Archive for Corsivi corsari

Cateno De Luca, il sindaco supereroe che semina terrore per il bene dei cittadini. Bocciato in diritto dà lezioni al Governo (grazie “all’aiutino” del prefetto Librizzi), revoca la (già inefficace) ordinanza “coprifuoco” ma ne adotta tre. Manipolando la legge

Download PDF

Il sindaco cateno De LKuca e l'assesorew giurista Dafne Musolino

Il sindaco Cateno De Luca e l’assesore giurista Dafne Musolino

 

Bocciato sonoramente all’esame universitario di diritto pubblico, protesta con il docente spiegandogli che la Costituzione è sbagliata e le norme sono fatte male.

Quest’ultimo invece di consigliargli di lasciare perdere e cambiare corso di studio che fa? Inoltra le osservazioni al rettore dell’università e al Parlamento in modo che le norme vengano modificate. L’allievo bocciato intanto, forte della benevolenza del docente, continua a comportarsi come se non fosse stato mai bocciato e la Costituzione non esista.

E’ questo ciò che metaforicamente è accaduto a Messina: protagonista della vicenda degna del miglior Pirandello il sindaco Cateno De Luca (l’allievo bocciato) e il prefetto Maria Carmela Librizzi (il docente “accondiscendente”), rappresentante locale del Governo.   .

Il sindaco De Luca per ottenere la visibilità necessaria a placare la sua  irrefrenabile smania di protagonismo si è lanciato anima e corpo nello stagno melmoso della psicosi collettiva autolesionistica in cui è precipitata l’Italia.

Il 12 marzo scorso ha adottato un’ordinanza coprifucoco “liberticida”, palesemente nulla, in quanto in contrasto con la Costituzione italiana e la legge (e i decreti legge) che sono stati adottati per contenere la diffusione del coronavirus..

Qualche ora prima l’aveva sbandierata su tutti i media nazionale, felici di ospitare un politico che annunciava di voler compiere un atto illegale.

Il giorno successivo il prefetto Librizzi, su input del ministero degli Interni, non ha potuto fare altro che comunicare a De Luca ciò che era evidente a chiunque avesse un minimo di cognizione giuridica o almeno di buon senso: l’ordinanza coprifuoco era da considerarsi inefficace, priva di ogni effetto, e in in  contrasto con la legge e la Costituzione.

De Luca non si è rassegnato.

Figurarsi, lui agisce per il bene dei cittadini, le misure dettate dal Governo sono “acqua fresca”, inidonee a scongiurare il pericolo che si diffonda a Messina il terribile virus, che terribile non è, ma se non fosse rappresentato in questi termini  De Luca (e tutti gli altri politici e scienziati spargitori di paura) come potrebbe far finta di salvare i suoi amati cittadini?

Il sindaco allora ha preso carta e penna e, con l’ausilio prezioso della giurista/assessora Dafne Musolino, ha scritto al Prefetto: “Le misure che avevo adottato sono le migliori possibili. Il Governo non ha capito nulla. Vi spiego come fermare il contagio”, ha in sostanza arringato.

Il Prefetto Librizzi invece di rivolgersi al ministro degli Interni perché si valutasse  la rimozione di un  sindaco recalcitrante ad osservare la Costituzione e le leggi (come prevede l’articolo 145 del Testo unico Enti locali), condotta ancora più grave perché tenuta in un momento particolarmente delicato della vita civile del Paese, ha fatto una cosa senza precedenti: ha inoltrato le osservazioni critiche del sindaco al Presidente del Consiglio dei ministri.

Forte dell’incredibile sponda del prefetto, il sindaco la notte del 13 marzo ha adottato tre nuove ordinanze c.d.”contingibili e urgenti”: due di queste specificative della principale.

Al di là del merito dell’ultime misure in esse contenute, basta leggere l’ordinanza principale e confrontarla con la legge per cogliere immediatamente come De Luca di rispettare quest’ultima non abbia alcuna voglia. Continua, infatti, a ritenere che il sindaco abbia competenza in materia di misure atte a contenere la diffusione del coronavirus.

A questo fine, ha manipolato e stravolto il testo e il significato del decreto legge n° 9 del 2 marzo del 2020..

Ecco cosa stabilisce uno dei provvedimenti principali dettati dal Governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus:

coronavirus art 35 legge

Il tenore della norma è chiaro e la ratio pure: le misure di contenimento vanno assunte uniformemente a livello nazionale perché il problema è nazionale e le misure devono contemperare e bilanciare i vari valori costituzionali e le varie esigenze e interessi in gioco,ciò che può fare solo il Parlamento e su delega di questo il Governo sulla scorta dell’ausilio dei tecnici che hanno competenze e dati a disposizione e non certo un sindaco, per quanto eroico, di uno dei mille e più comuni di Italia.

Per De Luca l’articolo 35 ha il significato esattamente opposto.

Ecco cosa scrive nel preambolo dell’ultima ordinanza:

preambolo de luca

Nulla di più falso.

L’articolo 35 non dice quello che falsamente rappresenta De Luca nel provvedimento.

Se fosse vero ciò che sostiene De Luca, l’ordinanza “coprifuoco” sarebbe stata perfettamente in linea con la legge.

Infatti con quell’ordinanza De Luca ampliava ancora di più le limitazioni fissate dai vari decreti del presidente del Consiglio (attuativi dei decreti legge) e rendeva più efficaci – solo dal suo opinabile punto di vista – ai fini del contenimento della diffusione del virus, le già stringenti disposizioni statali.

E’ evidente che De Luca non voglia in nessun modo accettare che finché la Costituzione (a cui ha giurato fedeltà) non verrà cambiata le Libertà fondamentali della persona potranno essere limitate soltanto con legge e nei casi e con le modalità da questa stabiliti.

E’ chiaro che non voglia capire che in ogni caso le ordinanze contingibili  e urgenti possono essere adottate dal sindaco soltanto nelle ipotesi in cui si tratti di fronteggiare emergenze sanitarie di tipo “esclusivamente locale”.

Tale non è di sicuro l’emergenza coronavirus.

L’articolo 50 del Testo unico enti locali, al comma 5, è sul punto chiarissimo.

ordinanze conting

La ragione è di immediata evidenza: evitare che a fronte di un problema di rilievo nazionale un sindaco adotti provvedimenti, magari  pure in astratto massimamente protettive della propria comunità ma che determinino un danno alle comunità di altre città: si pensi, ad esempio, di misure così liberticide di un comune che spingano le persone a spostarsi in massa nel comune vicino, creando problemi di ordine pubblico.

Ora, che a De Luca, scienziato della propaganda politica, queste semplici regole non vogliano entrare in testa è comprensibile: se le rispettasse dovrebbe darsi una calmata e supereroi che non facciano cose straordinarie ancora non se ne sono visti.

Stupisce e non poco che chi dovrebbe arginarlo e sanzionarlo,ovvero il prefetto Librizzi, gli tenga bordone.

Ordinanza “coprifuoco” e sciacallaggio, il flop di Cateno De Luca. Il provvedimento è palesemente nullo, ma il sindaco insiste e terrorizza ipotizzando scenari apocalittici: ” A Messina pochi posti di Terapia intensiva”.

Download PDF

Il sindaco in mascherina Cateno de Luca

Il sindaco in mascherina Cateno de Luca

Non occorreva la scienza di un giurista per capire che il sindaco Cateno De Luca non potesse adottare l’ordinanza “coprifuoco” sbandierata con l’orgoglio esibizionista di un podestà nelle trasmissioni Rai di ieri e sui giornali di mezza italia.

Il ministro degli Interni e il Prefetto, rappresentante del Governo a Messina, ci hanno messo poco a rilevarlo..

Bastava avere un minimo di cognizioni giuridiche, quelle elementari della scuola superiore, per comprendere che al sindaco mancava completamente il potere di adottare l’ordinanza con cui ha superato (in senso restrittivo per i cittadini) la legge e i decreti attuativi del presidente del Consiglio dei ministri varati per fronteggiare l’emergenza coronavirus.

Sarebbe stato sufficiente, innanzitutto, conoscere (tanto per citarne uno) l’articolo 16 della Costituzione per il quale la libertà di circolazione può essere limitata solo con legge.

Qualunque fosse il contenuto dell’ordinanza cosiddetta contingibile e urgente, anche se per ipotesi avesse recepito completamente il contenuto dei decreti (e nel caso di specie non è assolutamente così), De Luca non aveva alcun potere di adottarla, punto e basta.

E per due ragioni.

La prima: la legge che prevede la possibilità di limitare le libertà dei cittadini per fronteggiare il coronavirus stabiliva che eventuali ordinanze dei sindaci potessero avere efficacia sino all’entrata in vigore dei decreti del presidente della Repubblica.

