Tag Archive for Antonio Le Donne

IL COMMENTO: Caso Sindoni, il segretario generale Le Donne sotto accusa e denunciato in Procura. L’avvocato Scurria ispira il vice presidente del Consiglio Interdonato. Ma le tesi del legale non stanno in piedi. Come quelle del collega Catalioto. Il caso Buzzanca lo dimostra

Download PDF

 

Il segretario generale Antonio Le Donne

Il segretario generale Antonio Le Donne

 

Mancanza di imparzialità e predisposizione di un atto illegittimo per fare fuori un consigliere comunale a cui nel frattempo si è abusivamente impedito di esercitare le sue funzioni.

Per un Segretario generale, custode della legalità nell’ambito dell’amministrazione locale, le accuse che gli ha rivolto pubblicamente Nino Interdonato, il vicepresidente del Consiglio comunale, sono le più gravi e indigeste si possano ricevere. Anche perchè dallo stesso consigliere rimesse alla valutazione della Procura.

Sono indigeste ancor di più se arrivano a qualche ora da quelle della stessa natura che gli ha mosso la consigliera Donatella Sindoni in un esposto in Procura, letto su input del suo legale Antonio Catalioto a pochi minuti del voto fissato sulla delibera che avrebbe sancito la fine della sua lunga avventura da ineleggibile a palazzo Zanca.

L’Ufficio Legale e legislativo della Regione e di recente, a distanza di 8 mesi, una pronuncia del Tribunale di Messina, infatti, hanno stabilito che la biologa prestata alla politica non poteva partecipare alle elezioni di maggio del 2013.

Il consigliere Nino Interdonato con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il consigliere Nino Interdonato (a destra) con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il giovane politico, pupillo del deputato regionale Beppe Picciolo, avendo firmato la proposta di delibera predisposta dalla Segreteria generale e messa all’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio si è preoccupato e non poco alla lettura dell’esposto che denunciava abusi: “Segretario, mi conferma che la delibera è legittima?”, ha chiesto un paio di volte, prima di tranquillizzarsi e votare: invano, perché non si è raggiunto il numero legale.

Tuttavia, è bastato che qualche ora dopo un avvocato gli fornisse un parere legale perché  lo spavento di Interdonato diventasse terrore: l’esponente di Sicilia Futura non solo ha preso le distanze dalla delibera di decadenza (con il ritiro della firma), ma è arrivato ad accusare il segretario Le Donne di assenza di imparzialità e disonestà, investendo anche lui del caso la Procura.

 Abusi in decadenza

Secondo l’avvocato/consulente di Interdonato, la proposta di delibera è frutto di abusi. Interdonato ha supinamente sposato la tesi del legale.

L’uscita pubblica di Interdonato, unito all’esposto letto in aula  e alla minacce di denunce per chi avesse votato la delibera mosse ai colleghi dalla stessa Sindoni (vedi articolo), ha paralizzato la decisione del Consiglio comunale sul punto.

 

Corsi e ricorsi storici

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato Marcello Scurria, l’avvocato che con i suoi consigli giuridici permise tra ricorsi, controricorsi ed eccezioni all’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca di mantenere per due anni la carica di sindaco di Messina e consigliere regionale, nonostante la Corte costituzionale (il 23 aprile del 2010) avesse stabilito che non potessero essere cumulati.

Naturalmente, tutto questo fu possibile grazie alla complicità dell’Ars, che pendente il ricorso non ne volle sapere di votare in sede di verifica dei poteri sull’incompatibilità del collega. Fu il Tribunale amministrativo regionale a ordinargli di discutere e deliberare la decadenza di Buzzanca: esattamente il 26 giugno del 2012, due anni e 3 mesi dopo dalla sentenza della Consulta.

A battersi per l’incompatibilità di Buzzanca fu proprio Antonio Catalioto, che assisteva il primo dei non eletti, Antonio D’aquino: il legale si mostrò più volte indignato per la resistenza del sindaco a tenersi entrambe le poltrone.

 

Le tappe della vicenda Sindoni

Il 22 giugno del 2015 nel servizio giornalistico “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”, viene sollevato il caso dell’ineleggibilità.

