lo sono però a partire dal 5 aprile anche quelle di Musumeci.

Il Consiglio di Stato per dimostrarlo si è dilungato in una dotta e arzigogolata disquisizione.

Il costituzionalista Antonio Ruggeri è sceso in campo ospitato dalla Gazzetta del sud, da mesi “amichevolmente” al fianco della propaganda del terrore “deluchiana”, per bacchettare il suo allievo Antonio Saitta e i giudici del massimo organo della giurisdizione amministrativa: altra dotta disquisizione, così lunga da necessitare la divisione in due parti, su principi, valori, ecc.

Ma per chi non è così dotto, basta leggere il decreto legge del 25 marzo del 2020 e tenere a mente il principio costituzionale fondamentale secondo cui la libertà può essere limitata solo con legge emanata dal Parlamento (cui non senza forzature si ammette sia equiparabile il Decreto legge).

Con il Decreto legge del 25 marzo si è autorizzato il Governo tramite Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) ad adottare le misure limitative della libertà ritenute necessarie per contenere la diffusione del virus tra quelle tassativamente definite e si è stabilito che dal 5 aprile non ci sarebbe stato spazio alcuno per ordinanze di sindaci e Presidenti delle Regioni: quest’ultimi, se avessero avuto delle esigenze particolari e locali meritevoli di tutela avrebbero dovuto rappresentarle al Governo che, eventualmente, le avrebbe potute far divenire norme cogenti sempre e solo con Dpcm.

Punto. Tutto il resto sono masturbazioni accademiche.

A partire dal 5 aprile tutto quello che ha fatto De Luca e ancora di più Musumeci e gli altri Presidenti delle Regioni è illegittimo, anticostituzionale: carta straccia.

Andare a guardare al merito delle varie ordinanze è cosa ancora più ridicola, perché sarebbe come dire che siccome un cancelliere del Tribunale ha fatto una sentenza migliore e più giusta di quella che avrebbe fatto un giudice allora la si ritiene efficace e valida.

L’attentato alla democrazia e alle libertà: se le misure per contenere la diffusione del virus sono inutili e irrazionali e servono per oscurare l’inadeguatezza dei governanti. Qualche domanda e la riflessione di Riccardo Manzotti

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Si ammetta pure che il coronavirus sia scientificamente di un’aggressività e letalità eccezionale, ma i dati (quelli reali e non parziali o/e manipolati) mostrano in maniera chiara che non è proprio così.

Si ammetta ancora che il Covid 19 ha creato e sta ancora oggi determinando un’emergenza sanitaria: era evidente sin dall’inizio e lo è ancora di più a 40 giorni di distanza dall’avvio di questa incredibile vicenda che questo è accaduto più per l’incapacità del sistema sanitario di rispondere in maniera flessibile e razionale a un surplus di domanda sanitaria (in parte effetto del clima di terrore) che per “meriti” del virus.

Ma alcune domande bisogna comunque porsele.

E’ razionale tutto quello che i governanti italiani, con l’ausilio della stampa criminale megafono del terrore, hanno imposto ai cittadini? Ha un senso, solo per fare gli esempi più grossolani, impedire alle persone di passeggiare solitari o, ancora, disinfettare le strade?

O le inutili (per contenere il contagio) limitazioni delle libertà con correlato e martellante spargimento di paura, strumento di acritico consenso alle stesse, sono state solo un modo per coprire la loro grave impreparazione e inadeguatezza?

E quali effetti sulla convivenza civile (quelle sull’economia sono evidenti) questo modo di affrontare l’emergenza ha determinato?

Qualcuno prima di dare il via libera alla stagione del terrore ha mai fatto un’analisi costi/benefici o un bilanciamento di valori e beni in gioco, ciò che sempre dovrebbe orientare un governante razionale?

Ancora, per quanto tempo la democrazia e la libertà possono resistere se la cultura e il senso critico è stato bandito dalle scuole e dalle Università, divenute mere distributrici di titoli di studio?

Mi permetto di copiare e incollare una riflessione di Riccardo Manzotti, professore di filosofia teoretica (Università IULM di Milano), psicologo e ingegnere, che possono aiutare a rispondere a qualcuna di queste domande. O solo a riflettere usando le categorie della logica e della razionalità: già solo questo nell’epoca del terrore sarebbe comunque per ciascuno di noi un evento eccezionale.

 

“La campagna del governo #iostoacasa sarà ricordata come un esempio da scuola di come in pochissimo tempo, ignoranza e paura possono cancellare il patto di mutua ragione tra cittadino e istituzioni. Di fronte alla minaccia del virus e il rischio del collasso del sistema sanitario, il governo ha proceduto, a partire dal 21 Marzo a una campagna di quarantena basata sull’hashtag #iostoacasa convincendo milioni di italiani che stare il più a lungo possibile nel chiuso delle loro abitazioni è l’unica strada possibile per fermare la avanzata del virus.

Questo è ovviamente falso.

Altri hastag, molto più precisi e dettagliati, come #iostoatremetri o #iostodasolo, sarebbero stati molto più onesti e, nella misura in cui sarebbero stati più sostenibili, sarebbero stati anche molto più efficaci. Purtroppo, il governo ha invece scelto di fondare la sua campagna su un diktat approssimativo e dannoso.

È ovvio a chiunque voglia esercitare un po’ di buon senso come stare al chiuso con la famiglia non è sostenibile e richieda per lo meno l’accesso a supermercati e altri servizi essenziali. Di per sé rendendo vana la pretesa di una applicazione del diktat.

Ma è altrettanto evidente che non si tratti nemmeno di una misura necessaria, perché basterebbe stare a distanza e seguire le norme previste dalla OMS (mascherine, lavaggio mani, etc).

