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Inchieste spettacolari di Razza politica, le “spalmature” virtuose e travisamenti dei fatti. I dati sui contagi manipolati non per offrire un quadro falso della realtà ma per l’esatto contrario. Alla base di tutto le inefficienze della sanità regionale

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I dati dei contagi e dei morti spalmati (quindi falsificati) per evitare che la Sicilia finisse in zona Rossa e venissero adottati provvedimenti restrittivi delle libertà e dannosi per l’economia.

E’ questo ciò che viene contestato all’assessore (ormai ex) Ruggero Razza, al suo capo di gabinetto Ferdinando Croce e ai tre funzionari dell’assessorato regionale alla sanità finiti ai domiciliari martedì scorso.

E’ questo il messaggio che è stato veicolato, acriticamente (ma questo non stupisce) dai media regionali e nazionali, al servizio delle Procure e non dei cittadini.

Un messaggio davvero succulento nella stagione del terrore, dei terrorizzati, in cui fa audience pensare che i governanti trucchino i dati per squallidi giochi politici infischiandosene della salute dei cittadini.

Ma si tratta di un messaggio, questo si, falso.

Basta leggere l’ordinanza, fondata unicamente su intercettazioni telefoniche  – disposte in un procedimento penale che riguardava cose più serie, ovvero mazzette nelle pubbliche forniture – avere un minimo di cognizioni in campo sanitario e la memoria di quanto è accaduto nell’ultimo anno in Sicilia, per capire che le ragioni per cui si è seguito questo metodo sono opposte a quelle che sono state rappresentate e date in pasto all’opinione pubblica.

I dati dei positivi al Covid venivano spalmati proprio a tutela dei diritti dei cittadini: per evitare, cioè, che gli stessi numeri non rappresentassero la situazione reale. Si, proprio così.

Il motivo è presto detto e riposa nell’inefficienza del sistema sanitario regionale, peggiorata a vista d’occhio negli ultimi anni: di questo è davvero colpevole Razza, avvocato penalista chiaramente inadeguato (la Giunta frutto del peggiore consociativismo siculo del presidente Musumeci peraltro ne è piena zeppa) ad occuparsi del settore che assorbe il 60% della spesa regionale.

A causa di questa inefficienza, di questa disorganizzazione burocratica e informatica, a causa del fatto che il terrore Covid ha svuotato gli uffici di personale che comunque ha continuato a ricevere lo stipendio pur non lavorando, a Palermo affluivano dati a singhiozzo, in notevole ritardo, dalle varie aziende ospedaliere, dai vari laboratori in cui venivano processati i tamponi.

Accadeva così che da Messina, ad esempio, per tre giorni non arrivavano i dati dei positivi, mentre il quarto giorno arrivavano tutti in una volta (quindi, sempre per esempio, invece di 100 positivi al giorno (300  quindi in tre giorni), ne arrivano 400 il quarto giorno, la somma).

Potevano essere comunicati a Roma 400 positivi tutti in una volta come se fossero stati rilevati positivi quel giorno?

E’ evidente che la risposta non possa essere che negativa: se lo si fosse fatto non sarebbe stata rappresentata in maniera veritiera la situazione, ma questa sarebbe stata pericolosamente falsata.

Questo è quello che è accaduto per mesi.

Altro che strategia per evitare l’adozione di provvedimenti restrittivi.

Stessa cosa per il caso – oggetto specifico dell’inchiesta – dei morti con il covid di Biancavilla: a Palermo arriva la comunicazione di 7 decessi in una sola soluzione. Erano però di vari giorni precedenti.

Si potevano comunicare al ministero della Salute e all’opinione pubblica come se fossero tutti occorsi in quella giornata?

Certo Razza non poteva neppure dire al Governo nazionale: “Sono assessore da tre anni in una delle regioni più grandi di italia che nell’epoca dell’informatizzazione e della tecnologia pervasiva non è in grado di fornire dati in tempi accettabili, benché per contrastare la diffusione del coronavirus abbia fatto assumere centinaia tra educatori professionali, psicologi e addetti stampa (figure essenziali per contrastare l’epidemia, ci mancherebbe altro, ndr)”.

Che l’obiettivo delle “spalmature” non fosse quello di evitare l’adozione di provvedimenti restrittivi è confermato dal fatto che nei mesi scorsi la regione Sicilia per bocca del presidente Nello Musumeci ha invocato e ottenuto la dichiarazione di zona rossa quando secondo i dati in possesso del Ministero della sanità non ce ne fossero i presupposti.

Non solo. Musumeci fra i presidenti delle regioni italiane si è segnalato in tutti questi mesi per l’adozione di provvedimenti liberticidi e in sicuro contrasto con la Costituzione.

Che senso avrebbe avuto truccare i dati per non essere zona rossa e contemporaneamente chiederla?

Quale senso farlo per non imporre limitazioni alle libertà (soprattutto economiche) e poi puntualmente restringerle?

D’altro canto, sarebbe stato davvero paradossale che in un paese in cui da un anno si vive di emergenza coronavirus, alimentandola quanto più possibile perché fonte di affari, spesso illeciti, di cui tra qualche mese si comprenderà la vera entità, i governanti siciliani si fossero mossi in senso addirittura opposto.

Che i dati sui contagi fossero sostanzialmente veri e non sottostimati con l’esposizione della popolazione a rischi per la salute, lo si evince da un’altra circostanza di fatto: la Sicilia è una delle regione d’Italia con il minor eccesso di mortalità, l’unico dato veramente attendibile per misurare gli effetti di un’epidemia.

La Sicilia, in altre parole, ha avuto – secondo i dati Istat – un aumento dei morti rispetto alla media degli anni precedenti pari al 5%. La media nazionale registra un eccesso di mortalità pari al 15%, tre volte tanto.

Se il numero dei positivi fosse stato artatamente e sistematicamente sottostimato e per questo non si fossero quindi adottate le misure necessarie al contenimento dell’epidemia non si sarebbero dovuti registrare dati nettamente peggiori?