La seconda: in ogni caso il Testo unico enti locali, all’art. 50, offre la possibilità di ordinanze contingibili e urgenti per fare fronte a situazioni di emergenza sanitaria ,solo se si tratta di problematiche squisitamente locali, cioè che non è sicuramente l’emergenza coronavirus. C‘è una ragione di fondo di logica e di buon senso. Anche a voler sorvolare su un principio fondamentale dello Stato liberaldemocratico, ovvero che la libertà personale possa essere solo limitata per legge. Qualcuno può immaginare  provvedimenti così delicati con ripercussioni gravi sulle libertà della persona, che a fronte dello stesso problema nazionale a Messina valgono, a Villafranca no e poi a Milazzo assumono altre forme?

Ora, De Luca appresa la bocciatura del Viminale e del prefetto di Messina, insiste e annuncia che andrà avanti, ma è chiaro, lo era già prima, che un provvedimento completamente illegittimo, in carenza assoluta di potere, non obbliga alcun cittadino a rispettarlo e obbliga per contro gli agenti di polizia municipale a non eseguirlo, salvo che non vogliano incorrere in responsabilità penale.

Per il sindaco i provvedimenti del Governo, che limitano come mai nella storia della Repubblica italiana la libertà dei cittadini per fronteggiare una situazione di emergenza ingigantita in maniera ingiustificata a tal punto da farla diventare terrore, sono “acqua fresca”.

Saranno acqua fresca, ma lui il sindaco ha giurato di essere fedele alla Costituzione e di rispettare le leggi della Repubblica e nel caso di specie di questo giuramento pare si sia dimenticato.

Ma la condotta spregiudicata del sindaco è ancora più grave perché se n’è dimenticato in un momento particolarmente delicato, strumentalizzando e aggravando lo stato di paura e ansia in cui tutti gli italiani sono stati piano piano, giorno dopo giorno, portati.

“Se si diffondesse il virus a Messina non ci sono sufficienti posti letto in Rianimazione. Ce ne sono solo 10, 44 in tutta la Regione”, ha affermato in una delle tante dirette facebook e facendo così credere ai suoi amati cittadini che sono particolarmente sfortunati e che se li beccasse il virus non avrebbero scampo.

Si tratta di affermazione fondata su dati non del tutto corretti e su scenari al momento ragionevolmente non ipotizzabili.

Il Policlinico universitario ha 22 posti ordinari di Rianimazione; sono stati già portati a 30 e entro marzo saranno totalmente dedicati al coronavirus.. Altri 20 posti sono al Papardo. Nell’azienda universitaria un intero padiglione, l’H,  è stato già svuotato e sarà dedicato agli eventuali contagiati di coronovirus che non avranno bisogno di terapia intensiva.Senza contare la presenza di un’altra azienda ospedaliera, l’Irccs Neurolesi Piemonte.

In ogni caso, lo scenario apocalittico che rappresenta De Luca non ha alcun appiglio epidemiologico, a Messina e provincia tutt’altro che allarmante se si tiene conto che sono già in atto misure di contenimento del contagio senza precedenti: ci sono solo 8 positivi e 4 di questi non sono neppure ricoverati.

De Luca non si è ancora accorto – e forse qualche giurista che circola sempre appresso a lui facendo incetta di incarichi di sottogoverno farebbe bene a ricordarglielo – che sempre secondo Testo unico Enti locali tanto sbandierato ma solo nella parte in cui gli attribuisce poteri, c’è una norma all’articolo 142: “Per atti contrari alla Costituzione e gravi e persistenti violazioni di legge con decreto del presidente del Consiglio il sindaco può essere rimosso”.

Non che ci sia un ministro capace di tanto, specie ai tempi del coronavirus in cui della Carta costituzionale è stata fatta carta straccia.

Qualcuno ieri sera ha scritto che Cateno De Luca non abbia fatto altro che copiare e incollare le misure del Governo o che addirittura le abbia anticipate, con doti di preveggenza formidabili. Poco c’è mancato che tra i suoi adoratori ci fosse qualcuno che affermasse fosse stato lui a dettare il contenuto dell’ultimo decreto di ieri sera al premier Giuseppe Conte.

Nulla di più falso. De Luca nella piena manifestazione di incontrollabile smania di esibizionismo è riuscito ad essere più liberticida di Conte.

E’ sufficiente confrontare l’Ordinanza coprifuoco con i provvedimenti nazionali.

Intanto, quello che per i decreti di Conte è “evitare di circolare se non per comprovate ragioni ecc ecc” è diventato nell’ordinanza di De Luca “divieto di circolare, salve le comprovate ragioni ecc. ecc”, con una differenza di non poco conto sotto il profilo della tassatività del divieto e dell’ eventuale responsabilità penale di chi fosse stato trovato fuori casa magari da solo a fare una passeggiata o anche una corsetta.

Il sindaco sospende tutta l’attività degli studi medici, diagnostiche e laboratori di analisi cliniche, salve comprovate esigenze ecc ecc.

De Luca, ancora, addirittura deroga a quanto stabilisce il presidente Conte nell’ultimo decreto.

Il primo cittadino chiude infatti le attività di front office di banche e uffici postali, per cui chi non possiede l’internet banking o semplicemente una connessione internet non può capire per un mese cosa stia accadendo ai propri conti mentre nel decreto è previsto che “restano garantiti i servizi bancari, finanziari e assicurativi”.

Ancora vieta anche l’attività di consegna a domicilio che per contro per il decreto del presidente del consiglio deve “rimanere consentita”.

Introduce limitazioni non previste dai decreti del premier, sospende tutti gli studi veterinari e le cliniche veterinarie e riduce i giorni e gli orari di apertura dei negozi di prodotti per gli animali. Chiudeva gli ambulatori medici e i laboratori di analisi, tranne di pediatri e medici di famiglia.

Infine, alla sanzione penale in caso di inosservanza ne aggiunge una amministrativa pecuniaria.

Insomma, si tratta di disposizioni peggiorative (rispetto alle libertà dei cittadini) rispetto ai decreti di Conte e dunque da non osservare e non sanzionabili, come gli ha fatto osservare il prefetto di Messina.

Insomma, tanto rumore, per qualche ora di visibilità in più.

Cateno De Luca, il “liberticida illuminato” che sguazza nel clima (ingiustificato) di terrore in cui è stata fatta precipitare l’italia. Il sindaco annuncia di voler violare la Costituzione e il codice penale e ai tempi del coronavirus diventa il “personaggio” del giorno

Download PDF

Cateno De Luca "in versione "francescano"

Cateno De Luca “in versione “francescano”

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salve le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza”, stabilisce la Carta Costituzionale.

La legge, o meglio il decreto legge, emanato per contrastare l’emergenza sanitaria determinata dal corona virus è di fatto liberticida: chiude, infatti, un intero paese, recinta nella propria casa milioni di persone ma è giustificato da un’ epidemia virale fatta diventare emergenza e soprattutto (ingiustificatamente) terrore, ammesso che il terrore possa essere razionalmente mai giustificato.

Pur limitando fortemente la libertà sancita dalla nostra Costituzione all’art. 16, una delle libertà fondamentali della persona, il decreto legge del 26 febbraio scorso poi convertito in legge dal Parlamento e attuato con due Decreti del presidente del Consiglio non si era certo spinto a ordinare il coprifuoco, tipico dello stato di guerra o meglio dei regimi dittatoriali.

Quello che il Governo nazionale non si è neppure sognato di fare a Messina diventa realtà.

Cateno De Luca, il sindaco della città, è andato su una delle reti Rai e davanti a milioni di Italiani ha ribadito che a Messina da domani nessuno potrà più uscire di casa: ha già pronta l’ordinanza.

Ma attenzione l’ adotterà nell’interesse dei cittadini, perché li ama, tiene alla loro salute.

E’ insomma un liberticida illuminato e amorevole.

Non bisogna aver frequentato l’Università per capire che un provvedimento del genere, qualora fosse emanato, sarebbe palesemente illegale e nessun pubblico ufficiale potrebbe applicarlo senza andare incontro a responsabilità penale in concorso con lo stesso sindaco.

De Luca ha l’aggravante di aver conseguito – pare – la  laurea in Giurisprudenza. Parafrasando Pier Paolo Pasolini, si potrebbe dire che non c’è nulla di peggio di un laureato in legge che non ha cultura giuridica.

Ma il sindaco che da alcuni giorni fa la ronda per la città in versione “francescano” non è uno sprovveduto e sa benissimo che simile provvedimento (se eseguito) può solo creargli guai giudiziari (per la prima volta probabilmente fondati su prove inconfutabili).

Il suo vero obiettivo De Luca l’ha già raggiunto: è diventato ancora una volta un personaggio pubblico di rilievo nazionale. Questa volta per un’altra emergenza, più precisamente una possibile emergenza.

Dopo l’emergenza baracche, De Luca è entrato nelle case di tutti gli italiani, impauriti da un virus che li bracca ferocemente. Vuole fare ciò che a nessun politico di Italia, a nessun sindaco, neppure quelli delle località dove ci sono centinaia di contagiati, è venuto in mente: violare la Costituzione per evitare l’emergenza sanitaria dovuta alla carenza di posti di rianimazione in città.

Ora se un qualunque cittadino italiano annunciasse che domani ha intenzione di commettere un reato verrebbe fatto visitare da uno psichiatra o tenuto sotto controllo dagli agenti di polizia.