Tuttavia, la richiesta ai cittadini di compiere un SACRIFICIO è stata ideologicamente efficace, soprattutto in un paese con le nostre radici storico-culturali. Stare a casa è diventato subito un gesto scaramantico, che si fa per motivi tra la superstizione e l’appartenenza alla comunità. Nessuno si interroga sui meccanismi di trasmissione del virus. Sono demandati agli esperti, come in passato era demandato ai preti di interpretare le sacre scritture e agli intellettuali di sinistra di fare l’analisi del momento storico. La popolazione è contenta di affidare ad altri, esperti o autorità che siano, il proprio destino contando nel principio antico che è più importante appartenere a una comunità, sia un gregge di pecore o una torma di Lemming.

Ai virologi non vengono chiesti lumi circa i meccanismi di trasmissione del virus, ovvero un trasferimento di conoscenza che richiederebbe, da parte delle persone, un atteggiamento di comprensione critico-scientifica del problema, ma regole e direttive da applicare in modo fedele salvo eccezioni (“padre ho tanto peccato, mi dia l’assoluzione”).

La minaccia del virus, da problema concreto da affrontare con gli strumenti della ragione, è stata trasformata nella espressione delle colpe morali di una parte dei cittadini e ha legittimato molti altri nella presunta affermazione della propria superiorità morale. Atteggiamento paternalistico e moralistico in tutto e per tutti simile alla genuflessione superstiziosa di molte religioni. Non si salveranno dal virus i più accorti che faranno uso della propria intelligenza, ma i più giusti che sapranno sacrificarsi e, insieme agli altri giusti come lor pari (o appena meno), meritarsi un posto sull’arca galleggiante. O questo la gente crede.

Soltanto questa deriva salvifico-moralista può spiegare l’acredine e l’astio moralistico (l’onda di m…a con cui si sono affrontate le posizioni non allineate). Il dissenso è stato immediatamente associato con la indegnità morale del difensore. Chi sosteneva l’importanza dell’attività fisica è stato immediatamente deriso (la “corsetta”, “andare a spasso”) o associato a tratti moralmente inferiori (narciso, egoista, individualista, persona priva di rispetto), mentre l’abuso di carboidrati, tabacco e alcool che pure ha accompagnato la clausura domestica viene visto con indulgenza (tabacco) e generalmente con vera e propria simpatia (alcool e cibo). È ovviamente irrazionale pensare che chi corre manchi di rispetto mentre chi sforna torte e pizze sia un monaco penitente, ma è coerente con la cornice ideologica dove il virus deve essere sconfitto dal sacrificio e dalla sottomissione alla autorità e non dall’intelligenza e dalla tenacia.

Non si deve correre, andare al mare, passeggiare in montagna, non perché sia un’attività oggettivamente correlata con il virus, ma perché siamo indegni, incapaci di fiducia. Siamo cioè peccaminosi e dobbiamo mondarci dei nostri peccati, soffrendo tutti insieme. Magari spiando dalle tapparelle chi non si sottopone agli stessi riti. La giustificazione del divieto di stare all’aperto da soli è analoga a quella che viene data, in nazioni dove i costumi impongono la repressione sessuale, perché le donne si debbano coprire il corpo e il viso: perché se lo facessero tutte, i maschi essere tentati dal fare violenza. E quindi, poiché gli esseri umani sono indegni di fiducia, anche chi non ha colpa (le donne) devono vivere segregati. Non a caso, in questi paesi, casa e vestiti hanno un ruolo simile a quello della casa in questi giorni di quarantena, spazio privato sottratto al presunto pericolo esterno (che invece è solo interno).

In questa atmosfera irrazionale, resa possibile dalla tradizionale mancanza di cultura scientifica, l’applicazione del diktat diventa un articolo di credo, spesso imposto più dai fedeli (i solerti sceriffi da balconi) che dalle stesse autorità (vigili e polizia). Si chiudono parchi e aree balneari, si inviano i droni per individuare pericolosi camminatori solitari, si inviano elicotteri per stanare bagnanti e subacquei (non è una esagerazione). A nulla vale il fatto che, a detta della OMS, il virus non sopravvive all’aperto sotto l’effetto dei raggi del sole e che, anzi, basterebbe l’aria aperta per disperdere la carica virale sotto ogni soglia di pericolo. Contro ogni ragione, l’ambiente esterno è associato con la libertà di pensiero e di movimento in cui i cittadini impauriti da una propaganda martellante dei media non possono che credere. Come ha recentemente scritto Recalcati, “l’odio è non sopportare la libertà dell’altro”.

Come nel romanzo di Orwell (“1984”, il titolo: scritto profetico se si guarda a cosa sta accadendo, ndr) le persone sono isolate le une dalle altre e soggette a una continua imposizione di notizie da parte di schermi installati nelle loro abitazioni. A differenza della distopia, nel nostro caso gli schermi sono pagati direttamente da noi.

Il runner solitario non mette a rischio la salute fisica dei cittadini, ma mette in discussione il valore salvifico della loro presunta moralità: “Se io sto in casa a soffrire, perché non lo fa anche lui”. E così si deve stare in casa non per evitare il virus, ma per non mettere in discussione l’autorità del governo cui la società ha demandato la propria libertà. Perché il sacrificio della libertà di tutti sia efficace, deve essere condiviso – non si deve parlare in chiesa o mettere in discussione le parole del sacerdote (in questo caso l’esperto scelto dal governo), è un mancare di rispetto.

Così si rivela il lato oscuro della irrazionalità: paura e ignoranza. È un meccanismo raccontato da tantissimi, da Chomsky a Benasayag, da Canetti a Foucalt, da Hobbes a Machiavelli. Non c’è bisogno di citarli.

L’ignoranza gonfia la paura che cerca nel sacrificio della libertà e nella sottomissione all’autorità una salvezza che viene applicata con la stupidità irrazionale propria della superstizione.

L’aspetto peggiore si è manifestato in tutte quelle forme di intolleranza e di miseria umana che trovano amplificazione nel razzismo da balcone. Si spiano le persone perché gli altri non sono più percepiti in quanto esseri umani, ma come un potenziale pericolo. L’applicazione rigida della legge diventa il pretesto per sfogare invidie, rivalità, complessi di inferiorità, asti campanilistici.