L’1 dicembre 2015 il Segretario generale Antonio Le Donne chiede un parere legale al Dipartimento enti locali della Regione Sicilia.

Il 30 giugno del 2016 l’Ufficio legale e legislativo della Regione, massimo organo di consulenza giuridica degli enti locali siciliani, dichiara Donatella Sindoni ineleggibile.

Il 4 agosto 2016 il Consiglio comunale discute e si pronucia sulla delibera di decadenza. 11 assenti, 8 favorevoli, 1 contrario, 20 astenuti. Le proposta non viene approvata.

Il 2 febbraio del 2017 il Tribunale di Messina si pronuncia sull’ineleggibilità. E dispone: “Il Tribunale dichiara Donatella Sindoli ineleggibile. Sostituisce la stessa con il primo dei non eletti”. Ordinanza Tribunale Messina Sindoni

Il 3 febbraio 2017 la Sindoni si presenta a palazzo Zanca e partecipa comunque ai lavori.

Il 6 febbraio 2017 la Sindoni torna a Palazzo Zanca ma su disposizione del Segretario generale le viene impedito di partecipare ai lavori

Il 6 febbraio 2017 alle ore 17 e 55 il legale della Sindoni, Antonio Catalioto, comunica al Segretario generale che è stato proposto appello.

Il 6 febbraio 2017 la Segreteria generale predispone una nuova delibera di decadenza, fondata sempre sul parere dell’Ufficio legale della Regione ora però corroborato dalla pronuncia dei giudici. La proposta di delibera, per conto dell’Ufficio di Presidenza è firmata dal vicepresidente Nino Interdonato.

L’8 febbraio 2017 la delibera approda in aula: il legale della Sindoni a pochi minuti dal voto annuncia che è stata presentato esposto in Procura Esposto procura Sindoni, per denunciare gli abusi del Segretario generale e della Presidenza del Consiglio. Scoppia la bagarre, non si raggiunge il numero legale di 16 per poter votare. Solo 15 i presenti, tutti favorevoli. 25 gli assenti su 40 consiglieri.

Il 9 febbraio 2017 il vicepresidente del Consiglio Nino Interdonato ritira la firma sulla proposta di delibera, si dimette, e attacca il segretario generale accusandolo di mancanza di imparzialità e di illegalità. Trasmette la nota alla Procura della Repubblica, cui chiede di verificarne la condotta.Nota di Interdonato

 

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

La confusione di Catalioto

Antonio Catalioto, subito dopo la pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale, aveva sostenuto in dichiarazioni al giornale on line Tempostretto che l’ordinanza non fosse immediatamente esecutiva citando la norma del codice di procedura civile che disciplina gli effetti in caso di mancato appello, ovvero il divenire della stessa cosa giudicata: “L’art.702 quater dispone che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art.702 ter produce gli effetti esecutivi dell’articolo 2909 codice civile se non è appellata entro i 30 giorni dalla sua comunicazione”, ha detto Catalioto al giornalista.

Invece, la norma che disciplina l’efficacia dell’ordinanza è il comma 8 dell’articolo 22 della Dlgs 150/2011 che stabilisce. “L’efficacia esecutiva dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale è sospesa in pendenza di appello”articolo 22 dlgs 150-2011.

La lettera della norma è chiara. L’ordinanza è esecutiva; nel momento in cui viene incardinato l’appello (che quindi da quel momento pende) l’efficacia è sospesa.  

L’avvocato Catalioto, così, dopo aver letto la norma giusta e dopo averla interpretata, ha cambiato rotta, e per sostenere che Le Donne ha commesso un abuso nell’impedire a Donatella Sindoni di partecipare ai lavori prima della proposizione dell’appello si è inventato un’altra teoria.

Nella nota di diffida inviata al Segretario generale (Diffida di Catalioto a Le Donne)  poi ripresa nell’esposto inviato in Procura, ha sostenuto che l’ordinanza del Tribunale non potesse impedire alla Sindoni di svolgere sino al momento della proposizione dell’appello la sua attività di consigliere “perché sancisce l’ineleggibilità e non dichiara la decadenza che spetta al Consiglio comunale”.