Invece nel paese del terrore che è diventato l’italia è stato ospitato dalla rete del servizio pubblico (pubblico, si fa per dire) .

De Luca ha così soddisfatto la sua smania irrefrenabile di apparire, il bisogno dare un senso al suo ego smisurato.

Ama i suoi cittadini ma si è arruolato (lo aveva già fatto 20 giorni fa,ordinando l’inutile disinfezione delle scuole) tra i tanti, troppi spargitori di terrore e paura: gli unici che hanno spazio sui media e annullano le voci di chi con razionalità e con i dati in mano cerca di spiegare il problema coronavirus senza atterrire le persone.

Vuole proteggere la loro salute, ma aumenta lo stato d’ansia in cui la gente è stata fatta precipitare. I messinesi dopo la sua iniziativa non avranno solo paura del virus, avranno paura che se lo beccano non potranno contare sui posti di Rianimazione e quindi non avranno scampo: sicché più che di posti in Rianimazione ci sarà sempre più bisogno di spazio nei reparti di salute mentale. 

Fa riflettere che il suo annuncio non abbia suscitato reazioni forti di indignazione o protesta nessuna forza politica,di destra o di sinistra che sia (salvo qualche voce isolata); di nessun sindacato confederale; di nessuna associazione. Tutti allineati.Tutti silenziosi.

E questo è molto preoccupante seppur prevedibile.

Sul clima di terrore si costruiscono le dittature o le si consolidano (non è neppure necessario scomodare Hannah Arendt): non è un caso che la propaganda dei regimi totalitari è stata sempre tesa, attraverso la manipolazione della realtà, a creare il terrore. In nome del nemico, rappresentato in forme mostruose, che mette a rischio la salute o la sicurezza, si limitano le libertà. Oppure si muovono guerre. O si sterminano delle etnie.

Facendo leva sulla paura (quella della morte è la meno controllabile) nelle democrazie si ottiene il consenso.

In pochi si sono accorti che quello che sta vivendo l’Italia è il momento più delicato della sua storia repubblicana: oltre al benessere economico (irrimediabilmente compromesso per anni ormai, specie al sud), sono infatti in gioco la democrazia e la libertà, le vere vittime di un virus descritto come terribile da sciacalli (che diffondono fake di tutti i tipi), personaggi in cerca notorietà e posti di potere e politici inetti o opportunisti, con la complicità determinante e criminale delle testate giornalistiche e dei giornalisti, attirati dall’aspettativa di qualche punto in più di audience o di copie vendute.

Quello che accaduto nelle carceri nei giorni scorsi, con rivolte dei detenuti e 13 morti, è il chiaro segnale di ciò che quando si semina terrore si sa come la storia inizia ma non si può prevedere a quali conseguenze possa portare.

Un virus che crea si dei problemi (a una parte limitata di coloro che lo contraggono) ma che terribile non è, come pure tentano invano di spiegare intimiditi dal clima ostile alcuni scienziati, la cui voce è soffocata dalle urla di colleghi che la pensano in maniera diversa e hanno già da mesi libri pronti da pubblicare in cui si parla giustappunto di virus terrificanti.

Un virus così “terribile” che pur circolando nel paese dal dicembre del 2019, quindi da 4 mesi, ha contagiato (nel senso che hanno manifestato dei sintomi) – secondo i dati diffusi dal quotidiano bollettino della protezione civile – 11 mila persone (su 60 milioni di abitanti, ovvero in termini percentuali lo 0,18%  della popolazione). Il virus ne ha (o avrebbe) uccise 823, il 90% dei quali con età superiore ai 70 anni; il 60% con età superiore agli 80 anni, quasi tutti con due o tre patologie.

Avrebbe, perché in realtà nello stesso bollettino si precisa che “il numero potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso”. E allora se il numero deve essere confermato, e se deve essere stabilita la causa effettiva del decesso, perché viene diffuso nel corso della drammatica conferenza stampa di ogni giorno alle 18 e propinato alla gente in angosciante attesa come numero certo? 

Comunque, sinora, “sarebbero” decedute neppure un decimo delle persone che ogni anno muoiono (l’80% nel periodo invernale) – secondo i dati dell’Istat – per l’influenza virale stagionale (10 mila persone a cui vanno aggiunte 4 mila per setticemia).

Nel 2009 si affacciò in Italia un virus nuovo come questo, l’N1H1, noto come suina. Descritto come molto virulento e diffusivo mise in allarme le autorità sanitarie. Si temeva una pandemia. Ma nessuno se ne andò in televisione al primo morto a seminare terrore. Non si terrorizzò la gente, non si gettò il paese nel caos, non lo si chiuse.

Si gestì in via ordinaria la problematica sanitaria, che poi si rivelò meno grave di come si fosse paventato perché il sistema immunitario di ciascun individuo si adattò al nuovo virus e lo tenne a bada,secondo quelle che sono le regole della natura e della lotta per la sopravvivenza tra gli essere viventi.

I contagiati furono un milione e mezzo, in molti morirono (sempre tuttavia nella stessa percentuale di ogni anno e sempre tra le persone più anziane e già debilitate).

L’N1H1 ancora oggi fa morti, anche tra persone giovani, come le decine di virus che circolano e circoleranno sempre: salvo che qualche “sindaco scienziato” non sia capace di imporre loro il coprifuoco.

 

 

 

L’OPINIONE (dell’uomo della campagna): Coronavirus, letale solo per una classe dirigente inetta e per il giornalismo delle sciagure inventate. Il contributo (minimo) del sindaco De Luca alla follia ipocondriaca collettiva in cui è precipitata l’Italia

Download PDF

coronavirus foto

Non ci sono casi di contagio in città e i virus, tutti i virus, resistono fuori dal corpo umano al massimo, se ci sono condizioni favorevoli, per poche ore.

Ma le scuole di Messina sono state chiuse per tre giorni, dal 29 febbraio al 3 marzo, per effettuare la disinfestazione.

E per le stesse finalità è stato disposta la chiusura a scoppio ritardato, cioè la settimana successiva e in prossimità della festa della donna dell’8 marzo, dei pubblici uffici comunali.

Poteva desistere il sindaco Cateno De Luca, maestro di propaganda politica, dall’unirsi a governanti inetti, scienziati in cerca di notorietà e giornalisti (disutili) idioti e dare così il suo contribuito per alimentare la follia ipocondriaca collettiva e autolesionistica in cui è precipitata l’Italia per effetto dell’emergenza corona virus?

E’ sufficiente leggere le due ordinanze (che De Luca formalmente non firma) e consultare un qualunque virologo per capire come detti provvedimenti siano scientificamente inutili e quindi giuridicamente immotivati.

A Messina chi dovrebbe infettare chi e cosa?

Ma facciamo pure finta che i casi contagio ci fossero stati  e che qualche bambino o docente avesse lasciato il virus sui banchi della scuola.

Il virus non avrebbe superato la notte.

Tant’è che la disinfestazione non è stata disposta neppure in Liguria dove le scuole sono chiuse da una settimana e le lezioni riprenderanno dopo 2 settimane lunedì prossimo.

La chiusura con relativa sanificazione degli uffici comunali aperti al pubblico è ancora più curiosa: il 28 febbraio c’è pericolo di contagio a scuola, ma quello negli uffici comunali è previsto si concretizzi una settimana dopo.

La disinfezione non serve a nulla (uno dei rinomati blitz del primo cittadino a caccia di virus avrebbe avuto lo stesso effetto), se non alle ditte che la effettuano a spese delle istituzioni scolastiche. Ma ha fatto la gioia di insegnanti, di studenti e impiegati comunali, per l’inattesa vacanza e la percezione che qualcuno fintamente si occupi della loro salute, o meglio della paura di una minaccia grave e incombente per la vita, aumentandone i consensi.

Che però non c’è.

De Luca arriva da buon ultimo a dare il suo apporto e le misure adottate dimostrano in quale oscuro tunnel di irrazionalità si è finiti.

Scriveva Leonardo Sciascia, ne Il Cavaliere e la morte, che se non ci fosse il diavolo non servirebbe l’acqua santa.

Il diavolo non l’ha mai visto nessuno, ma grazie al diavolo milioni di persone hanno dato un senso alla loro vita o costruito una professione o carriera.

Se non ci fosse la “diabolica” emergenza coronavirus, i vari “santi” scienziati (o presunti tali) che troneggiano con la faccia preoccupata e l’aria di chi non può dire tutto 24 ore al giorno in televisione, su tutte le reti, come potrebbero dare manifestazione del loro smisurato ego? Quando mai sarebbero divenuti personaggi pubblici?

E i giornalisti che per aumentare l’audience o vendere qualche copia di giornale in più parlano in termini apocalittici di ciò che non conoscono, non dovrebbero occuparsi di cose reali e più difficili da raccontare?

E, ancora, gli uomini di governo invece di bucare perennemente  lo schermo televisivo, facendo finta di proteggere la gente dalla minaccia di una pandemia, non dovrebbero dimostrare di essere in grado di risolvere problemi molto più concreti?