Felice Cimatti, in una recente intervista ha affermato “ci sono le ragioni della medicina, ma non ci sono solo le ragioni della medicina. […] Sostenere che non è tempo per discutere di filosofia e di libertà individuali, che ora è il tempo dell’emergenza, è esattamente il tipo di risposta che non promette nulla di buono.”

Quando la libertà individuale è sospettata di egoismo, quando si avvalla il principio etico-politico che la sola vera libertà è quella che esprime il bene universale (che poi non è mai universale, ma di qualche particolare che ha la forza per proporsi e, invero, imporsi, come universale), la persona è in pericolo, perché la persona è la sua libertà individuale, insindacabile, ingiudicabile, indominabile.

Certo, ogni società può proporre le sue regole di ingaggio, diciamo così, ma senza pretendere che il proprio bene (quello della società in gioco) diventi il bene universale o debba corrispondere al bene di ciascuno. La paura del virus ha spinto molti a rinunciare ai propri diritti individuali. La salvezza del corpo in cambio dell’anima – per tanti che come gli zombie di Romero (altra epidemia, altra allegoria) quell’anima non l’hanno in fondo mai avuta – è un baratto ragionevole.

Accettare il diktat dello stare a casa senza ragione non è solo un rischio sanitario (il danno che tanti avranno da questa inutile clausura domestica) ma soprattutto il fallimento del patto di ragione tra stato e cittadino. Allo stato non si chiede di spiegare le motivazioni razionali delle regole. Ai cittadini non si chiede di comportarsi responsabilmente. Ognuno viene meno ai suoi obblighi e ci si tratta con l’indulgenza tipica di persone immature. Il patto non è più basato sulla ragione e sul rispetto reciproco tra persona e istituzione, ma sull’interesse e la paura. E la superstizione ne è il naturale collante. #iostoacasa esprime il fallimento della libertà e della democrazia”.

Riccardo Manzotti è professore di filosofia teoretica (Università IULM di Milano), psicologo e ingegnere. Dalla teoria che ha elaborato sulla coscienza ha tratto vari libri, tra cui il più recente The Spread Mind, tradotto ed edito in Italia da Il Saggiatore. https://www.riccardomanzotti.com/

Violazione della Costituzione con il pretesto del terrore (ingiustificato) per il virus, il Consiglio di Stato boccia l’ ordinanza “blinda Sicilia” del sindaco/podestà Cateno De Luca. La necessità di opporsi alle prevaricazioni per difendere la libertà e la democrazia

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“Bocciato”, per l’ennesima volta.

Urla, sbraita, attacca le Istituzioni, incita alla caccia all’untore, solletica i delatori, terrorizza i cittadini per poi rassicurarli. E sforna ordinanze contingibili e urgenti: tutte nulle, invalide. Da non applicare. Carta straccia. 

Ma questa volta Cateno De Luca l’aveva fatta proprio grossa.

Voleva chiudere lo Stretto di Messina: ovvero la porta di ingresso in una delle regioni più grandi d’Italia.

Il sindaco di una città di 230 mila abitanti intendeva subordinare la libertà d’ingresso nel territorio in cui vivono cinque milioni di persone – la libertà di circolazione, una delle più importanti tra quelle garantite dalla Costituzione e da tutte le convenzioni internazionali – al nulla osta, udite udite, della polizia municipale, ovvero di persone a suo completo servizio che salvo delle eccezioni non conoscono neppure una delle norme, quelle valide si intende, dettate per contenere la diffusione del Covid 19, non parliamo poi della Carta costituzionale: chiunque lo può verificare. 

Neppure un Governo di pusillanimi come quello attualmente in carica poteva  fare finta nulla.

Ecco allora che il ministro degli Interni Luciana Lamorgese ha avanzato proposta di annullamento straordinario chiedendo al Consiglio di Stato il relativo parere.

Il massimo organo della giurisdizione amministrativa ci ha messo poco a rilevare ciò che era evidente a chi aveva cognizioni giuridiche elementari. “Il provvedimento è adottato in carenza assoluta di potere e viola la Costituzione”, ha sancito in sintesi il Consiglio di Stato, dando il via libera all’invalidazione dell’ordinanza entrata in vigore proprio questa mattina.

Dopo l’ordinanza “coprifuoco”, bocciata timidamente dal Prefetto Maria Carmela Librizzi,  De Luca – una laurea proprio in legge – deve incassare una nuova sonora stroncatura: ce ne sarebbe a sufficienza, sotto il profilo giuridico, per promuovere la sua rimozione vista la pervicacia con cui viola le leggi e la Costituzione.

Ma si sa i populisti, specie in epoca del terrore (ingiustificato) le bocciature le trasformano presto in attacco alle Istituzioni: il sindaco di Messina in propaganda e demagogia è maestro.

C’è da aspettarsi che nelle prossime ore, De Luca anche con le sue quotidiane dirette face book, spieghi in maniera accorata, da vero attore calato nella parte, che lui vuole proteggere solo i messinesi, anzi tutti i siciliani; che le istituzioni centrali sono corrotte e non capiscono nulla. E che presto saremo invasi dal terribile virus.

E c’è da prevedere che avrà largo spazio sui media: “Babbara D’Usso” è già in fibrillazione.

D’altro canto ogni volta che annuncia di violare la Costituzione e la legge, ottiene ospitalità di giornali nazionali e reti televisive, anche quelle del servizio pubblico, pagato dai cittadini italiani e non solo dai suoi rumorosi fans.

Sbaglia chi ritiene che De Luca benché si muova sempre sopra e oltre la legge e l’etica della convivenza civile, abbia solo il consenso di fans rumorosi e fanatici che face book ha fatto diventare esperti di diritto, di medicina, di cinema e di storia ecc.

Può infatti godere del consenso di una buona fetta della borghesia messinese: non solo di coloro che sono terrorizzati e si sentono protetti da chi li spaventa.