Ripasso di diritto amministrativo

Tuttavia, le argomentazione del legale si scontrano con un principio elementare per gli studenti di giurisprudenza che hanno sostenuto l’esame di diritto amministrativo. In presenza di un’ordinanza che dichiara l’ineleggibilità (e porta alla nullità con effetto retroattivo dell’elezione come se mai ci fosse stata) non impugnata in appello (appello nel caso di specie che appunto non c’è sino alla sera del 6 febbraio) al Consiglio comunale spetta la sola mera presa atto dell’ineleggibilità dichiarata dai giudici e la sostituzione con il primo dei non eletti. Null’altro. La decadenza non c’entra nulla.

Marcello Scurria su questa conclusione  è concorde.

L'avvocato Marcello Scurria

L’avvocato Marcello Scurria

L’interpretazione Scurresca nostalgica del passato

Ma per il legale/consulente di Interdonato il segretario generale ha commesso comunque un abuso a impedire alla Sindoni di partecipare ai lavori perché l’ordinanza non era immediatamente esecutiva.

“E’ vero la lettera della norma sembra dire che l’efficacia è esecutiva”, dice Scurria. “Ma la norma va interpretata. In passato era principio pacifico che la pronuncia non avesse efficacia immediata”.

La norma infatti (abrogata nel 2011) stabiliva: “L’ esecuzione delle sentenze emesse dal tribunale civile resta sospesa in pendenza di ricorso alla corte d’appello”.

“Il legislatore del 2011 non ha saputo copiare”, conclude Scurria.

Marcello Scurria è molto affezionato al passato e allergico alle innovazioni legislative.

Dimentica, infatti, che il Dlgs 150 è stato fatto per unificare i vari procedimenti civili speciali, ben 33 per la precisione, che pullulavano nell’ordinamento creando lungaggini e difficoltà interpretative, e ricondundurli ai tre principali: quello ordinario di cognizione, quello del lavoro e quello sommario di cognizione (cui viene ricondotto quello elettorale).

Basta leggere la relazione illustrativa della legge delega (sfociata poi nel dlgs del 2011) e i lavori della dottrina sul punto.

Principio comune da decenni dei tre riti è che tutte le pronunce di primo grado sono immediatamente esecutive: la parte soccombente può però a certe condizioni fare istanza di sospensione della provvisoria esecutività.

La dottrina così è unanime, partendo dalla lettera della norma e dalla ratio del legislatore, nel dire che la nuova formulazione è da intendere nel senso che l’ordinanza ha efficacia esecutiva immediata come tutte gli altri (vedi, ad esempio, lavoro sul punto di Luca Andreassi)

L’eccezione sancita dall’articolo 22, comma 8,  rispetto alla regola generale sta ne fatto che l’appello sospende automaticamente l’efficacia esecutiva della pronuncia senza che sia necessario apposita istanza di sospensione ai giudici, come prevede la regola generale.

Il primo abuso di Le Donne non c’è

Dunque anche la tesi di Scurria sull’efficacia dell’ordinanza presa per oro colato da Interdonato, è una mera opinione di Scurria, smentita dall’interpretazione unanime della dottrina. Così come quella di Catalioto.

Le Donne dunque ha fatto bene a impedire alla Sindoni di prendere parte ai lavori del 6 febbraio.

La Sindoni, dal canto suo, abusivamente ha partecipato ai lavori del 3 febbraio e illegalmente voleva partecipare a quelli del 6 febbraio.

 

La consigliera torna in carica: il secondo abuso di Le Donne secondo i due legali

A partire dalla serata del 6 febbraio la Sindoni è tornata nella pienezza delle sue funzioni.

Per i due legali il Consiglio comunale non poteva pronunciarsi sulla delibera di decadenza della Sindoni preparata dalla segreteria generale, votando favorevolmente o in senso contrario. Dunque, Le Donne ha fatto un altro abuso.

Il motivo?

Scurria (nella nota di Interdonato)  e Catalioto (nella diffida e nell’esposto) sostengno, senza citare né norma giuridica né precedente, né dottrina, che siccome c’è una causa pendente davanti ai giudici al Consiglio è precluso pronunciarsi contemporanemante sulla stessa vicenda finchè pende il giudizio.