“Chi verrà a contatto con il virus morirà”: è questo il messaggio che tutti questi signori hanno veicolato per giorni, gettando nel terrore gli italiani.

L’italia è finita in un vortice psicotico senza precedenti nella storia del secondo dopoguerra.

Scuole chiuse, assalto ai supermercati, scorte di mascherine, economia sospesa con danni incalcolabili all’immagine dell’Italia.

Erano e sono i numeri ad attestare che l’emergenza corona virus non esiste nei termini apocalittici in cui è rappresentata.

Si tratta di una normale epidemia da virus, una tra quelle con cui l’umanità ha avuto e avrà a che fare da sempre. Ogni anno.

In Italia, dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, oltre un mese fa, 2500 persone hanno contratto il virus, ovvero lo 0,041 % della popolazione residente o stabilmente dimorante in Italia. Percentuale in linea con quella che si ottiene analizzando i dati di contagiati e morti in Cina, da dove l’epidemia sarebbe partita due mesi fa.

Ma attenzione la metà di questi non ha alcun sintomo, neppure un mal di gola. Altro che virus letale.

I morti? 79, ovvero il 3% dei contagiati censiti: non si può non ritenere infatti che ci siano in giro per l’Italia migliaia di persone contagiati e non censiti (proprio perché asintomatici). Ma non sono morti per il virus, no. Semmai perché il virus è andato ad aggravare un quadro clinico già compromesso,in persone per lo più anziane.

Esattamente quello che accade ogni anno, in coincidenza con il ciclico virus influenzale. Non c’è famiglia che non possa piangere un morto a causa anche del virus.

Le organizzazioni sanitarie calcolano che tra i 5 e i 6 milioni di persone finiscono a letto ogni anno per l’influenza in Italia. I più vulnerabili, affetti da malattie pregresse, stimati nell’ordine di 10000, ma la stima è per difetto, muoiono.

E’ questo il motivo per cui si procede alla vaccinazione autunnale.

Mai nessuno si è sognato negli anni scorsi di adottare le misure di prevenzione del terrore (chiusura scuola, uffici, negozi, stadi ecc), mettendo in ginocchio un paese.

Neppure nel 2009, quando circolava un virus quello sì letale, l’N1H1, che infatti colpì portandole alla morte persone giovani e sane.

Se questi sono i dati, si capisce benissimo che il clima di terrore non è giustificato, e attiene a voler essere prudenti più al mondo della psichiatria che a quello dell’infettivologia, sempre che non  si voglia scomodare dietrologiche ipotesi economiche.

Erano e sono gli stessi super esperti incaricati di fronteggiare l’emergenza a contraddirsi e ad ammettere che di loro stessi si poteva benissimo fare a meno.

Vittorio De Micheli, responsabile dell’unità di crisi della Lombardia, uno tra coloro che il coronavirus ha fatto diventare protagonista, ha dichiarato a “Il corriere della sera” di qualche giorno fa: «Il virus clinicamente non dà problemi, o comunque è facilmente risolvibile, nel 90% dei pazienti. Ma in oltre il 10%, soprattutto se anziani, comporta problemi gravi che richiedono un ricovero in Terapia intensiva».

Precisamente quello che accade ogni anno, senza però – e qui sta un altro degli effetti disastrosi generato dal clima di terrore – che i reparti di Terapia intensiva fossero presi d’assalto.

Si è mai sognato qualche medico di famiglia di mandare al pronto soccorso un anziano allettato da anni che viene beccato dall’influenza?

Si è mai azzardato il medico del Pronto soccorso di disporre il ricovero in terapia intensiva, che ha posti limitati, un malato terminale di tumore che prenda l’influenza?

Quello che è contro il buon senso e la scienza quest’anno nel clima di terrore è accaduto.

Se domani qualcuno facesse passare l’idea che la candida fosse mortale, gli ospedali sarebbero presi d’assalto da almeno il 50% della popolazione italiana. E non basterebbero tutti i laboratori d’ Italia a smaltire le richieste di tamponi.

IL CORSIVO. “Ex gil”: come ti risolvo un problema trentennale in diretta facebook e in un’ora. Se il metodo “deluchiano” del blitz non colpisce i veri responsabili, non migliora le cose e lascia il deserto

Download PDF

Il sindaco Cateno De Luca e il custode dell'ex Gil

Il sindaco Cateno De Luca e il custode dell’ex Gil

“Licenziare i custodi per scarso rendimento e chiudere l’impianto per carenze igieniche strutturali”.

E’ bastato che il sindaco Cateno De Luca si spostasse per un’oretta da Palazzo Zanca  ed ecco che uno dei tanti problemi della città è stato risolto.

Il clamore, quello che tanto eccita il primo cittadino, che nei suoi continui blitz si muove con telecamera al seguito, in questo caso è stato pure amplificato: il custode, sorpreso a vedere la televisione in orario di servizio e umiliato da De Luca in veste di attore comico, è salito su un tetto minacciando di buttarsi giù.

Il problema “ex Gil” è stato risolto radicalmente.

In un batter baleno ci si è liberati di custodi ignavi, scansafatiche e “ruba stipendio” e dei costi di manutenzione dell’unico impianto sportivo di atletica del centro città, la cui pista solo un anno fa era stata rifatta per la modica cifra di 200 mila euro.

Un risparmio per le esangui casse del Comune senza precedenti: da “Manuale del (perfetto) aspirante amministratore comunale”, per citare il libro che il sindaco ha pubblicato qualche tempo prima di essere eletto, a maggio del 2018, alla guida della città.

E gli sportivi? Gli utenti dell’impianto? Le decine di ragazzini che al pomeriggio si allenano? I giovani che invece di stare nelle sale giochi o nei luoghi di spaccio socializzano con i coetanei, abituandosi alla fatica? Le persone di mezza età o anche anziane che preferiscono lo sport alle sale bingo?

Beh,quelli se ne facciano una ragione. Il risparmio prima di tutto.

D’altronde, basta attendere qualche mese e l’impianto verrà dato in gestione a qualche privato che lo renderà funzionale, moderno, pulito.

Qualche privato disposto pure a perdere denaro pure di mostrare che De Luca è un genio dell’amministrazione della cosa pubblica.

Anzi, non si capisce perché non lo si imiti pure nelle altre città d’italia, dove ancora i sindaci e gli assessori  pensano che siano eletti (e anche pagati) per risolvere i problemi: trovare i fondi e ristrutturare gli immobili pubblici fatiscenti; fare pulire e far lavorare il personale e in caso estremo licenziarlo dopo aver seguito le procedure di legge.

Dove fanno i conti con un principio elementare: ci sono servizi pubblici i cui ricavi non possono coprire i costi, servizi che vanno finanziati con la fiscalità generale.

Invece De Luca è avanti: per un anno lascia marcire il problema e poi con un blitz lo risolve.

E’ come se il direttore generale di un ospedale, che per un anno ignora le segnalazioni dei pazienti sui disservizi in un reparto e sulle perdite di acqua dai soffitti, poi una mattina si sveglia, va nel reparto, trova i medici e infermieri che sono nei corridoi a chiacchierare e che fa?

Licenzia tutti e chiude il reparto, facendo pentire gli utenti di aver segnalato le disfunzioni.

E’ ovvio, non c’è neppure bisogno di scomodare gli avvocati, che nessun giudice avallerà il licenziamento dei custodi operato secondo i metodi “deluchiani”. E per le casse pubbliche c’è da augurarsi che i dirigenti, cui il sindaco ha dato disposizioni in tal senso, non le traducano in un provvedimento concreto e suicida.

Non perché i custodi non meriterebbero di essere licenziati. E De Luca, più in generale, non colga nel segno, come tutti sanno, nell’individuare ad ogni blitz sacche vergognose di lassismo e di parassitismo, a cui nessuna amministrazione precedente ha mai provato a rimediare. 

Chiunque frequenta quell’impianto sportivo sa che da sempre i custodi omettono di compiere qualsiasi attività che sia diversa da chiudere e aprire la porta, accendere e spegnere le luci. E passano le otto ore di servizio a non fare niente.

L’erbaccia invade la pista e le radici la deteriorano? “Non è compito nostro”. Ci sono bottiglie e rifiuti sulla pista? “Non è compito nostro”. Gli spogliatoi e i bagni sono sudici? “Non è compito nostro”.

E’ stata sempre questa la risposta che hanno dato, spalleggiati da complici sindacalisti che invece di difendere il lavoro e gli interessi collettivi, difendono il loro posto di lavoro e i relativi privilegi.

Per non dire di alcuni di loro che alla sera in inverno arrivano a chiudere un’ora prima o, più in generale, quando fa loro comodo. E non raccontare di come per un anno a un “signore”  (peraltro medico di professione) i custodi abbiano permesso che ogni lunedì mattina entrasse direttamente negli spogliatoi, si depilasse testa e il corpo, facesse la doccia e andasse via lasciando sul pavimento un tappetino di “morbido tessuto”.