Ha la complicità silenziosa dei vari politicanti e portaborse della città che da oltre un mese sono chiusi in casa, in quarantena: alcuni solo per ignavia o mancanza di coraggio; altri già perché in affari da tempo con il sindaco: dove sono finiti i deputati e i senatori messinesi che hanno votato la fiducia al Governo Conte che De Luca dileggia un giorno si e l’altro pure?

Fruisce del sostegno dell’unico quotidiano cartaceo della città, la Gazzetta del sud, impegnata a pieno regime (come tutta la stampa d’altronde) a spargere terrore, a moltiplicare i morti,i contagiati, i pericoli e rischi.

L’editorialista di punta, Lucio D’amico, colui che durante la campagna elettorale del 2018 incitava lo sfidante candidato alla carica di sindaco Dino Bramanti (l’uomo del Centro Neurolesi, gioiello della Fondazione Bonino Pulejo, editrice della stessa Gazzetta del sud), a brandire l’arma (squallida) dei guai giudiziari di De Luca, tanto che quest’ultimo lo ribattezzò “Nemico”, dopo che De Luca è divenuto sindaco è stato folgorato sulla via di Damasco.

“Maglie strettissime nello stretto. E’ importante chiudere lo Stretto”, ha plaudito (solo per citare uno degli interventi a sostegno dell’operato illegale del sindaco) D’amico, dimentico che in Italia sino a quando dalla follia collettiva non si passerà anche formalmente a un regime dittatoriale, De Luca e D’amico (prima Nemico) sono soggetti alla legge. Non vuota forma ma strumento con cui vengono bilanciati i vari interessi e valori in gioco ogni volta che bisogna affrontare un problema.

Cateno De luca a Messina è considerato fonte del diritto, anzi la fonte primaria, sopra la legge, oltre la legge.  

Un novello podestà, di fascista memoria, al quale i cittadini si rivolgono quotidianamente per denunciare il vicino che esce per passeggiare sotto casa o va a correre, tutte attività lecite anche ai tempi della follia collettiva, ma che il sindaco recalcitrante al diritto ha fatto diventare illegali: esattamente ciò che accadeva negli anni precedenti alla definitiva presa del potere del fascismo.

De Luca copre un vuoto politico enorme, un enorme stagno di melma, così ampio che ci sguazza dentro. Non sarà certo l’opposizione in poltrona davanti al pc e via facebook a riempirlo. 

Il terribile virus, dipinto come tale per ragioni politiche ed economiche, ma che terribile non è, un merito ce l’ha: ha reso ancora più evidente, se ve ne fosse stato bisogno, di quali virtuosismi propagandistici sia capace il primo cittadino e di come sia necessario opporsi alle sue prevaricazioni per difendere la libertà e la democrazia.

Così come a quelle di altri politicanti di lungo corso che sfruttando lo stato di terrore in cui è precipitata l’Italia e per coprire la loro inefficienza e le loro responsabilità di anni di malgoverno, emanano provvedimenti liberticidi e illegali, criminalizzando i cittadini che hanno una sola e grave colpa: quella di essersi affidati a loro.

L’ordinanza del presidente Nello Musumeci del primo aprile del 2020 è palesemente illegittima, come quella di De Luca ora annullata, e tuttavia la gente è indotta a osservarla ritenendola valida, o solo per evitare grattacapi. Nessun esponente politico lo denuncia.

I giornali neppure se ne occupano: d’altro canto la Regione Sicilia per contenere la diffusione del virus non ha distribuito pubblicità a pioggia (e già questo fa ridere lo stesso invisibile virus) a tutte le testate? E gli editori non hanno bussato alle porte di Musumeci per ottenere finanziamenti e uscire da una crisi che dura da un decennio e nulla ha a che fare con il coronavirus?

 

 

Stato del terrore e libertà ai tempi del coronavirus, il presidente della Regione Nello Musumeci in competizione con il sindaco Cateno de Luca: chi dei due è più “sciarriato” con il diritto? L’ultima perla di saggezza scientifica del Governatore in un’ordinanza liberticida e illegale: “Runners se correte vi indebolite e vi ammalate: restate chiusi in casa”

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Nello Musumeci e Cateno De Luca

Se corri ti stanchi e così s’indeboliscono le difese immunitarie e se sei positivo ma asintomatico rischi di finire in ospedale. Non hai scelta: resta a casa, barricati dentro!

Ancora peggio se scendi a fare una passeggiata sotto casa con i tuoi figli, reclusi da un mese tra le quattro mura domestiche: “Non l’hai capito che devi rimanere a casa!”. L’ordine è sempre lo stesso.

Tuttavia non ti spazientire, se vuoi, in alternativa, vai a comprare le sigarette. Quelle no, non fanno male, producono benessere. Non sono forse la prima causa di tumore ai polmoni, proprio ciò che colpisce il virus Covid 19? Assolutamente no: rafforzano l’organismo che così sarà pronto a difendersi meglio.

A leggere l’ultima ordinanza “contingibile e urgente” datata 1 aprile del 2020 e adottata dal presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci, per contenere la diffusione dei contagi da coronavirus in Sicilia, viene subito da sospettare di essere davanti al pesce d’aprile.

Invece no, è tutto vero.

Il soggetto attuatore del Commissario delegato per l’emergenza coronavirus in Sicilia, oltre a nominare l’ennesimo super consulente, in due mesi non è stato capace di garantire la fornitura agli ospedali di mascherine, né di adottare misure idonee a proteggere adeguatamente le uniche categorie di soggetti che avevano qualcosa da temere dal coronavirus: gli anziani e i malati ricoverati in strutture sanitarie, dove si registrano infatti gli unici focolai di infezione.

Ma ha compreso che non si poteva continuare a sostenere che chi corre e cammina da solo nei pressi della propria abitazione contagi qualcuno: ciò che non è stato sostenuto in nessuna parte d’Italia.

No, il navigato esponente politico, responsabile politico della sanità regionale a capo della quale per meriti indiscutibili ha messo il fior fiore della competenza, grazie all’ausilio di qualcuno degli scienziati che lo coadiuvano, ha superato l’immaginabile.