Smentiti dalla Corte costituzionale

Questa tesi non solo non è fondata su nessuna norma giuridica né precedente né lavoro dottrinale. Ma è stata smentita più volte dalla Corte costituzionale (vedi, ad esempio, sentenza 357 del 1996), a sua volta più volte richiamata dai giudici amministrativi e dalla Cassazione, che ha stabilito esattamente il contrario.

E cioè che i due porocedimenti scorrono su binari diversi e che l’uno è autonomo rispetto all’altro.

Ha infatti stabilito la Corte Costituzionale: “La procedura di verifica dei poteri davanti al Consiglio e il giudizio di fronte al Tribunale – per quanto attivabili entrambi per iniziativa di cittadini elettori, estranei al Consiglio stesso, e orientati in definitiva allo scopo comune dell’eliminazione delle situazioni di incompatibilità e di ineleggibilità previste dal legislatore, in cui versino i consiglieri – si svolgono su piani diversi, mirando a finalità immediate anch’esse diverse: la verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione, la prima; la garanzia del rispetto delle cause di ineleggibilità e incompatibilità nell’interesse della generalità dei cittadini elettori e a opera della Autorità giudiziaria, la seconda”.

La Consulta ha ancora precisato: “Questo spiega la concorrenza delle due distinte garanzie in ordine alle cause di incompatibilità e di ineleggibilità, concorrenza ormai pacificamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte di cassazione e giudicata conforme alla Costituzione da questa stessa Corte”.

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

A proposito di …. memoria coerenza e imparzialità

Marcello Scurria, il principio della concorrenza e autonomia del procedimento amministrativo di verifica dei poteri dal giudizio davanti al Tribunale lo conosce molto bene.

Come lo conosce molto bene l’avvocato Antonio Catalioto.

Lo conoscono bene entrambi perché lo hanno sperimentato nella vicenda che ha portato alla decadenza del sindaco Buzzanca. Ma forse se ne sono dimenticati,

Scurria tentò di usare l’argomentazione dell’efficacia preclusiva del giudizio pendente davanti al Tribunale per evitare che l’Assemblea regionale siciliana, cui si era rivolto Antonio Catalioto (che allora sosteneva il contrario e adesso ha cambiato opinione), si pronunciasse sulla decadenza di Buzzanca.

Il Tar di Palermo, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, fu netto ad ordinare all’Ars di pronunciarsi riaffermando il principio che la circostanza che ci fosse un giudizio ordinario pendente non avesse rilevanza (vedi sentenza Tar di Palermo)

 

Se Scurria supera Catalioto

L’avvocato Marcello Scurria va oltre le argomentazioni di Catalioto. Sostiene infatti, sempre per fondare l’accusa di abuso a Le Donee, che nel caso di specie il Consiglio comunale si è già pronunciato sulla sua ineleggibilità e, dunque, secondo il legale una volta che ha già votato ha consumato il potere di farlo, ovvero di pronunciarsi nuovamente.:

Questa conclusione dell’avvocato Marcello Scurria non è sostenuta da nessuna norma giuridica, da nessun precedente giurisprudenziale, da nessuna opionine della dottrina.

E’ semplicemente una tesi (rispettabilissima) dell’avvocato Scurria che, a precisa e ripetuta domanda, infatti, non sa indicare né un precedente, né una norma né tantomeno un lavoro della dottrina.

Scurria si rifiugia “nei principi”. Ma quali sono questi principi?, chiede il giornalista all’avvocato Scurria. Nessuna risposta.

In realtà, basterebbe questo per giungere a conclusioni opposte a quelle che Scurria ha suggerito a Interdonato.

Ma c’è di più. In realtà, i principi che informano la Costituzione liberal democratica italiana sono di segno contrario e portano a conseguenze opposte a quelle che vorrebbe Scurria.

 

Il secondo abuso di Le Donne non c’è

Basterebbe allora osservare che secondo un principio generalissimo dell’ordinamento giuridico tutto ciò che non è vietato è permesso.