Nessun dirigente, e qui vengono a galla le vere e gravi responsabilità, però ha mai imposto con ordine di servizio lo svolgimento delle mansioni ai custodi, benché il contratto collettivo enti locali sia chiaro sul punto: disciplina sola la figura di custode del cimitero e prevede che questi debba pulire finanche la stanza settoria, dove si fanno le autopsie, figurarsi se il custode degli impianti sportivi, peraltro dotato di abitazione gratis, possa limitarsi ad aprire e chiudere le porte, giustificandosi così uno stipendio pari a quello del collega.

Né quindi nessun dirigente del Comune, magari uno di quello che da anni incassa al 100% l’indennità di risultato come se avesse centrato tutti gli obiettivi, ha mai adottato sanzioni disciplinari idonee a fondare progressivamente un licenziamento legittimo.

Né tantomeno mai è stato istituito un orologio marcatempo, con tanto di badge, pure obbligatorio per legge.

Altro che “tutto era pulito, funzionante e in ordine durante la precedente sindacatura di Renato Accorinti”, come ha scritto tra lo stupore di tutti gli addetti ai lavori in un comunicato stampa “Messina accomuna”, sigla riconducibile all’ex assessore Guido Signorino e allo stesso Accorinti.

A ben vedere, di questi ordini di servizio non ce ne dovrebbe essere neppure bisogno se solo chi ha la fortuna di avere un lavoro in una città con punte di disoccupazione di oltre il 30%, desse dignitosamente un senso allo stesso, senza nascondersi dietro cavilli giuridici,  interpretazioni contrattuali e sindacalisti pessimi.

Il custode non può certo rispondere delle carenze strutturali.

Queste invece richiamano alle responsabilità i dirigenti, su cui De Luca per la verità ha acceso egualmente i riflettori, gli assessori e lo stesso sindaco, sempre più specialista della politica del blitz che, però, alle spalle lascia solo il clamore mediatico e davanti il deserto.

IL CASO (semiserio): Tempostretto ha copiato o il giornalista vittima della novella Gutenberg scambia lucciole per lanterne? La direttrice della testata on line Rosaria Brancato mette in crisi Michele Schinella. Il giudizio ai lettori

Download PDF

La direttrice di Tempostretto Rosaria Brancato

La direttrice di Tempostretto Rosaria Brancato

 

L’incidente – se così lo si vuole chiamare – invero di poca importanza è nato dalla lettura di un articolo a firma Alessandra Serio dal titolo: “Operazione beta 2, oggi gli interrogatori. Al confronto anche Parlato”, apparso il 30 ottobre del 2018 sulla testata giornalistica on line Tempostretto, in cui si racconta degli arresti di Salvatore Parlato, il funzionario del Comune di Messina accusato di essere stato corrotto dagli esponenti del clan Romeo.

“Per dindirindina – ha pensato il lettore Michele Schinella, per puro caso anche giornalista – quello che leggo specie nella parte centrale mi ricorda ciò che scrissi un anno fa: stesse frasi, stesso stile”.

Un rapido controllo nell’archivio del suo blog www.micheleschinella.it lo ha reso orgoglioso di questa professione: “Una testata così prestigiosa ha copiato e incollato periodi interi di un mio articolo, modificando qualche verbo, forse non ritenuto appropriato”, ha osservato.

Precisamente, si trattava dell’articolo scritto un anno prima, il 27 settembre del 2017, dal titolo: “Le mani della mafia sul risanamento: l’assessore Sergio De Cola impermeabile, l’intermediazione dell’amico Raffaele Cucinotta, la distrazione decisiva dell’architetto Salvatore Parlato. Ecco cosa dicono le carte dell’inchiesta sul clan capeggiato da Enzo Romeo”.

Nel pezzo, quando ancora Parlato non era indagato si mettevano in evidenza i comportamenti “strani” del funzionario del Dipartimento Urbanistica nella vicenda dell’acquisto da parte del Comune di alcuni immobili da destinare ai baraccati di fondo Fucile.

“Che onore! Sono lusingato!”, ha esclamato fra sé e sé Schinella.

Poi ha riflettuto: “Ma i lettori, a favore del cui diritto di essere informati correttamente tale testata si batte coraggiosamente a dispetto delle minacce operate da sindaci liberticidi e da indegni detrattori, non ne dovrebbero essere informati?”.

A questo fine ha scritto una mail alla direttrice Rosaria Brancato e all’amministratore della società editrice Pippo Trimarchi: “Sono onorato che interi brani del mio articolo siano stati copiati e incollati, vi prego però di farlo sapere pure ai lettori”, questa la sintesi della mail inviata giovedì 8 novembre 2018.

La risposta della direttrice Rosaria Brancato giunge due giorno dopo e fa entrare in uno stato di preoccupazione Schinella: “Ho esaminato i testi. Non ho riscontrato alcun copia-incolla da parte della collega. Le parti che risultano uguali infatti sono le trascrizioni delle intercettazioni che fanno parte dei provvedimenti emessi dai magistrati e che, gioco forza, non possono che essere uguali sia rispetto al tuo articolo che a quelli di altri colleghi che se ne sono occupati“, ha risposto la direttrice.

L’amministratore Trimarchi è rimasto silente.

La Brancato ha ammesso che ci sono parti uguali, ma si tratta di trascrizioni di intercettazioni, per loro natura uguali per tutti.

Dunque, Michele Schinella ha visto un copia incolla dove non c’era. Ha scambiato lucciole per lanterne.

E’ superfluo dire che per un giornalista si tratta di una cosa davvero molto grave. E preoccupante: “Non potendo certo pensare che le Sue conclusioni (e quelle dell’editore) siano frutto di mancanza di capacità tecniche o di onestà intellettuale, qualità queste che Le sono riconosciute all’unanimità, per mia tranquillità mi trovo nella necessità di capire se io abbia preso un abbaglio tanto grosso quanto grave“, ha sottolineato Schinella in un’ulteriore mail alla direttrice .

Detto, fatto. Chi più del lettore può togliere il dubbio a Schinella?

La parola ai lettori

Scriveva Schinella il 28 settembre del 2017:

schinella su parlato 1

Riporta Tempostretto il 30 ottobre del 2018, un anno e un mese dopo:

tempostretto copia 1

Per la Brancato le parti uguali dipendono dal fatto che si tratta di un’intercettazione, la cui trascrizione in quanto tale è uguale per tutti i giornalisti.

Tuttavia, la direttrice non sa o, ipotesi assurda, fa finta di non sapere che: il termine suggerire riferito da Schinella a Raffaele Cucinotta e usato pure da Tempostretto nella carte dell’inchiesta non c’è; che gli inquirenti trascrivono il colloquio senza accompagnare lo stesso da verbi dice, aggiunge, afferma, risponde, chiede ecc e alcuni di questi verbi risultano identici nei due testi; che nel caso di specie, Schinella omette alcuni passaggi della breve trascrizione riportata negli atti dell’inchiesta che per puro caso risultano omessi pure dalla giornalista di Tempostretto.

Ma non è certo questo passaggio che da solo ha fatto andare in brodo di giuggiole Schinella, ritenutosi l’ispiratore di Tempostretto.

Scriveva, infatti, Schinella il 27 settembre del 2017:

schinella parlato 2 bis

Riporta Tempostretto a un anno e un mese di distanza, il 30 ottobre del 2018:

tempostretto su parlato 2 bis

Ora, è palese che quanto scrive Schinella non è un’intercettazione, come ha affermato la direttrice Brancato. Né si tratta di valutazioni fatte dagli inquirenti, dai pm o dal Gip.

Si tratta di una ricostruzione di fatti e di una conclusioni cui è giunto autonomamente dopo aver compulsato le carte dell’inchiesta, un anno prima degli arresti di Parlato, quando questi non era neppure indagato.

Eppure, Tempostretto l’ha riportata 13 mesi dopo nella stessa identica formulazione (a parte il verbo vaglio invece di controllo), virgole incluse.

Ma le strane coincidenze continuano.

Scriveva ancora Schinella il 27 settembre del 2017:

schinella su parlato 3

Riporta Tempostretto il 30 ottobre del 2018:
tempostretto su parlato 3 bis

 

Anche in questo caso, non si è in presenza di intercettazioni, né di valutazioni degli inquirenti, ma della sintesi autonoma da parte di Schinella di un lungo interrogatorio cui viene sottoposta la dirigente Canale.

Tempostretto 13 mesi dopo la riporta nell’identica formulazione, virgole e virgolette incluse, con la sola modificazione del verbo sottolineare con quello spiegare che sarà sembrato più appropriato. O forse semplicemente, un modo (maldestro) per camuffare il copia incolla.

Peccato, perché alla giornalista di Tempostretto sfugge che c’era una ripetizione piuttosto evidente nel testo di Schinella (i funzionari preposti al controllo avevano l’obbligo di controllare) maggiormente meritevole di…controllo e di correzione.

Ma non è finita.

Scriveva ancora Schinella il 27 settembre del 2017:

Schinella su parlato 4

Riporta Tempostretto il 30 ottobre del 2018

tempostretto su parlato 4

Neppure in questo passaggio c’è un’intercettazione o una valutazione degli inquirenti. Né questo passaggio lo si trova negli atti dell’inchiesta.