E’ riuscito a sostenere che praticare sport fa male.

Tanta è stata l’ansia di comunicare ai cittadini siciliani cotanta scoperta che ha distillato questa perla di scienza infusa in un’ordinanza contingibile e urgenze con efficacia sino al 14 aprile prossimo.

Ma si tratta di un’ordinanza illegittima e nulla. Come quelle di analogo tenore che il sindaco di Messina, Cateno De Luca, ha adottato nelle settimane passate.

Un provvedimento con cui si propone(va) di (continuare) a eliminare in Sicilia i pochi spazi di libertà compatibili con il contenimento della diffusione del virus e lasciati a tutti i cittadini italiani, anche a quelli delle regioni dove, al contrario della Sicilia, ci sono decine di migliaia di contagiati.

“Continuare”, perché Musumeci aveva già emanato un’ordinanza il 19 marzo scorso dello stesso tenore di quella del primo aprile, che però sarebbe scaduta il 4 aprile.

Ecco perché non vale giuridicamente nulla

Ordinanze urgenti del “sindachino” del paesino calabro. Ordinanze coprifuoco con tanto di show del “sindachetto” della cittadina sicula. Ordinanza dura e pura del presidente della Regione meridionale. Ordinanza intelligente del presidente della Regione settentrionale. Ordinanze di qua,  ordinanze di là.

Mai si era vista in italia una produzione così feconda di ordinanze in contrasto tra di loro e con la normativa nazionale.

Mai come in questo periodo di emergenza coronavirus si era ingenerata nei cittadini una tale confusione giuridica: si applica questa norma, o forse vale quest’altra? Vale quella del presidente del consiglio o del mio sindaco?

I cittadini non solo sono stati privati dalla libertà, ma non hanno neppure capito cosa legittimamente potessero o non potessero fare.

Il Governo il 25 marzo 2020 ha così deciso di porre freno alla macchina continua di ordinanze, divenuto strumento di propaganda da parte di vari politicanti di cui può fregiarsi il paese.

Con il Decreto legge n° del 25 marzo del 2020, provvedimento che ha la forza di una legge ordinaria (la sola con cui secondo la Costituzione repubblicana si può limitare, e solo in casi specifici, la libertà personale), ha, infatti, stabilito che:

1) per contenere la diffusione del virus possono essere adottate una serie di misure elencate tassativamente nello stesso decreto legge e solo con Decreto del presidente del Consiglio, il famoso Dpcm: nel frattempo è stata prorogata l’efficacia dei Dpcm adottati in precedenza;

2) che dal momento in cui fosse stato adottato il Dpcm attuativo i Presidenti delle regioni avrebbero perso ogni potere di adottare loro ordinanze in materia: se fossero insorte esigenze particolari di tipo regionale avrebbero potuto soltanto rappresentarle al Governo che se le avesse ritenute meritevoli di tutela avrebbe adottato il relativo Dpcm;

3) che comunque fossero prorogate di 10 giorni e quindi sino al 4 aprile tutte le ordinanze vigenti al 26 marzo, giorno di entrata in vigore del Decreto legge: tra questa l’ordinanza di Musumeci del 19 marzo 2020;

3) che i sindaci non possono più adottare ordinanze contingibili e urgenti su materia disciplinata dai Dpcm;

Ebbene, il primo aprile il presidente del Consiglio dei ministri ha adottato il primo Dpcm attuativo del Decreto legge del 25 marzo, con efficacia a partire dal  4 aprile 2020.

Ma Nello Musumeci e i suoi consiglieri giuridici (pagati da tutti i contribuenti siciliani) non se ne sono curati.

Lo stesso giorno il presidente ha invece proceduto a emanare una nuova ordinanza, la numero 13, avente efficacia sino al 15 aprile.

In sintesi, per citare solo i divieti che non esistono a livello nazionale, Musumeci avrebbe voluto continuare a limitare le uscite solo per gli acquisti essenziali a una sola volta al giorno e a un solo componente del nucleo familiare; a vietare la pratica di ogni attività motoria e sportiva all’aperto, anche in forma individuale (tranne che per le persone affette da disabilità intellettive e/o relazionali); a imporre l’obbligo (sanzionato penalmente) di uscire solo per motivi di lavoro, di salute o estrema urgenza.

L’ordinanza è chiaramente invalida. Non obbliga giuridicamente nessuno. Né chi la dovrebbe osservare, né chi la dovrebbe fare eseguire. Ma c’è da scommettere che tutti la osserveranno, a scanso di grattacapi. Ulteriore effetto dello Stato di Terrore che è diventata la Repubblica liberal democratica Italiana ai tempi del coronavirus.

Cosa si può (per il momento) fare

Fermo restando il divieto assoluto di assembramento – l’unico che se si vuole rimanere sul piano della razionalità può diffondere il virus – dal 5 aprile in Sicilia sarà possibile (è un diritto) come nel resto di italia fare jogging o attività motoria, quest’ultima solo in prossimità della propria abitazione: uscire sotto casa con il proprio figlio per sgranchirsi le gambe e a prendere una boccata d’aria, o con l’animale d’affezione.  Sarà anche possibile uscire più volte al giorno “evitando” (non è un divieto con sanzione) di farlo per ragioni diverse dal lavoro, estrema urgenza o motivi di salute.

“Cateno De Luca show”, ecco in esclusiva la sensazionale scoperta del sindaco di Messina per neutralizzare il coronaVirus

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Cateno De Luca in collegamento dal porto di Messina

 

La domanda sorge spontanea, come avrebbe detto il compianto Antonio Lubrano: “Ma un uomo politico che mentre c’è da lavorare per affrontare al meglio un’emergenza urla, accusa, minaccia, litiga con tutti, annuncia di commettere reati e forse ci riesce, delegittima tutte le persone che hanno un ruolo istituzionale sta remando davvero nella direzione giusta?”

Certo che no. Che domanda!