L’assessore Razza, indagato ma non colpito da misure cautelari, non appena ha ricevuto l’avviso di garanzia si è dimesso.

Il dirigente regionale, Letizia Di Liberti, che attuava le direttive dell’assessore, e i due funzionari Emilio Madonia e Salvatore Cusimano, che materialmente raccoglievano, “spalmavano” e trasmettevano i dati a Roma, sono stati messi ai domiciliari, aggravati  dal controllo del braccialetto elettronico, come si fa per i criminali pericolosissimi.

Per il Gip del Tribunale di Trapani, Caterina Brignone, che ha sposato l’impianto accusatorio della Procura, c’è il rischio di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.

Ma perché – si chiederà il cittadino con un minimo di buon senso – la sospensione dalle funzioni non sarebbe stata sufficiente a neutralizzare questi pericoli?

Forse si, ma – è risaputo – gli arresti fanno più notizia.

Sta di fatto che non solo c’è stato bisogno di misure cautelari gravemente limitative della libertà, ma sono state ravvisate ragioni di urgenza straordinarie.

Nulla altrimenti ci avrebbe “azzeccato” il Tribunale di Trapani con reati commessi a Palermo, di competenza di quella Procura, a cui il fascicolo è stato trasmesso subito dopo gli arresti.

Se fosse stato trasferito prima di adottare le misure coercitive della libertà dei tre funzionari chissà nel frattempo i pericolosi criminali quali altre nefandezze avrebbero commesso.

 

 

 

 

 

Licenziamento del primario di nefrologia Guido Bellinghieri, il Cga condanna il Policlinico a pagare 19 mensilità. La decisione dell’ex manager Giuseppe Pecoraro bocciata dai giudici amministrativi

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Guido Bellinghieri

Guido Bellinghieri

I vertici del Policlinico di Messina dopo la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa di maggio del 2015 pensavano di cavarsela versandogli 5 mensilità dello stipendio di primario.

Gli stessi giudici chiamati nuovamente a pronunciarsi in sede di ottemperanza, invece, il 22 febbraio del 2017 hanno ordinato che gliene vengano corrisposte 19: quelle che non ha percepito da quando fu licenziato dall’azienda universitaria a quando rimase in servizio come docente universitario.

Il primario di Nefrologia del Policlinico, Guido Bellinghieri, fu mandato forzosamente in pensione dall’ex direttore generale, Giuseppe Pecoraro, il primo giugno del 2012, tre mesi dopo il compimento dei suoi 70 anni (avvenuto il 2 marzo del 2012).

Ma a pagare il risarcimento (secondo una stima grossolana, circa 50mila euro) saranno ora i contribuenti.

Il manager palermitano applicò la normativa sui dirigenti medici, che prevedeva un limite di età di 70 anni, senza tenere conto che Guido Bellinghieri era anche professore universitario e un principio da anni ormai affermato in giurisprudenza stabiliva che l’attività didattica e di ricerca e quella sanitaria sono inscindibili.

Dunque, il docente aveva il diritto di rimanere in servizio come primario al Policlinico sin tanto che aveva il diritto di rimanere in servizio come professore universitario e tale è rimasto.

Le tappe della vicenda

Guido Bellinghieri nel 2009, sulla base della disciplina vigente, chiese e ottenne dal rettore dell’ateneo di rimanere in servizio come professore sino a 72 anni.

Nel dicembre del 2010 entra in vigore la legge Gelmini che stabilisce che il limite massimo per un docente universitario sono i 70 anni, con diritto comunque a completare l’anno accademico in corso, che termina il 31 ottobre di ogni anno.

Quando la Bellinghieri viene licenziato da Pecoraro, la legge Gelmini è già finita al vaglio della Corte costituzionale e, comunque, Bellinghieri ha in mano un decreto rettorale: in ogni caso anche sulla base della legge Gelmini ha diritto, nella peggiore delle ipotesi, di completare l’anno accademico.

Pecoraro di tutto questo non tiene conto.

La Corte costituzionale nel maggio del 2013 annulla varie norme della legge Gelmini, tra cui quella che fissa il limite di età a 70 anni.

Il docente di Nefrologia, lasciato senza attività sanitaria, pur potendo rimanere in servizio come docente sino al 31 ottobre del 2014, il 31 dicembre del 2013 si dimette da docente e va in pensione.

Le decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa

Il Consiglio di giustizia amministrativa con  sentenza del maggio del 2015  ha bocciato l’operato del manager Giuseppe Pecoraro, bollando come illegittima la risoluzione del rapporto di lavoro.

I vertici del Policlinico hanno così pensato di adempiere alla sentenza del Cga corrispondendo a Bellinghieri gli stipendi dal momento del licenziamento sino al momento in cui sulla base della norma della legge Gelmini (all’epoca vigente e poi cassata) poteva rimanere in servizio (il 31 ottobre del 2012): quindi, 5 mensilità.

Il primario, assistito dai legali Santi Delia e Umberto Cantelli, è così tornato davanti a giudici amministrativi per l’ottemperanza alla loro stessa sentenza.

I giudici gli hanno dato ragione stabilendo il diritto agli emolumenti di primario sino a quando è rimasto docente universitario: 19 mensilità, che potevano essere 29 se Bellinghieri non si fosse spontaneamente dimesso da docente universitario.

IL COMMENTO: Caso Sindoni, il segretario generale Le Donne sotto accusa e denunciato in Procura. L’avvocato Scurria ispira il vice presidente del Consiglio Interdonato. Ma le tesi del legale non stanno in piedi. Come quelle del collega Catalioto. Il caso Buzzanca lo dimostra

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Il segretario generale Antonio Le Donne

Il segretario generale Antonio Le Donne

 

Mancanza di imparzialità e predisposizione di un atto illegittimo per fare fuori un consigliere comunale a cui nel frattempo si è abusivamente impedito di esercitare le sue funzioni.