C’è la ricostruzione di un procedimento amministrativo, rilevante più nell’ottica della difesa che della pubblica accusa.

Eppure, a distanza di oltre 12 mesi è riportato da Tempostretto tale e quale, identico.

In questo caso, eccezionalmente, non è stato modificato neppure un verbo.

I verbi in questa occasione hanno superato il severo esame di chi ha regalato a Schinella un attimo di sano ma non serio narcisismo.

 

L’OPINIONE. Cateno De Luca e la fissa del tram: il sindaco aderisce all’idea di città “autocentrica” voluta dai commercianti e rimane fermo nella decisione di eliminare uno dei pochi servizi che funziona

Download PDF

tram

 

La domanda, come diceva Antonio Lubrano, storico conduttore di Diogene “sorge spontanea”.

Il sindaco di Messina Cateno De Luca quante volte ha preso il tram? Quante volte lo hanno usato i suoi familiari? Quante volte l’hanno usato gli assessori della sua Giunta o i rispettivi congiunti?

Non si va lontano dalla verità se si risponde: “Mai. Neppure una volta”.

Eppure, De Luca con la sicumera di uno che invece conosce perfettamente la materia ha sentenziato che il tram non serve a nessuno: è inutile. Ed è anche troppo costoso. Anzi, persino disutile per i commercianti, gli stessi magari – unico caso al mondo – che non vogliono le isole pedonali. E ha deciso che va eliminato.

Eliminare il tram era una fissazione di De Luca prima ancora vincere le elezioni.

Dopo averle vinte è passato subito all’azione: Messina ha tanti problemi ma il nuovo sindaco ha iniziato con lo smantellare l’unico servizio che davvero funziona, l’unico servizio che è davvero migliorato nei 5 anni dell’amministrazione guidata da Renato Accorinti.

Se De Luca avesse avuto il tempo e la voglia di farsi un’idea personale sul tram, magari usandolo per qualche mese o semplicemente ascoltando coloro che il tram lo adoperano quotidianamente, avrebbe osservato che il tram è l’unico mezzo di trasporto pubblico affidabile della città, una corsa ogni 15 minuti: puntuale; è l’unico vettore pubblico e privato che garantisce certezza sui tempi: l’utente sa a che ora lo può prendere e sa a che ora arriva a destinazione.

Il tram, che collega la città da nord a sud per 10 km, è a Messina l’unico mezzo di locomozione che non inquina, a parte la bicicletta.

L’unico mezzo che dà certezza di non rimanere imbottigliati nel traffico alle centinaia di studenti anche universitari, molti fuori sede, che vanno al Policlinico ogni mattina o alla cittadella universitaria; ai giovani che dalla zona sud arrivano a frotte al centro nel pomeriggio o nel fine settimana; agli anziani che escono di casa per fare la spesa o andare a trovare i familiari.

Certo, dell’utilità del tram nulla sanno coloro, la maggioranza dei cittadini, che invece conoscono un solo modo di muoversi: l’auto, con cui arrivare al centro, sotto il proprio ufficio, davanti al proprio negozio, ingolfando il traffico, ammorbando l’aria e insultando i timpani. E pazienza se non c’è il parcheggio, quello regolare, tanto l’auto a Messina la si può lasciare dappertutto, in seconda e terza fila, con assoluta certezza di impunità.

Al sindaco basterebbe fare una passeggiata su viale San Martino, su via Cesare Batttisti, su Corso Cavour e su via La farina, su via Garibaldi, solo per fare qualche esempio, a qualsiasi ora del giorno per osservare come le auto vengono lasciate tranquillamente dove c’è il cartello di rimozione forzata, concetto quest’ultimo a cui viene dato un senso solo quando passa il giro d’italia, agli angoli dei semafori, sulla pista ciclabile, sui marciapiedi. Il tutto mentre i parcheggi a pagamento costati milioni di euro alle casse pubbliche rimangono vuoti.

E così mentre in tutto il mondo si costruiscono linee elettriche per fronteggiare il traffico e l’inquinamento, si chiude al traffico l’intero centro cittadino per chilometri quadrati, si incentiva l’uso della bici costruendo piste ciclabili, si ordina per giorni ai cittadini di lasciare l’automobile in garage e si penalizzano pesantemente coloro che pensano di andare al cesso in auto, a Messina la linea elettrica del tram, costata 100 miliardi di vecchie lire e anni di lavori, la si abbandona.

In sintesi, De Luca preferisce l’idea auto centrica all’idea antropocentrica, che vorrebbe il benessere dell’uomo in un ambiente salubre quale obiettivo della politica

Al posto del tram, abbandonata l’idea del tram volante, ci saranno (già ci sono) gli shuttle.

Solo che non si tratta delle navicelle con cui gli americani negli anni ottanta andarono più volte nello spazio, ma di banali autobus che percorreranno la città dall’estremo sud all’estremo nord. Riedizione americanizzata – quanto al nome – del vecchio 28 ante tram, è facile prevedere daranno una mano al traffico, all’inquinamento e al caos: insomma esattamente il contrario di quello che in tutto il mondo si tenta di arginare.

In tutto il resto del mondo, invece, il tram, costruito in corsia protetta, verrebbe velocizzato, sarebbe sufficiente far funzionare i famosi (perché previsti dal progetto iniziale) semafori intelligenti, quelli che danno sempre precedenza al tram e se il tram non passa danno sempre precedenza alle auto o ai pedoni.

E soprattutto si obbligherebbe la maggioranza dei cittadini ad usarlo e a pagare il relativo biglietto, facendo divenire quello che inizialmente può sembrare una scomodità una condotta virtuosa di civiltà di cui essere orgogliosi.

Basterebbe, in fondo, chiudere il centro al traffico o più semplicemente applicare il codice della strada con le migliaia di automobilisti indisciplinati.

Questi ultimi così all’atto di salire a bordo dell’auto per giungere al centro cittadino, sicuri di una multa o peggio della rimozione forzata, si dovrebbero porre un problema: mi conviene usarla o forse è meglio usare il tram, almeno a partire dai due opposti capolinea?

Cateno De Luca ha giustificato la decisione di eliminare il tram con argomenti economici. 

Il sindaco sa perché è amministratore navigato che i servizi pubblici non generano mai ricavi che coprono i costi (altrimenti ad esempio bisognerebbe chiudere le scuole) e che i costi economici vanno confrontati non solo con i ricavi ma anche con i benefici sociali.

Senza considerare che gli shuttle, non si muoveranno ad acqua e non saranno guidati dal pilota automatico.

Altro sono gli sprechi.

L’Atm di Messina, l’azienda municipalizzata dei trasporti pubblici, in mano da sempre a sindacalisti e politicanti di bassa lega che l’hanno usata per fare clientelismo, in materia di sprechi ha sempre brillato e De Luca se vi metterà ordine avrà il consenso di tutti i cittadini.

Ma eliminare il tram perché chi lo gestisce scialacqua è come chiudere un reparto di un ospedale che funziona perché i dipendenti hanno stipendi doppi o tripli o sono in numero esorbitante rispetto a quanto previsto dalla legge o dalle buone regole di amministrazione.

E’ quindi chiaro che l’eliminazione del tram ha (anche) un altro obiettivo: riconsegnare lo spazio della sede protetta del tram alle auto, presupposto essenziale -secondo i commercianti del centro città cui De Luca deve pagare la cambiale del sostegno elettorale – per il rilancio dell’economia.

Da qui a qualche mese quindi vedremo i negozi presenti lungo la linea del tram (che non ci sarà più) pullulare di acquirenti, vedremo file di persone in attesa della brioche con granita alle entrate dei bar e ristoranti gremiti all’inverosimile. 

Perché era proprio vero: a Messina i cittadini si tengono lontano dai negozi non perché non hanno abbastanza soldi, non perché i prezzi sono alti, non perché alcuni esercizi commerciali sono gestiti in maniera pessima da gente senza cultura e rispetto dei clienti, non perché il personale pagato in nero una miseria è demotivato. 

No. Era tutta colpa del tram.

 

 

 

Il COMMENTO. L’uscita di scena di Renato Accorinti metafora di un sindaco che ha fallito innanzitutto come uomo

Download PDF

Scambio reciproco di fascia tricolore tra Renato Accorinti e Cateno De Luca

Scambio reciproco di fascia tricolore tra Renato Accorinti e Cateno De Luca



Nessun sindaco uscente era mai riuscito nell’impresa. Ma Renato Accorinti non poteva lasciare Palazzo Zanca senza superare se stesso. Prendersi del “buffone, buffone” all’insediamento del suo successore, al momento dello scambio della fascia tricolore, è in effetti un record difficilmente imitabile.

Eppure, Cateno De Luca, il nuovo sindaco, con lui era stato affettuoso e generoso. Davanti alle decine di suoi sostenitori entusiasti gli aveva riconosciuto il merito di aver aperto un varco nel sistema di potere messinese, di aver migliorato i conti del Comune e gli aveva lasciato la fascia tricolore di sindaco: “So che ci tieni tanto, come ricordo di anni che hai vissuto intensamente. A me ne hanno regalata una nuova”.