Ma ci si riferisce forse al sindaco di Messina Cateno De Luca?

Suvvia. Non  avrete pensato che quello che fa De Luca sia vero? No, assolutamente no: è tutto uno show.

Cateno De Luca, maestro di propaganda, ha sempre amato gli show.

ll virus Covid 19 avrà fatto pure precipitare gli italiani e i messinesi nella più grossa psicosi collettiva della storia, ma a lui ha molto giovato: ha stimolato la creatività, l’ ha migliorato, l’ha fatto maturare. Gli ha dato l’occasione per capire che è onnipotente e onnisciente.

E’ pronto insomma per fare il salto di qualità.

Nell’epoca in cui la politica è soltanto immagine, confusione, populismo, demagogia De Luca è il candidato ideale. Altro che Presidente della regione, cui ha dichiarato più volte di mirare. De Luca sarebbe perfetto come Presidente del Consiglio, naturalmente solo il tempo di prendere confidenza con Palazzo Chigi e poi balzare al Quirinale.

E’ Il degno successore di Giuseppe Conte; di una spanna superiore a Matteo Salvini, l’uomo che scova i criminali suonando ai campanelli o risolve i fenomeni migratori lasciando la gente per giorni nel mare.

Lui, Cateno, è migliore di tutti.

Se ci fosse stato lui a Roma a capo del Governo, il virus sarebbe stato sterminato a colpi di ordinanze contingibili e urgenti.

Come sindaco è sprecato.

Lui sa fare tutto meglio di tutti: meglio del presidente del Consiglio dei ministri; meglio del presidente della Regione Nello Musumeci; meglio del prefetto di Messina, Maria Carmela Librizzi; meglio del Questore, finanche del direttore generale dell’ Asp.

Sa fare tutto meglio di tutti: non c’è dubbio. Forse è “sciarriato” con il diritto, con i diritti delle persone, con la Costituzione e le leggi. Per non parlare poi di rispetto delle sfere di competenza.

Ma in fondo si, questo non è un problema. Lui è una persona concreta: quello che conta è risolvere il problema. E’ il risultato.

Al diavolo la Costituzione: non è forse vecchia di 70 anni? Al diavolo le libertà fondamentali delle persona, cosa bisogna farsene delle libertà? Al macero le norme giuridiche.

Qui c’è da lottare contro il nemico invisibile.

De luca da un mese fa tutto quello che nessun sindaco d’Italia ha saputo fare.

I suoi cittadini terrorizzati e osannanti, infatti, si sentono protetti. Così protetti che a migliaia hanno preso d’assalto i telefoni della Coc, perché pensano di essere infetti e sono pronti ad invadere i Pronto soccorso della città, cagionando così i primi morti.

Ma sbagliano: non hanno nulla da temere.

Cateno De Luca sa che se anche il virus si diffonderà a Messina sarà ancora meno aggressivo che altrove.

“Ah si, e perché?. Di concreto, nella pratica, cosa ha fatto oltre a sfornare ordinanze liberticide e inutili?”, chiederebbe il solito Lubrano.

Ma vuole scherzare?

Il primo cittadino di Messina ha individuato il segreto per neutralizzare il virus, per renderlo più buono.

Non servono vaccini, che richiedono fatica e tempo. Non occorrono farmaci, che hanno effetti collaterali.

Pensavate davvero che il primo cittadino stia facendo tutti questi spettacolini con tanto di telecamere al seguito soltanto per intrattenere e distrarre i suoi cittadini o per la smania irrefrenabile di protagonismo?

Ma no. Che ingenui.

Cateno De Luca ha fatto una scoperta sensazionale.

Anche i virus nel loro piccolo…. ridono. E si sa, chi ride è meno aggressivo.

“E allora che lo spettacolo continui!!!”.

Coronavirus, tra il giornalismo del terrore e lo sciacallaggio: la testata dell’addetto stampa (occulto) della Uil sanità Davide Gambale brucia tutti e dà la notizia dei primi morti a Messina. Ma era solo eccesso di ansia. Il ruolo criminale della stampa

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due morti bis
Chi darà in anticipo sugli altri la notizia del primo morto con/ di/per il coronavirus a Messina?

L’ansia tra i giornalisti è spasmodica.

Man mano che, ineluttabile, il virus si diffonde tra i messinesi, fiaccati da giorni intensi di caccia all’untore, il nervosismo cresce.

Il morto però non arriva.

Ecco allora che ci pensa il giornale del principe (celato, ma non troppo) degli addetti stampa messinesi, Davide Gambale, Messsinaoggi a trovare la soluzione: inventa i morti e brucia tutti.

Ultim’ora: Due morti al Policlinico di Messina. E poi i dettagli: erano nel padiglione H e sono deceduti a due ore di distanza uno dall’altro.

Dare per primi questa notizia è quasi come scoprire che il ciuccio non vola. Da premio Pulitzer. Per la testata dell’ attuale (e da almeno 4 anni) addetto stampa (di nascosto) della Uil sanità, ex di Confcommercio Messina e della deputata nazionale fedelissima di Francantonio Genovese, Tindara Gullo (incarichi tutti mantenuti mentre è a capo di una testata giornalistica), valeva proprio la pena rischiare, risparmiandosi una semplice e obbligata verifica.

D’altro canto, il giornale on line del candidato (bocciato) nella lista a sostegno di Dino Bramanti, uno dei sindaci perdenti alle ultime amministrative del 2018 perché avrebbe dovuto preoccuparsi dell’effetto deflagrante che una falsa notizia di questo tipo poteva produrre tra i cittadini di Messina?

L’articolo è stato rimosso dopo poco tempo, ma un lettore, Mario Ansando, ha avuto la possibilità di postare un commento: “Ma perché fare questi articoli inutili, scrivete pure che sono stati travolti due gatti in tangenziale!! Che SCIACALLI CHE SIETE PER QUALCHE CLICK IN PIU’ !!!”, ha scritto.