Per un Segretario generale, custode della legalità nell’ambito dell’amministrazione locale, le accuse che gli ha rivolto pubblicamente Nino Interdonato, il vicepresidente del Consiglio comunale, sono le più gravi e indigeste si possano ricevere. Anche perchè dallo stesso consigliere rimesse alla valutazione della Procura.

Sono indigeste ancor di più se arrivano a qualche ora da quelle della stessa natura che gli ha mosso la consigliera Donatella Sindoni in un esposto in Procura, letto su input del suo legale Antonio Catalioto a pochi minuti del voto fissato sulla delibera che avrebbe sancito la fine della sua lunga avventura da ineleggibile a palazzo Zanca.

L’Ufficio Legale e legislativo della Regione e di recente, a distanza di 8 mesi, una pronuncia del Tribunale di Messina, infatti, hanno stabilito che la biologa prestata alla politica non poteva partecipare alle elezioni di maggio del 2013.

Il consigliere Nino Interdonato con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il consigliere Nino Interdonato (a destra) con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il giovane politico, pupillo del deputato regionale Beppe Picciolo, avendo firmato la proposta di delibera predisposta dalla Segreteria generale e messa all’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio si è preoccupato e non poco alla lettura dell’esposto che denunciava abusi: “Segretario, mi conferma che la delibera è legittima?”, ha chiesto un paio di volte, prima di tranquillizzarsi e votare: invano, perché non si è raggiunto il numero legale.

Tuttavia, è bastato che qualche ora dopo un avvocato gli fornisse un parere legale perché  lo spavento di Interdonato diventasse terrore: l’esponente di Sicilia Futura non solo ha preso le distanze dalla delibera di decadenza (con il ritiro della firma), ma è arrivato ad accusare il segretario Le Donne di assenza di imparzialità e disonestà, investendo anche lui del caso la Procura.

 Abusi in decadenza

Secondo l’avvocato/consulente di Interdonato, la proposta di delibera è frutto di abusi. Interdonato ha supinamente sposato la tesi del legale.

L’uscita pubblica di Interdonato, unito all’esposto letto in aula  e alla minacce di denunce per chi avesse votato la delibera mosse ai colleghi dalla stessa Sindoni (vedi articolo), ha paralizzato la decisione del Consiglio comunale sul punto.

 

Corsi e ricorsi storici

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato Marcello Scurria, l’avvocato che con i suoi consigli giuridici permise tra ricorsi, controricorsi ed eccezioni all’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca di mantenere per due anni la carica di sindaco di Messina e consigliere regionale, nonostante la Corte costituzionale (il 23 aprile del 2010) avesse stabilito che non potessero essere cumulati.

Naturalmente, tutto questo fu possibile grazie alla complicità dell’Ars, che pendente il ricorso non ne volle sapere di votare in sede di verifica dei poteri sull’incompatibilità del collega. Fu il Tribunale amministrativo regionale a ordinargli di discutere e deliberare la decadenza di Buzzanca: esattamente il 26 giugno del 2012, due anni e 3 mesi dopo dalla sentenza della Consulta.

A battersi per l’incompatibilità di Buzzanca fu proprio Antonio Catalioto, che assisteva il primo dei non eletti, Antonio D’aquino: il legale si mostrò più volte indignato per la resistenza del sindaco a tenersi entrambe le poltrone.

 

Le tappe della vicenda Sindoni

Il 22 giugno del 2015 nel servizio giornalistico “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”, viene sollevato il caso dell’ineleggibilità.

L’1 dicembre 2015 il Segretario generale Antonio Le Donne chiede un parere legale al Dipartimento enti locali della Regione Sicilia.

Il 30 giugno del 2016 l’Ufficio legale e legislativo della Regione, massimo organo di consulenza giuridica degli enti locali siciliani, dichiara Donatella Sindoni ineleggibile.

Il 4 agosto 2016 il Consiglio comunale discute e si pronucia sulla delibera di decadenza. 11 assenti, 8 favorevoli, 1 contrario, 20 astenuti. Le proposta non viene approvata.

Il 2 febbraio del 2017 il Tribunale di Messina si pronuncia sull’ineleggibilità. E dispone: “Il Tribunale dichiara Donatella Sindoli ineleggibile. Sostituisce la stessa con il primo dei non eletti”. Ordinanza Tribunale Messina Sindoni

Il 3 febbraio 2017 la Sindoni si presenta a palazzo Zanca e partecipa comunque ai lavori.

Il 6 febbraio 2017 la Sindoni torna a Palazzo Zanca ma su disposizione del Segretario generale le viene impedito di partecipare ai lavori

Il 6 febbraio 2017 alle ore 17 e 55 il legale della Sindoni, Antonio Catalioto, comunica al Segretario generale che è stato proposto appello.

Il 6 febbraio 2017 la Segreteria generale predispone una nuova delibera di decadenza, fondata sempre sul parere dell’Ufficio legale della Regione ora però corroborato dalla pronuncia dei giudici. La proposta di delibera, per conto dell’Ufficio di Presidenza è firmata dal vicepresidente Nino Interdonato.

L’8 febbraio 2017 la delibera approda in aula: il legale della Sindoni a pochi minuti dal voto annuncia che è stata presentato esposto in Procura Esposto procura Sindoni, per denunciare gli abusi del Segretario generale e della Presidenza del Consiglio. Scoppia la bagarre, non si raggiunge il numero legale di 16 per poter votare. Solo 15 i presenti, tutti favorevoli. 25 gli assenti su 40 consiglieri.