Ma poteva Accorinti uscire di scena con classe ed eleganza, come farebbe una qualunque persona con un po di senso delle istituzioni, o anche un qualunque sportivo sconfitto?

Poteva generosamente lasciare spazio al suo successore con parole semplici: “Complimenti per la vittoria, auguri per il vostro lavoro, spero facciate bene per la comunità, considera che se le vostre azioni non mi convinceranno farò sentire la mia voce di opposizione politica”?

No, Accorinti non si poteva smentire.

Doveva essere protagonista anche se lì dove si trovava il protagonista era altra persona e a lui toccava il ruolo di comprimario.

Ecco allora il solito sermone fatto di slogan, che ripete da 5 anni come un disco rotto. Come se fosse l’insediamento suo e non il suo addio o arrivederci.

E poi, infine, le provocazioni, manifestazione di rabbia di un pacifista nonviolento, con riferimenti al tram volante e alla telefonata scherzo di Papa Francesco.

“Buffone, buffone”, era il minimo che si potesse beccare.

De Luca lo ha comunque protetto, pure dal coro. E non ha risposto alle provocazioni, mantenendosi signorile.

Ma lui, non pago, ha ripreso la parola per completare l’opera.

L’opera di un sindaco, divenuto sindaco per caso, in un momento storico particolare segnato da inchieste giudiziarie, che ha pensato di essere divenuto sindaco per qualità sue al punto da ignorare le persone che per lui si erano battute quando nessuno credeva in lui.

Un uomo che per 5 anni si è specchiato nel lago, o meglio negli specchi della stanza del palazzo municipale in cui si è chiuso, scambiando la politica per se stesso, dimenticandosi degli “ultimi” che tanto aveva declamato e occupandosi a tempo pieno di coltivare rapporti con i potenti, magari tentando di rubare loro la scena se troppo potenti: il “Trump, peace no war”, al G7 di Taormina è solo un esempio..

Quello che è accaduto allo scambio della fascia tricolore è la metafora di Accorinti: un uomo che confonde se stesso con le istituzioni, incapace di accettare i suoi limiti e le sue sconfitte, privo di umiltà e generosità, neppure animato da spirito sportivo benché l’unica competenza che abbia sia quella di professore di educazione fisica.Un uomo che pensa ancora di essere sindaco quando non lo è più e si fa appositamente immortalare a bordo della bicicletta che in 5 anni ha usato pochissime volte con la fascia tricolore stretta nel pugno alzato in segno di vittoria, benché abbia palesemente perso.

Un uomo che non è uscito sconfitto (già prima delle elezioni) perché la sua Giunta ha amministrato peggio delle amministrazioni precedenti (anzi, per certi versi, ha fatto meglio) e neppure per la sua incompetenza su tutto (a parte gli slogan), ma per la sua mancanza assoluta di umiltà, che ha portato pure i suoi sostenitori a non volerlo più.

Basti dire che una buona fetta di “Cambiamo messina dal basso”, alla vigilia della campagna elettorale aveva manifestato la sfiducia e l’opportunità di non ricandidarlo.

Un uomo che se i messinesi votano per lui sono “virtuosi e rivoluzionari”, se non lo votano sono “ignoranti e mafiosi”.

Se il nuovo sindaco De Luca con Accorinti è stato generoso e signorile nonostante l’ultimo spettacolo non si può dire la stessa cosa della sua assessora Dafne Musolino.

L’avvocata si è dimenticata del nuovo ruolo istituzionale, o forse non c’è ancora entrata, e si è prodotta su facebook in uno show fatto di improperi all’indirizzo di Renato Accorinti.

Cateno De Luca le affiderà anche la delega al bon ton?

IL COMMENTO: Se il centro sinistra di Pietro Navarra, Antonio Saitta e Franco De Domenico rinuncia a priori a governare la città: il “no” all’alieno Cateno De Luca meccanismo a difesa di un sistema di potere consolidato

Download PDF

Da sx, Franco De Domenico, Antonio Saitta, Pietro Navarra

Da sinistra, Franco De Domenico, Antonio Saitta, Pietro Navarra

 

“Né con Cateno De Luca, né con Dino Bramanti”.

L’ultimo comunicato stampa di Pietro Navarra e Franco De Domenico, vertici del Partito democratico messinese, assomiglia alla dichiarazione di quell’uomo che per giustificarsi del fatto che inspiegabilmente non vuole sposarsi con la sua fidanzata, afferma che non si sposerà neppure con altra donna che, però, nessuna intenzione e interesse ha di sposarsi con lui, né lui con lei.

Fa sorridere e appare una decisione politicamente illogica se non incomprensibile.

Navarra, infatti, quando ancora era rettore dell’ateneo di Messina scese nell’agone politico tra le file del centro sinistra ritenendo di dover/poter dare il suo apporto di competenze e di valori al buon governo della città di Messina,

In quest’ottica è stata spiegata la candidatura (vincente) a deputato regionale del direttore generale dell’ateneo De Domenico; la sua stessa candidatura (anch’essa vincente) a deputato nazionale e da ultimo quella (però perdente) a sindaco del suo prorettore Antonio Saitta, che in realtà in politica si cimenta da anni.

“Questi valori, queste competenze”, nonostante la sconfitta alle elezioni amministrative del 10 giugno potevano comunque essere messe a disposizione della città.

Sarebbe bastato un apparentamento con Cateno De Luca, al ballottaggio sì ma senza possibilità di poter contare su un alcun consigliere, basato su dei punti programmatici concordati e Navarra, De Domenico e Saitta (sempre che De Luca fosse risultato vittorioso al secondo turno) avrebbero avuto in mano il Consiglio comunale e il potere di vita o di morte del sindaco Cateno De Luca.

Di più, avrebbero azzerato il centrodestra e, soprattutto, messo fuori gioco forse definitivamente dalla politica della città lo sponsor principale di Dino Bramanti, Francantonio Genovese, l’ex rais del Pd a Messina e Sicilia passato dal centro sinistra al centro destra dopo che la magistratura ha disvelato i meccanismi del sistema di clientele su cui si reggeva il suo consenso e quello del Pd (sulla sua responsabilità penale, da tenere separata da quella politica ed etica, si pronunceranno i giudici d’appello e quelli della Cassazione, dopo la condanna in primo grado a 11 anni)

Politicamente, dal punto di vista della sinistra ovviamente, sarebbe stato un capolavoro: un capolavoro frutto più della buona sorte che di meriti.

Infatti, nel caso di vittoria di De Luca, si sarebbe data alla città la prospettiva  di un governo più stabile e – ammettendo che ciò che disse Navarra sia fondato – più competente; il Pd amministrando bene avrebbe potuto costruire le basi per il suo reale rilancio nella comunità, anche fuori da bacino elettorale universitario.

Invece il triumvirato piddino con De Luca non ha voluto neppure iniziare le trattative.

Certo, non sarebbe stato facile “incastrare” il navigato deputato regionale. Ma almeno ci si poteva presentare agli elettori e dire: “Sul piano programmatico ci sono troppe distanze da De Luca”.

Non aver neppure voluto sedersi a un tavolo, ignorando pure che alcuni di quelli che hanno votato le liste a sostegno di Saitta hanno dato la preferenza come sindaco a De Luca, significa allora che alla base della decisione non ci sono ragioni politiche di alto livello.

Nessuno, infatti, le ha spiegate a quel 25 % di cittadini di centro sinistra che hanno votato le liste di centrosinistra: di questi solo il 18% volevano Saitta come sindaco.

Al massimo, ci può essere la speranza che De Luca se diventasse sindaco sarebbe costretto a dimettersi dopo poco tempo perché privo di consiglieri.

L’esperienza anche quella di Accorinti, rimasto in carica con due consiglieri a favore e 38 contro per 5 anni dimostra che si tratta di un’illusione. E’ facile prevedere che De Luca se eletto sindaco rimarrà in sella per 5 anni.

Insomma, la sinistra a Messina rischia quello che è capitato alla sinistra a livello nazionale dopo le ultime elezioni politiche. Non ha voluto trattare in alcun modo con il Movimento 5 Stelle un programma e ha messo quest’ultimo nelle mani di Salvini.

Il risultato? Una politica di governo lontana dai principi e valori della sinistra, con le imbarcazioni cariche di migranti bloccate per giorni in mezzo al mare.

Per certi versi è politicamente più comprensibile il no all’alleanza con De Luca da parte del Movimento cinque stelle: i pente stellati infatti possono dire che De Luca è il vecchio modo di fare politica in cui loro non si riconoscono benché abbiano candidato a sindaco Gaetano Sciacca che grazie alla vicinanza a uno dei principi del vecchio modo di fare politica, Raffaele Lombardo, ha fatto incetta di incarichi: capo del Genio civile, soggetto attuatore l’alluvione di Giampilieri con relativa gestione di centinaia di milioni di euro; commissario del Consorzio per le autostrade siciliane.

E allora se non ci sono motivazioni di tipo politico, cosa c’è che ha impedito a Navarra, Saitta e De Domenico di sedersi a un tavolo con il deputato regionale?