Il terribile virus Covid 19, che terribile non è, sta impegnando molto i giornalisti. Tutti i giornalisti, nazionali e locali, che in effetti stanno dando “il meglio” di loro.

“Caro lettore, da tre settimane i giornalisti di questo giornale ed i colleghi delle altre redazioni lavorano senza sosta, giorno e notte, per fornire aggiornamenti precisi ed affidabili sulla emergenza CoronaVirus”: questo si legge su molte testate che cercano così approfittando del momento di terrore di “scroccare” oboli e abbonamenti.

E ne hanno ben donde.

Il loro ruolo in questa incredibile vicenda di emergenza virus che ha messo in ginocchio il paese è stato decisivo. Salve rarissime eccezioni, dis(utili) idioti. Ventriloqui maldestri di dati diffusi dalle autorità pubbliche, senza alcun senso critico.

Amplificatori di terrore. Al servizio di chi esercita il potere: altro che cane da guardia.

Messinaoggi, diretto formalmente da Nuccio Carrara, ha dato la notizia falsa dei primi morti a Messina: morti con il coronavirus, non morti per il coronavirus o di coronavirus, com’è chiaro ed evidente se solo si leggessero i dati ufficiali e si usasse un decimo del cervello di cui gli umani sono geneticamente dotati.

Ma una sua degna collega ha dato la notizia (anche questa falsa) del primo sospetto caso di coronovirus a Messina, sempre al Policlinico. Era il 22 febbraio.

Un sospetto caso è una notizia? Quanti sospetti casi di malattie contagiose ci sono ogni anno, ogni giorno?

Ovviamente sospetto era, e sospetto rimase.

Come sospetto e infondato, tanto per capire quali siano i meccanismi che regolano la disinformazione, fu un caso di ebola (virus davvero letale per gli essere umani) a marzo del 2015 sempre al Policlinico.

La notizia campeggiò per ore su tutti i più importanti giornali d’Italia. Era un falso sospetto, una non notizia: un senegalese con evidenti disturbi psichiatrici si era presentato al Pronto soccorso in stato delirante: “sono malato di ebola”. Il familiare di un paziente lo sentì, chiamò la sua amica giornalista, che non fece alcun controllo.

Dopo 20 minuti tutti gli italiani sapevano che in Italia era sbarcato il terribile virus che stava decimando la popolazione africana, finalmente: una manna per i giornalisti delle sciagure inventate. Materiale con cui riempire pagine e pagine di giornali.

Ma l’illusione durò poche ore. Perché i professionisti della paura potessero finalmente alimentare di carburante la macchina del terrore si è dovuto aspettare 5 anni esatti, il marzo del 2020. La complicità di governanti inadeguati ad affrontare razionalmente un aumento di domanda sanitaria in una regione d’Italia non è, non può essere una scriminante.

I morti veri (non quelli falsi di Messinaoggi) arriveranno purtroppo pure a Messina, come in tutte le regioni della penisola, man mano che il virus si diffonderà tra le uniche categorie di persone fragili le cui condizioni di salute il virus potrebbe far precipitare: anziani e malati, magari ricoverati negli ospedali e nelle case di riposo. Che in tutta questa sconclusionata, strillata e angosciante lotta senza quartiere al contagio guidata a Messina dal sindaco De Luca (e in altre città da suoi omologhi eroi), sono stati lasciati senza alcuna protezione.

 

“Premiata forneria De Luca”, il sindaco sforna a ciclo continuo ordinanze liberticide. E illegali. L’aiuto prezioso della “panettiera” giurista Dafne Musolino, che propina “sauri per ope”. Il silenzio della classe dirigente infettata dal virus dell’opportunismo

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Cateno De Luca a caccia di virus

il sindaco Cateno De Luca

 

Una persona che corre da sola per la città può contagiare o essere contagiata da qualcuno?

Un individuo che fa una passeggiata o qualche chilometro in bici da solo per prendere aria, magari con mascherina e guanti, può infettare o essere infettato da qualcuno?

Ridurre gli orari di apertura dei supermercati riduce la possibilità di contagio, o piuttosto favorendo gli assembramenti all’esterno non la aumenta?

Se solo si usasse il cervello la risposta a queste domande sarebbe ovvia.

Ma il sindaco della città di Messina, Cateno De Luca a questi semplici elementari quesiti risponde secondo criteri diversi dalla logica e dalla ragione: i criteri della macchina del terrore, della sua irrefrenabile smania di protagonismo e della propaganda.

Assistito dalla giurista assessora Dafne Musolino sforna ordinanze contingibili e urgenti liberticide come se fossero cornetti. Provvedimenti non solo inutili (se non disutili), ma anche contrarie alla Costituzione e alla legge. Inutilmente liberticide.

E’ più forte di lui: in materia di contenimento delle diffusione del coronavirus deve dire la sua. Deve mostrare che fa qualcosa, che lui la sa più lunga del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, del presidente della regione Nello Musumeci, di tutti gli altri sindaci d’italia.

Non pago del fatto che la prima ordinanza “coprifuoco” del 12 marzo palesemente illegittima gli sia stata bocciata il giorno dopo dal ministero degli Interni e dal prefetto di Messina Maria Carmela Librizzi, ieri sera 18 marzo è tornato alla carica con un’altra ordinanza coprifuoco bis.

Nella sostanza la riproduzione di quella bocciata lo scorso 13 marzo: i messinesi hanno divieto assoluto di uscire di casa, i soli in tutta la penisola.

Neppure in Lombardia, o in Emilia, dove i contagi si contano a migliaia se non a milioni, esiste questo divieto: non previsto dal Governo nazionale per una ragione semplice e banale che attiene al ragionevole bilanciamento dei valori in gioco. Il contenimento della diffusione del virus può giustificare la limitazione delle libertà garantite dalla Costituzione solo laddove sia strettamente necessario e a lungo andare non produca effetti controproducenti. Non è correre o passeggiare solitari che diffonde il virus, ma entrare a stretto contatto con altri essere umani. Infatti, è stato sancito il divieto assoluto di assembramento.