Il 9 febbraio 2017 il vicepresidente del Consiglio Nino Interdonato ritira la firma sulla proposta di delibera, si dimette, e attacca il segretario generale accusandolo di mancanza di imparzialità e di illegalità. Trasmette la nota alla Procura della Repubblica, cui chiede di verificarne la condotta.Nota di Interdonato

 

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

La confusione di Catalioto

Antonio Catalioto, subito dopo la pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale, aveva sostenuto in dichiarazioni al giornale on line Tempostretto che l’ordinanza non fosse immediatamente esecutiva citando la norma del codice di procedura civile che disciplina gli effetti in caso di mancato appello, ovvero il divenire della stessa cosa giudicata: “L’art.702 quater dispone che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art.702 ter produce gli effetti esecutivi dell’articolo 2909 codice civile se non è appellata entro i 30 giorni dalla sua comunicazione”, ha detto Catalioto al giornalista.

Invece, la norma che disciplina l’efficacia dell’ordinanza è il comma 8 dell’articolo 22 della Dlgs 150/2011 che stabilisce. “L’efficacia esecutiva dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale è sospesa in pendenza di appello”articolo 22 dlgs 150-2011.

La lettera della norma è chiara. L’ordinanza è esecutiva; nel momento in cui viene incardinato l’appello (che quindi da quel momento pende) l’efficacia è sospesa.  

L’avvocato Catalioto, così, dopo aver letto la norma giusta e dopo averla interpretata, ha cambiato rotta, e per sostenere che Le Donne ha commesso un abuso nell’impedire a Donatella Sindoni di partecipare ai lavori prima della proposizione dell’appello si è inventato un’altra teoria.

Nella nota di diffida inviata al Segretario generale (Diffida di Catalioto a Le Donne)  poi ripresa nell’esposto inviato in Procura, ha sostenuto che l’ordinanza del Tribunale non potesse impedire alla Sindoni di svolgere sino al momento della proposizione dell’appello la sua attività di consigliere “perché sancisce l’ineleggibilità e non dichiara la decadenza che spetta al Consiglio comunale”.

Ripasso di diritto amministrativo

Tuttavia, le argomentazione del legale si scontrano con un principio elementare per gli studenti di giurisprudenza che hanno sostenuto l’esame di diritto amministrativo. In presenza di un’ordinanza che dichiara l’ineleggibilità (e porta alla nullità con effetto retroattivo dell’elezione come se mai ci fosse stata) non impugnata in appello (appello nel caso di specie che appunto non c’è sino alla sera del 6 febbraio) al Consiglio comunale spetta la sola mera presa atto dell’ineleggibilità dichiarata dai giudici e la sostituzione con il primo dei non eletti. Null’altro. La decadenza non c’entra nulla.

Marcello Scurria su questa conclusione  è concorde.

L'avvocato Marcello Scurria

L’avvocato Marcello Scurria

L’interpretazione Scurresca nostalgica del passato

Ma per il legale/consulente di Interdonato il segretario generale ha commesso comunque un abuso a impedire alla Sindoni di partecipare ai lavori perché l’ordinanza non era immediatamente esecutiva.

“E’ vero la lettera della norma sembra dire che l’efficacia è esecutiva”, dice Scurria. “Ma la norma va interpretata. In passato era principio pacifico che la pronuncia non avesse efficacia immediata”.

La norma infatti (abrogata nel 2011) stabiliva: “L’ esecuzione delle sentenze emesse dal tribunale civile resta sospesa in pendenza di ricorso alla corte d’appello”.

“Il legislatore del 2011 non ha saputo copiare”, conclude Scurria.

Marcello Scurria è molto affezionato al passato e allergico alle innovazioni legislative.

Dimentica, infatti, che il Dlgs 150 è stato fatto per unificare i vari procedimenti civili speciali, ben 33 per la precisione, che pullulavano nell’ordinamento creando lungaggini e difficoltà interpretative, e ricondundurli ai tre principali: quello ordinario di cognizione, quello del lavoro e quello sommario di cognizione (cui viene ricondotto quello elettorale).

Basta leggere la relazione illustrativa della legge delega (sfociata poi nel dlgs del 2011) e i lavori della dottrina sul punto.

Principio comune da decenni dei tre riti è che tutte le pronunce di primo grado sono immediatamente esecutive: la parte soccombente può però a certe condizioni fare istanza di sospensione della provvisoria esecutività.

La dottrina così è unanime, partendo dalla lettera della norma e dalla ratio del legislatore, nel dire che la nuova formulazione è da intendere nel senso che l’ordinanza ha efficacia esecutiva immediata come tutte gli altri (vedi, ad esempio, lavoro sul punto di Luca Andreassi)

L’eccezione sancita dall’articolo 22, comma 8,  rispetto alla regola generale sta ne fatto che l’appello sospende automaticamente l’efficacia esecutiva della pronuncia senza che sia necessario apposita istanza di sospensione ai giudici, come prevede la regola generale.

Il primo abuso di Le Donne non c’è

Dunque anche la tesi di Scurria sull’efficacia dell’ordinanza presa per oro colato da Interdonato, è una mera opinione di Scurria, smentita dall’interpretazione unanime della dottrina. Così come quella di Catalioto.

Le Donne dunque ha fatto bene a impedire alla Sindoni di prendere parte ai lavori del 6 febbraio.

La Sindoni, dal canto suo, abusivamente ha partecipato ai lavori del 3 febbraio e illegalmente voleva partecipare a quelli del 6 febbraio.

 

La consigliera torna in carica: il secondo abuso di Le Donne secondo i due legali

A partire dalla serata del 6 febbraio la Sindoni è tornata nella pienezza delle sue funzioni.

Per i due legali il Consiglio comunale non poteva pronunciarsi sulla delibera di decadenza della Sindoni preparata dalla segreteria generale, votando favorevolmente o in senso contrario. Dunque, Le Donne ha fatto un altro abuso.

Il motivo?

Scurria (nella nota di Interdonato)  e Catalioto (nella diffida e nell’esposto) sostengno, senza citare né norma giuridica né precedente, né dottrina, che siccome c’è una causa pendente davanti ai giudici al Consiglio è precluso pronunciarsi contemporanemante sulla stessa vicenda finchè pende il giudizio.