C’è il fatto che Navarra De Domenico e Saitta, anche per storia personale, fanno parte dello stesso blocco di potere rappresentato da Bramanti, Genovese e Germanà, ora contrappposto a De Luca.

Un blocco di potere, fatto di una decina di grandi famiglie allargate, autoreferenziale, impermeabile a ogni contaminazione che invece di includere lascia sempre più gente ai margini; che invece di lavorare per l’emancipazione dei ceti più poveri favorisce le condizioni di bisogno; che invece di assegnare le case che ci sono e sono lasciate vuote lavora per costruirne nuove.

Un blocco di potere che prende le decisioni lontano dalle sedi delle istituzioni e senza seguire metodi democratici e non si cura di cosa accade nelle periferie, se non una settimana prima delle elezioni per fare ipocrite passerelle.

Un blocco di potere, supportato da una stampa nella migliore delle ipotesi mansueta, i cui protagonisti possono pure entrare in rotta di collisione tra di loro ma che appena qualcuno mette a rischio l’intero sistema, per riflesso condizionato si ricompatta.

Non è un caso che ci siano rapporti forti personali e professionali consolidati da anni tra Navarra e Genovese, tra Saitta e  Bramanti, tra De Domenico Genovese e Bramanti, tra quest’ultimo e Giampiero D’alia, sceso in campo a sostegno di Saitta.

Nessuno di loro nella vita professionale ha mai calpestato i piedi dell’altro, anche nei casi in cui avrebbe dovuto per legge.

Cateno De Luca rappresenta l’alieno, l’uomo di paese non avvezzo ai modi felpati e borghesi dei salotti, l’uomo che Saitta e Navarra non inviterebbero a cena a casa loro, colui che potrebbe mettere a rischio gli equilibri: la scheggia impazzita.

Magari non lo è, ma per la gente rappresenta questo.

Per le persone di Camaro o del Cep rappresenta colui che è era ciò che sono loro ora e che parla la loro stessa lingua; colui che è capace di mettersi al loro livello e di non guardarli dall’alto in basso in modo schifiltoso.

Rappresenta colui che è capace di parlare loro guardandoli negli occhi, usando tono forti, anche aggressivi e violenti; colui che non legge in maniera asettica una lezioncina scritta da altri.

Uno capace di farli sentire importanti anche solo per un attimo.

Per la media borghesia esclusa dal blocco chiuso e impermeabile rappresenta chi può abbatterlo o aprire un varco o soltanto dare una schiaffo morale.

De Luca nell’immaginario collettivo rappresenta ciò che 5 anni fa rappresentava Renato Accoriniti.

Il professore di educazione fisica però ha tradito le attese: degli “ultimi”, di quelli che se lo erano rappresentato come fattore di riscatto, non si è mai ricordato.

Attratto dall’incontenibile voglia di essere protagonista, beato di tessere rappporti con chi deteneva il potere, non è stato mai fattore di squilibrio degli assetti consolidati.

Quante volte in cinque anni è andato a Cep? Mai. 

E’ stato superato finanche da Saitta e Navarra che ci sono andati una volta, due giorni prima delle elezioni, trovando la strada per arrivarci grazie a google maps.

L’OPINIONE. Il sondaggio della discordia: accuse, sospetti e dietrologie, ma nessuno si accorge che quello di Tempostretto è innanzitutto fuorilegge. Il paradosso dell’arbitro che non applica le regole fondamentali ed espelle il candidato Cateno De Luca “entrato a gamba tesa”

Download PDF

Nei giorni scorsi, un gruppo di sostenitori di Renato Accorinti, pur ritenendo “assolutamente discutibile la scelta editoriale”, si sono affannati a chiedere a tutti i simpatizzanti di partecipare in massa al sondaggio della testata giornalistica on line Tempostretto per far risalire in classifica il sindaco in carica ed evitare che venisse penalizzato alle urne, alle elezioni del prossimo 10 giugno, per l’effetto trascinamento, fenomeno che porta gli indecisi a votare per colui che risulta avanti nei sondaggi.

Il 27 maggio, Cateno De Luca, uno dei sette candidati a sindaco, al termine di un confronto rovente con gli avversari politici organizzato dalla stessa testata, ha accusato la direttrice di Tempostretto, Rosaria Brancato, di non aver pubblicato il risultato finale del sondaggio (ciò che era previsto per il 24 maggio) perché egli stesso sarebbe risultato il primo in classifica.

La direttrice si è giustificata parlando di hackeraggio e accusando nella sostanza il deputato regionale di aver fatto affluire moltissimi voti dalla provincia, cioè dai comuni di Fiumedinisi, Furci, Santa Teresa di Riva, in cui egli gode di maggioranza plebiscitaria, alterando così il risultato del sondaggio (dalla sua stessa testata organizzata). 

Il giurista Marcello Scurria, nel 2005 sostenitore del vittorioso Francantonio Genovese (all’epoca di sinistra, almeno formalmente); nel 2008 di Giuseppe Buzzanca, candidato di destra; nel 2013 vicino a Renato Accorinti , quando il professore di educazione  fisica la spuntò al ballottaggio; e ora – da quel che si capisce – simpatizzante di De Luca, ha sfidato pubblicamente la proprietà di Tempostretto chiedendo che spieghi “come e perché si sia verificato l’attacco di hacker che ha impedito la pubblicazione, essendo comunque ormai entrati negli ultimi quindici giorni dal voto in cui è vietato pubblicare i risultati del sondaggio”.

Nessuno, nessuno dei candidati, nessuno degli esperti di diritto e di politica che ronzano attorno a loro pregustando incarichi di sottogoverno, si è avveduto che il sondaggio della testata on line non è tanto “assolutamente discutibile”, per usare l’espressione degli Accorinti’s boys, ma è innanzitutto fuorilegge.

E’ fuorilegge al pari di un sondaggio fatto e pubblicato negli ultimi 15 giorni precedenti alle elezioni.

Lo stabilisce la stessa norma dell’articolo 8 della medesima legge n° 28 del 2000, quella  che vieta la pubblicazione dei sondaggi nelle ultime 2 settimane prima del voto.

Per la legge, quello di Tempostretto non può essere definito sondaggio e già solo per questo, per l’uso di questa (ingannevole) definizione, al di là del periodo in cui viene pubblicato, si pone in contrasto con legge.

Il “Regolamento in materia di pubblicazione e diffusione dei sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa” sul punto (articolo 2, comma 2) è chiarissimo; e lo è proprio per impedire la manipolazione del consenso politico e l’alterazione del risultato della competizione elettorale.

Per questi motivi, il sondaggio per essere presentato come tale ai cittadini/elettori deve rispondere a requisiti dettagliatamente disciplinati dalla normativa ed è soggetto a una serie di procedure e controlli.

Parlare di un sondaggio che è stato truccato “votando da ogni parte d’italia”, come ha accusato la direttrice di Tempostretto, è una contraddizione in termini.

Sarebbe bastata una semplice segnalazione all’Autorità garante della Comunicazione (Agcom) e il sondaggio (o sedicente tale), i cui risultati parziali venivano di giorno in giorno pubblicati, sarebbe stato sanzionato, come è accaduto in passato – basta guardare nella banca dati dell’Agcom – per “manifestazioni di opinioni” spacciate subdolamente per sondaggi da altre testate giornalistiche.

Invece, a Messina, il sondaggio è diventato motivo di discordia, dietrologie, polemiche,  accuse incrociate e sospetti di manipolazione.

E’ come se, per fare una metafora per nulla poetica, gli allenatori di due squadre di calcio avversarie, a fronte di un arbitro che fischia i calci di rigore per falli avvenuti a centrocampo, invece di far rilevare e protestare perché sta clamorosamente violando un principio basilare del regolamento, consigliassero ai propri calciatori di farsi fare fallo in qualunque zona del rettangolo di gioco, salvo poi accusare l’arbitro di non essere super partes perché talvolta il rigore lo accorda e talvolta no.

In questa vicenda è successo qualcosa di ancora più paradossale: è stato lo stesso arbitro, ovvero, per rimanere alla metafora, chi ha organizzato il sondaggio e ne è il responsabile, a contestare ai calciatori di una squadra di aver cercato di truccare il risultato della partita, tentando di indurlo in errore.

E, infatti, l’arbitro, che per primo ha violato le regole fondamentali del gioco, ha espulso De Luca, reo di essere entrato a gamba tesa, infrazione veniale, a ben vedere, in una partita in cui non si era certi neppure di quale fosse l’area di rigore.

Insomma, uno spettacolo deprimente e un responso oggettivamente (questo si) impietoso.

Se ne è accorto, quasi indignato, il candidato del Movimento 5 Stelle Gaetano Sciacca, presente alla lite tra De Luca e Brancato.

L’ex capo del Genio civile, per anni politicamente vicino al Governatore Raffaele Lombardo che tutto si può dire tranne sia stato l’emblema di un modo di fare politica scevra da logiche di potere clientelare, è impegnato ad accreditarsi come uomo della politica nuova, della politica del fare: “Alla gente non frega nulla di queste discussioni”, ha affermato.