Ma questo elementare concetto De Luca non lo vuole comprendere: è come il padre di famiglia che mostrando i muscoli (e solo quelli) per evitare che il figlio prenda brutte compagnie a scuola lo tiene chiuso in cantina.

D’altro canto, se lo comprendesse come potrebbe (fare finta di) proteggere i suoi amati cittadini?

Non lo comprende lui e non lo comprende la gran parte dei cittadini (i figli, per rimanere alla metafora): le vittime. Terrorizzati da un virus dipinto come letale da un giornalismo criminale e da politici inadeguati (non certo solo da De Luca che comunque dà il suo apporto), si sentono da lui protetti e sono disposti pure a rimanere inutilmente chiusi in cantina. Impauriti. Ostaggi innamorati del custode. Da manuale della propaganda del terrore: atterrire per poi soddisfare il bisogno di protezione.

Ma cosa è cambiato negli ultimi 5 giorni, dal momento della bocciatura della prima ordinanza? Cosa ha fatto tornare nelle mani di De Luca un potere che non aveva?

Lo ha spiegato la giurista Musolino nel corso del consueto show della sera in diretta facebook, lo spettacolo di (tragica) comicità più seguito ai tempi del coronavirus. Un esempio di come solleticando i bassi istinti della gente si ottenga il consenso: “E’ di oggi un decreto del presidente del Tar campania che ha rigettato il ricorso avverso un’ordinanza contingibile e urgente del presidente della regione che limitava “l’attività sportiva all’aperto”, sulla base del principio che la tutela della salute debba prevalere su tutto.

Quindi – inferisce la giurista prestata alla politica –  le libertà dei cittadini possono essere ulteriormente limitate, rispetto alle già stringenti misure adottate dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Tutti ammutoliti, salvo delle piccole sparute minoranze: giuristi presunti sciatori, politici finti oppositori, intellettuali servi nell’anima.

Beh, c’è un decreto del presidente del Tribunale amministrativo regionale della Campania: questa volta De Luca è blindato.

Il decreto cautelare di un Presidente del Tar, uno dei 20 d’Italia, non è certo una sentenza a sezioni unite della Corte di cassazione.

Ma se anche avesse questa straordinaria valenza, una domanda secca disvelerebbe la manipolazione.

Cateno De Luca è presidente della regione? Qualcuno ha mai  messo in dubbio che il presidente della regione potesse adottare misure maggiormente restrittive rispetto alle norme del Governo nazionale della libertà delle persone se ciò fosse ritenuto necessario per contenere la diffusione del virus?

Certo che no.

Infatti, il presidente della regione Sicilia, Musumeci ha già adottato provvedimenti di questo tipo: uno di questi l’ordinanza numero 3 del 8 marzo del 2020 creerà non pochi grattacapi al gruppo di professionisti sciatori andati da Madonna di Campiglio e tornati ai primi di marzo, omettendo irresponsabilmente di autodenunciarsi e mettersi in quarantena.

Che c’entra allora il decreto del Presidente del Tar Campania, che si riferisce ai potere del presidente della regione, con i poteri del sindaco?  Evidentemente nulla.

Si tratta solo di manipolazione di bassa lega. La confusione tra “sauri e ope” che ai tempi del terrore (ingiustificato, ma questo è altro tema), diventa verità giuridica.

Il sindaco è altro da un Presidente della regione.

Quest’ultimo può aver conservato (e la cosa sotto il profilo costituzionale è opinabile) il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti con misure più stringenti per contenere la diffusione del Covid 19; al sindaco sicuramente questa prerogativa è stata appositamente sottratta.

La legge,o meglio il decreto legge n° 9 del 2 marzo del 2020, uno dei provvedimenti principali dettati dal Governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus stabilisce in maniera chiara:

coronavirus art 35 legge

 

Il riferimento è solo alle ordinanze sindacali (che diventano inefficaci e non possono essere adottate), e non al caso completamente diverso di quelle del presidente della Regione.

Prima che intervenisse questo decreto legge era stato emanato il decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6:  disponeva che (genericamente) le autorità competenti (quindi in astratto sindaci e presidenti della regione) avessero “facoltà di adottare ulteriori misure (rispetto a quelle fissate nella stessa legge e delegate al capo del Governo) al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Con l’articolo 35 decreto legge successivo questo potere è stato esplicitamente tolto ai sindaci. Che in ogni caso, le ordinanze contingibili e urgenti previste dall’articolo 50 del Testo unico enti locali le possono adottare solo per fare fronte ad “emergenze sanitarie di tipo esclusivamente locale”: tale non è di certo l’emergenza coronavirus.

C’è anche per questo una ragione sostanziale: affrontare un problema nazionale in maniera uniforme, evitando la babele che si verificherebbe se ognuno degli ottomila sindaci d’Italia pensasse di emulare De Luca.

Illegale e inefficace era la prima ordinanza coprifuoco; illegale e inefficace è questa seconda.

Cateno De Luca aveva violato la legge e la Costituzione il 12 marzo, e le ha nuovamente violate ora.

Nessuno può essere tenuto a fare applicare un’ordinanza illegale, nessuno è tenuto a rispettarla, nulle sono le sanzioni eventualmente applicate.

Il prefetto Librizzi, intervenuto 5 giorni fa per bloccare un provvedimento identico a questo, può non intervenire ora?

A fronte dell’ennesima sortita liberticida (e inutile) di De Luca ci si sarebbe aspettata una pronta sollevazione da parte di almeno uno dei membri della classe dirigente di questa città, dei tanti uomini di diritto che annovera, della presa di posizione di qualche parlamentare nazionale o regionale.

Magari di chi, come Pietro Navarra (giusto per fare un esempio), per anni a capo della più importante istituzione culturale di Messina quale rappresentante (in teoria) della parte progressista della città è stato eletto alla Camera dei Deputati e da allora è scomparso. Niente. Il silenzio. Tutti in quarantena: a coltivare il proprio orticello dell’opportunismo. O semplicemente a sciare.