Smentiti dalla Corte costituzionale

Questa tesi non solo non è fondata su nessuna norma giuridica né precedente né lavoro dottrinale. Ma è stata smentita più volte dalla Corte costituzionale (vedi, ad esempio, sentenza 357 del 1996), a sua volta più volte richiamata dai giudici amministrativi e dalla Cassazione, che ha stabilito esattamente il contrario.

E cioè che i due porocedimenti scorrono su binari diversi e che l’uno è autonomo rispetto all’altro.

Ha infatti stabilito la Corte Costituzionale: “La procedura di verifica dei poteri davanti al Consiglio e il giudizio di fronte al Tribunale – per quanto attivabili entrambi per iniziativa di cittadini elettori, estranei al Consiglio stesso, e orientati in definitiva allo scopo comune dell’eliminazione delle situazioni di incompatibilità e di ineleggibilità previste dal legislatore, in cui versino i consiglieri – si svolgono su piani diversi, mirando a finalità immediate anch’esse diverse: la verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione, la prima; la garanzia del rispetto delle cause di ineleggibilità e incompatibilità nell’interesse della generalità dei cittadini elettori e a opera della Autorità giudiziaria, la seconda”.

La Consulta ha ancora precisato: “Questo spiega la concorrenza delle due distinte garanzie in ordine alle cause di incompatibilità e di ineleggibilità, concorrenza ormai pacificamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte di cassazione e giudicata conforme alla Costituzione da questa stessa Corte”.

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

A proposito di …. memoria coerenza e imparzialità

Marcello Scurria, il principio della concorrenza e autonomia del procedimento amministrativo di verifica dei poteri dal giudizio davanti al Tribunale lo conosce molto bene.

Come lo conosce molto bene l’avvocato Antonio Catalioto.

Lo conoscono bene entrambi perché lo hanno sperimentato nella vicenda che ha portato alla decadenza del sindaco Buzzanca. Ma forse se ne sono dimenticati,

Scurria tentò di usare l’argomentazione dell’efficacia preclusiva del giudizio pendente davanti al Tribunale per evitare che l’Assemblea regionale siciliana, cui si era rivolto Antonio Catalioto (che allora sosteneva il contrario e adesso ha cambiato opinione), si pronunciasse sulla decadenza di Buzzanca.

Il Tar di Palermo, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, fu netto ad ordinare all’Ars di pronunciarsi riaffermando il principio che la circostanza che ci fosse un giudizio ordinario pendente non avesse rilevanza (vedi sentenza Tar di Palermo)

 

Se Scurria supera Catalioto

L’avvocato Marcello Scurria va oltre le argomentazioni di Catalioto. Sostiene infatti, sempre per fondare l’accusa di abuso a Le Donee, che nel caso di specie il Consiglio comunale si è già pronunciato sulla sua ineleggibilità e, dunque, secondo il legale una volta che ha già votato ha consumato il potere di farlo, ovvero di pronunciarsi nuovamente.:

Questa conclusione dell’avvocato Marcello Scurria non è sostenuta da nessuna norma giuridica, da nessun precedente giurisprudenziale, da nessuna opionine della dottrina.

E’ semplicemente una tesi (rispettabilissima) dell’avvocato Scurria che, a precisa e ripetuta domanda, infatti, non sa indicare né un precedente, né una norma né tantomeno un lavoro della dottrina.

Scurria si rifiugia “nei principi”. Ma quali sono questi principi?, chiede il giornalista all’avvocato Scurria. Nessuna risposta.

In realtà, basterebbe questo per giungere a conclusioni opposte a quelle che Scurria ha suggerito a Interdonato.

Ma c’è di più. In realtà, i principi che informano la Costituzione liberal democratica italiana sono di segno contrario e portano a conseguenze opposte a quelle che vorrebbe Scurria.

 

Il secondo abuso di Le Donne non c’è

Basterebbe allora osservare che secondo un principio generalissimo dell’ordinamento giuridico tutto ciò che non è vietato è permesso.

L’attività amministrativa, poi, in generale è fondata sul principio che l’amministrazione possa sempre rivalutare gli atti compiuti.

C’è una norma dello stesso Regolamento del Consiglio comunale di Messina, l’articolo 32, che infatti prevede il potere del Consiglio di modificare, revocare, integrare e sostituire le proprie deliberazioni (vedi regolamento).

In questo caso, tra l’altro, non si tratta neppure di sostituire una delibera precedente.

La delibera neppure c’è.

Il Consiglio non ha votato contro l’ineleggibilità e quindi per l’eleggibilità della Sindoni: il 4 agosto 2016, infatti, 11 consiglieri erano assenti e 20 si sono astenuti. Otto dei 9 consiglieri superstiti hanno votato per la decadenza.

Come ha precisato la Corte costituzionale in più occasioni la verifica dei poteri è attività amministrativa “volta alla verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione”.

Ora se c’è il sospetto, in questo caso è fondato persino su una decisione dei giudici, che un l’organo non è regolarmente costituito è mai sostenibile che l’organo rimanga irregolarmente costituito per anni (perché nessuno si rivolge ai giudici) in presenza di un’evidente causa di ineleggibilità e solo perchè il Consiglio si è pronunciato?

E’ mai sostenibile che il consigliere ineleggibile determini per anni con il proprio voto l’approvazione di atti solo perchè il Consiglio non ha deliberato la sua decadenza perché il giorno fissato per il voto magari la maggior parte dei consiglieri colpita, ad esempio, da un’influenza virale o bloccata nel traffico nato da un ‘incidente, era assente? Oppure perchè si era astenuta non avendo avuto il tempo di esaminare bene la questione?

E’ ovvio che queste conclusioni sono assurde e in contrasto con i principi costituzionali, i quali impongono che un organo che rappresenta i cittadini deve essere formato da chi poteva partecipare alle elezioni.

Il Consiglio incontra solo un limite nel potere di potersi pronunciare sulla decadenza di un consigliere: un provvedimento passato in giudicato della magistratura.

Il consigliere dichiarato decaduto dai colleghi ha sempre uno strumento di tutela: rivolgersi ai giudici impugnando la delibera di decadenza.

 

Spreco infinito di acqua su via Catania. Nella città a rischio crisi idrica l’acqua potabile finisce nella strada. Nessuno interviene. Chi denuncia si scontra con il muro di gomma della burocrazia inefficiente

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L’acqua potabile finisce nella strada da almeno due mesi. Un cittadino ha segnalato lo spreco di centinaia di litri al giorno nel settembre scorso all’Amam, l’Azienda municipale. In moltissimi passano, guardano. Alcuni esclamano: “Che vergogna”.
Le migliaia di pubblici ufficiali che percorrono via Catania se anche si accorgono che dal muretto che delimita il campo di atletica “Ex Gil” sgorga copiosamente acqua tanto da allagare la sede stradale fanno finta di nulla.
Lo stesso cittadino autore della prima segnalazione ripassando nelle stessa strada nella mattina del 28 novembre non crede ai suoi occhi. Nessuna ha fatto nulla in due mesi. Nella città sempre sull’orlo di una crisi idrica che nei mesi scorsi l’ha portata alla ribalta nazionale non interessa a nessuno che l’acqua finisca per strada mentre i cittadini per poter avere l’acqua tutto il giorno sono costretti a comprare serbatoi e motorini dell’autoclave.
Lo stesso cittadino cosi si ferma, e telefona di nuovo all’Amam (0903687722). Fornisce le sue generalità. E (ri) segnala il problema. Dall’altra parte del telefono c’è un signore che rifiuta di dare le proprie generalità. Sa solo dire che se l’intervento non c’è stato è forse perché non competenza dell’Amam: “Il tubo da cui esce l’acqua è montante? Di chi è il tubo?”, chiede. Non sa dove si trova l’ex Gil e continua a chiedere: “Mi da il numero civico?”. A nulla vale spiegare che un muro che delimita una struttura sportiva non ha numero civico.
Mentre il cittadino parla al telefono con l’uomo senza identità dell’Amam, passa una macchina della polizia provinciale, che da quella strada sarà passata migliaia visto che li vicino c’è la centrale della polizia provinciale. Dentro ci sono con due uomini, due pubblici ufficiali. Nonostante la strada sia allagata si fermano giusto perché il cittadino li blocca. “Lo segnaleremo all’Amam”, dicono e se ne vanno di fretta. Il cittadino non si rassegna. Chiama la polizia municipale. Spiega la cosa. L’operatore dapprima risponde: “Non è nostra competenza”. Il cittadino insiste: “Non chiedo che la polizia municipale aggiusti il tubo, ma che prenda atto che c’è un’omissione in atti d’ufficio che determina danni ai cittadini e alle casse pubbliche”. L’agente allora si corregge e spiega: “Se vuole, faccia un esposto. Io posso solo telefonare l’Amam e segnalare il problema”.

Policlinico, il direttore generale Marco Restuccia lascia la guida dell’azienda universitaria

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Il manager Marco Restuccia (tra Navarra e De Domenico)

Il manager Marco Restuccia (tra Navarra e De Domenico)

Il direttore generale del Policlinico di Messina Marco Restuccia lascia la guida dell' azienda universitaria. La notizia si e' diffusa nella mattinata di oggi tra i padiglioni della struttura sanitaria piu' grande di Messina. E' stata successivamente confermata ufficiosamente dai vertici dell'ateneo. Restuccia ha comunicato la sua decisione al rettore Pietro Navarra. Nelle prossime ore le dimissioni andranno formalizzate al presidente della Regione,Rosario Crocetta.Secondo le prime indiscrezioni, tutte da verificare, Marco Restuccia ha lasciato per motivi strettamente personali, piu' specificamente di salute.Il manager era al vertice del Policlinico dal giugno del 2014.

Medicina, mancano 30 buste. A Messina salta l’esame di abilitazione. L’ateneo accusa e il Cineca riconosce l’errore. I precedenti negativi del Consorzio universitario

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università di messina

Si sono presentati al Policlinico universitario di Messina alle 8 e 30 per sostenere l’esame di abilitazione alla professione di medico, fissato in tutt’Italia per il 4 febbraio del 2016. Dopo sei ore di attesa, però, i 155 aspiranti medici se ne sono dovuti tornare a casa. «Gli esami sono rinviati a data da destinarsi», è stato loro comunicato. Mentre in tutti gli altri atenei le prove si sono svolte regolarmente, per i candidati siciliani il conseguimento dell’abilitazione si è trasformato in una disavventura. Che ci fosse qualche problema, i futuri medici lo hanno capito dalle mimiche facciali dei membri della commissione d’esame al momento dell’apertura dello scatolo contenente i test. Il pacco era arrivato da Casalecchio del Reno, sede del Cineca, il consorzio interuniversitario a cui è stata commissionata la preparazione delle domande, il giorno prima. I commissari si sono subito accorti che all’interno vi erano un numero di plichi insufficienti: solo 125, trenta in meno degli iscritti all’esame. Febbrili contatti tra la commissione e i vertici dell’ateneo, e tra quest’ultimi e il Miur per capire il da farsi si sono concluse alcune ore dopo con l’annuncio del rinvio. «Una barzelletta», ha commentato un candidato uscendo dall’aula.

Responsabilità

Il rettore dell’università di Messina, Pietro Navarra, ha subito chiesto pubblicamente scusa ai candidati e ha annunciato un’azione di risarcimento danni nei confronti del Cineca. «C’è la prova documentale che abbiamo richiesto al Cineca il numero esatto di plichi, 155», spiega il direttore generale dell’ateneo Franco De Domenico. Cosa è accaduto? «Informalmente ci è stato detto che per un errore invece di segnare 155, l’operatore del Cineca nella trascrizione dell’ordine ha segnato 115», sottolinea De Domenico. Il Presidente del Cineca, Emilio Ferrari, conferma che «non ci sono responsabilità a carico dell’Università di Messina» e annuncia che «sono in corso verifiche interne al Cineca, verifiche che richiederanno maggiori approfondimenti per la complessità di realizzazione dei test, la loro articolazione in diverse fasi ed il coinvolgimento di diversi soggetti». «I danni di immagine che l’ateneo subisce per colpa di altri ormai non si contano più», osserva De Domenico. «Quest’ultimi si aggiungono a quelli di qualche mese fa in occasione dei test per l’ammissione ai corsi di laurea delle professioni sanitarie», aggiunge. Il rapporto tra il Cineca e l’Università di Messina, infatti, sembra segnato dalla cattiva sorte.

Fantasmi

Le prove di ammissione ai 12 corsi di laurea a numero chiuso per le professioni sanitarie dell’ateneo di Messina, tenutesi il 4 ottobre del 2015, avevano avuto un epilogo in giallo. Corretti i test da parte del consorzio bolognese e pubblicata la graduatoria definitiva, di 36 candidati (su quasi 2mila partecipanti) si era persa ogni traccia. Dieci giorni dopo, gli studenti sono stati ritrovati; la graduatoria trasmessa dal Cineca è stata annullata e ne è stata pubblicata una nuova. «Il Cineca non aveva corretto 36 prove. Il presidente, Emilio Ferrari, ci ha inviato le formali scuse», racconta il direttore generale De Domenico, «Abbiamo sospeso il pagamento del corrispettivo dovuto e ci siamo riservati di chiedere i danni ». La vicenda si è chiusa senza strascichi giudiziari. Dei 36 «fantasmi» poi rintracciati solo 5 avevano totalizzato un punteggio che dava diritto all’accesso. Ma coloro che sono stati scalzati, per il gioco degli scorrimenti hanno comunque guadagnato l’ammissione ai uno dei 12 corsi.

Bufera

Il Consorzio, che impiega 700 dipendenti e incassa 100 milioni di euro all’anno, era incappato in un clamoroso errore in occasione del concorso per l’ammissione alle Scuole di specializzazione in medicina, svolte a fine ottobre del 2014. Uno scambio di quiz aveva costretto il Ministero dell’Università ad annunciare l’annullamento e la ripetizione delle prove cui avevano partecipato 12mila medici. Le prove, qualche giorno dopo, sono state salvate, ma l’errore ha spalancato le porte ad un grosso contenzioso davanti ai giudici amministrativi ancora in corso.

Appalto pilotato al Cas: la gara “sbagliata” dai magistrati e il mistero dell’offerta tecnica di “cortesia” di 4 pagine che fa il pieno di punti

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Il capo della procura Lo Forte e l'aggiunto Ardita

Il procuratore Lo Forte, l’aggiunto Ardita e il pm Monaco

Nino Giordano, uscendo dal Tribunale di Messina dopo l’interrogatorio di garanzia e prima di tornare ai domiciliari, lo ha definito “appalto concorso”.

Il capo della Procura di Messina durante la conferenza stampa seguita agli arresti nello spiegare come é stato manipolato lo ha invece inquadrato tra gli appalti aggiudicati secondo l’offerta economica a chi presenta il ribasso che più si avvicina alla media di tutti i ribassi: “perché basta che delle imprese si mettano d’accordo per concordare preventivamente i ribassi che si offrono, per determinare automaticamente tra loro colui che risulterà…corrisponderà alla media dei ribassi“, ha detto, infatti, Lo Forte. Nella stessa tipologia lo ha inquadrato, attraverso il richiamo in una nota, il Giudice per le indagini preliminari, Maria Luisa Materia, che accogliendo (in parte) la richiesta di misure cautelari del sostituto Fabrizio Monaco, ha mandato ai domiciliari gli imprenditori Giordano, Francesco Duca, Rossella Venuto, Giuseppe Iacolino e il dirigente del Consorzio Lelio Frisone con l’accusa di turbativa d’asta. Read more

Tangenti al Cas, la gara turbata. Lo spettacolo degli arresti, l’estraneità dei funzionari pubblici ai “turbamenti” e la “voracità” di Frisone

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L'imprenditore Nino Giordano

L’imprenditore Nino Giordano

Tre imprenditori, due dei quali alleati e uno a capo di un’altra azienda, si incontrano e si parlano per tentare di congegnare una strategia per vincere una gara d’appalto bandita dal Consorzio autostrade siciliane. Ma la gara per la “Sorveglianza attrezzata e per interventi urgenti e assistenza del traffico” da 2 milioni di euro per sei mesi la vince l’imprenditore che stando a quanto si arguisce dalle intercettazioni avrebbe dovuto perderla. Per un pelo. Perché poco ci manca, solo due punti su 100, che la vinca il terzo concorrente. Antonino Giordano, imprenditore tra i più in vista di Messina con interessi che spaziano dal settore delle pulizie a quello bancario passando per l’immobiliare, e Francesco Duca di Milazzo (i perdenti) e Giuseppe Iacolino di Agrigento (il vincente) titolare di Eurotel Srl martedì 18 novembre 2014 sono stati messi agli arresti domiciliari accusati di turbativa d’asta, il reato (punito con una pena sino a 5 anni di reclusione) che commette chi “inquina con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara”, a prescindere se l’accordo va a buon fine. Per i tre imprenditori il sostituto della procura di Messina, Fabrizio Monaco, aveva chiesto la custodia cautelare in carcere. Ha ottenuto dal Gip Maria Luisa Materia una misura meno dura eseguita, in piena notte, alle 4 del mattino. Con il buio, gli agenti della Dia si sono presentati a casa degli indagati con le telecamere al seguito per comunicare loro che non si potevano muovere da casa notificando l’ordinanza di misure cautelari. Le scene cinematografiche riprese dagli agenti (pagati con i soldi pubblici) di nessun rilievo probatorio o investigativo sono state invece molto apprezzate dalle televisioni e dai telespettatori. Il carcere era stato chiesto pure per il dirigente del Consorzio Lelio Frisone, finito invece anch’egli ai domiciliari. Read more

Emergenza pulci al Policlinico: i documenti smentiscono il manager Marco Restuccia

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Il manager Marco Restuccia (tra Navarra e De Domenico)

Il manager Marco Restuccia (tra Navarra e De Domenico)

MESSINA. Lunedì 4 agosto di prima mattina è stato convocato un tavolo tecnico nella direzione sanitaria; i tunnel di collegamento interno tra i reparti da dove passano pazienti, medici e vivande, sono stati chiusi; è stata disposta una disinfestazione urgente; dalla direzione aziendale sono partite note perentorie dirette a tutti i reparti: il tutto dopo che, da varie parti sono arrivate segnalazioni verbali e scritte sulla presenza di pulci nella struttura ospedaliera. Tuttavia, due giorni dopo che la notizia di un allarme parassiti è stata ripresa integralmente da messinaora.it (vedi articolo) e due ore dopo che la stessa notizia è uscita anche su il corriere.it (vedi articolo), secondo un comunicato stampa diffuso dall’addetta stampa Valeria Arena  “Al Policlinico di Messina non c’è nessuna emergenza pulci”. Chi lo assicura? “La notizia circolata in queste ore non è fondata tanto che la ditta di pulizia incaricata di avviare la sanificazione nelle aree sotterranee che collegano alcuni padiglioni dell’ospedale ha ribadito che non vi è alcuna presenza di pulci”, spiega ancora il comunicato.

Quindi a leggere quanto c’è scritto nel comunicato non c’è stata né l’emergenza pulci né le pulci: due fatti diversi. Read more

Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra “grazia” il docente Mauro Federico. Accolto l’appello di 32 docenti che però avevano chiesto Giustizia: ovvero la revoca del provvedimento disciplinare

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Il rettore Pietro Navarra

MESSINA. Invocavano giustizia, hanno ottenuto la grazia.  Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra revoca il provvedimento disciplinare di censura nei confronti di Mauro Federico, reo di aver commentato (sul suo blog) la notizia appresa da un giornale on line (ma poi rivelatasi falsa) degli arresti del collega Mario Centorrino, “accogliendo la richiesta di clemenza”, come scrive in un nota datata 21 giugno del 2014, di un gruppo di 32 docenti dell’ateneo di Messina.

Ma quest’ultimi, invece, avevano chiesto di annullare il provvedimento perché “non fondato sulla violazione di alcuna norma, anomalo sotto il profilo procedurale, carente di motivazione e fosco presagio di una limitazione alla libertà costituzionale di espressione di un collega da anni voce critica nell’ateneo e membro di organismi istituzionali di rappresentanza democratica”.

La decisione del Magnifico invece di chiudere il caso che ha avuto come protagonista il coordinatore dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) rischia di arroventarlo ancora di più. Nella lettera, infatti, Navarra, ribadisce la fondatezza del provvedimento di censura e rincara la dose di critiche contro il docente di Fisica: riepilogando tutta la vicenda usa più volte il termine falsa o falso per indicare la condotta di Federico.

Il docente di Fisica a stretto giro di posta ha inviato a tutti i docenti dell’ateneo una dura nota con la quale confuta tutte le contestazioni di falsità del rettore Navarra.

Il rettore Navarra scrive: “La mattina del 19 marzo il dottor Federico pubblicava sul blog dell’Andu Messina una notizia dal titolo: Aria di primavera: facciamo pulizia?” in cui venivano riportate informazioni false sul conto del professor Mario Centorrino, professore emerito dell’ateneo presidente del Nucleo di valutazione. La notizia falsa era così riportata: “Come diretta conseguenza delle misure cautelari relative alle misure cautelari a suo carico, ci aspettiamo che immediatamente il presidente del Nucleo di valutazione rimetta il suo mandato e sparisca per sempre. Ove ciò non dovesse accadere, ci aspettiamo che intervenga il rettore destituendolo a divinis dalla carica…”

Navarra tuttavia non dice che la notizia falsa non se l’era inventata Mauro Federico ma questi l’ha ripresa da una testata giornalistica on line registrata al Tribunale e con tanto di direttore (per la cronaca Messinaora.it). E sulla scorta di questa ha fatto un commento sul blog dell’Andu esercitando il diritto di critica.

Aveva l’obbligo Mauro Federico di controllare la fonte? Certo che no. Questo obbligo incombe solo sui giornalisti e non certo ai comuni cittadini. Se per ipotesi, il telegiornale o un giornale (e non un gruppo di amici al bar) danno notizia che un politico è indagato e un cittadino commenta che dovrebbe dimettersi e poi la notizia non è vera può mai essere accusato di diffamazione? A risponderne è il giornalista che ha dato la notizia falsa non il cittadino che l’ha commentata sulla base della presunzione fosse vera e fosse stata controllata dal giornalista. A meno che il cittadino non perseveri nel dare per buona la notizia anche dopo che è stata smentita: cosa che nel caso di specie non è accaduta.

 

Il rettore Navarra continua: “Dopo circa un’ora il dottor Federico modifica leggermente i contenuti della notizia, asserendo che comunque il prof Centorrino sarebbe stato coinvolto nei giorni successivi negli sviluppi dell’inchiesta: considerazione rivelatasi anche in questo caso, assolutamente falsa”.

Mauro Federico, in realtà ha cancellato la notizia dopo 20 minuti (era stata postata alle 8 e 21 è stata cancellata alle 8 e 41). Semmai e contrariamente a quanto afferma ora il rettore, in una nota successiva aveva espresso l’opportunità che “il rettore agisse con tempestività per mettere al riparo l’Istituzione da contraccolpi di immagine che potrebbero derivare dal proseguo delle indagini”. Le indagini sono quelle sulla Formazione che hanno portato arresti il leader del Pd Francantonio Genovese, ovvero di chi aveva voluto Mario Centorrino come assessore alla Formazione del Governo di Raffaele Lombardo.