L’attività amministrativa, poi, in generale è fondata sul principio che l’amministrazione possa sempre rivalutare gli atti compiuti.

C’è una norma dello stesso Regolamento del Consiglio comunale di Messina, l’articolo 32, che infatti prevede il potere del Consiglio di modificare, revocare, integrare e sostituire le proprie deliberazioni (vedi regolamento).

In questo caso, tra l’altro, non si tratta neppure di sostituire una delibera precedente.

La delibera neppure c’è.

Il Consiglio non ha votato contro l’ineleggibilità e quindi per l’eleggibilità della Sindoni: il 4 agosto 2016, infatti, 11 consiglieri erano assenti e 20 si sono astenuti. Otto dei 9 consiglieri superstiti hanno votato per la decadenza.

Come ha precisato la Corte costituzionale in più occasioni la verifica dei poteri è attività amministrativa “volta alla verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione”.

Ora se c’è il sospetto, in questo caso è fondato persino su una decisione dei giudici, che un l’organo non è regolarmente costituito è mai sostenibile che l’organo rimanga irregolarmente costituito per anni (perché nessuno si rivolge ai giudici) in presenza di un’evidente causa di ineleggibilità e solo perchè il Consiglio si è pronunciato?

E’ mai sostenibile che il consigliere ineleggibile determini per anni con il proprio voto l’approvazione di atti solo perchè il Consiglio non ha deliberato la sua decadenza perché il giorno fissato per il voto magari la maggior parte dei consiglieri colpita, ad esempio, da un’influenza virale o bloccata nel traffico nato da un ‘incidente, era assente? Oppure perchè si era astenuta non avendo avuto il tempo di esaminare bene la questione?

E’ ovvio che queste conclusioni sono assurde e in contrasto con i principi costituzionali, i quali impongono che un organo che rappresenta i cittadini deve essere formato da chi poteva partecipare alle elezioni.

Il Consiglio incontra solo un limite nel potere di potersi pronunciare sulla decadenza di un consigliere: un provvedimento passato in giudicato della magistratura.

Il consigliere dichiarato decaduto dai colleghi ha sempre uno strumento di tutela: rivolgersi ai giudici impugnando la delibera di decadenza.

 

Ineleggibilità di Donatella Sindoni, la consigliera per rimanere incollata allo scranno agita lo spauracchio delle denunce in Procura contro i colleghi. Il suo legale Catalioto impone la lettura in aula di un esposto a pochi minuti dalla votazione sulla decadenza. L’avvocato Scurria ci mette lo zampino. Il Consiglio comunale, già sotto inchiesta, va in tilt

Download PDF

Donatella Sindoni

Donatella Sindoni

“Si comunica che la mia assistita ha presentato esposto in Procura. Conseguentemente, all’apertura dei lavori d’aula si diffidano il segretario generale e il presidente del Consiglio a darne pubblica lettura per la conoscenza di ogni singolo consigliere che parteciperà alla votazione sulla proposta di decadenza”.

E’ stata dichiarata ineleggibile due volte: il 24 giugno del 2016 dall’Ufficio legale e legislativo della Regione Sicilia, il 2 febbraio del 2017 dal Tribunale di Messina (sulla  scorta peraltro di un precedente della Corte di cassazione); e ha firmato la mozione diretta a mandare a casa il sindaco Renato Accorinti (e di conseguenza se stessa e l’intero Consiglio comunale).

Tuttavia, pur di rimanere appiccicata alla sua poltrona le prova tutte.

Assistita dal suo legale Antonio Catalioto, la consigliera comunale Donatella Sindoni non si è limitata a proporre l’ appello (più che legittimo) avverso l’ordinanza che la dichiara ineleggibile emessa dai giudici, riacquistando così il diritto di tornare a palazzo Zanca.

Ha infatti agitato con veemenza lo spettro delle denunce già presentate o da presentare alla Procura della Repubblica, che già solo perché sono presentate determinano l’apertura di un procedimento penale con iscrizione sul registro degli indagati e la scocciatura di nominare un legale e di finire sui giornali.

Destinatari delle minacce i suoi colleghi consiglieri, ovvero coloro che dovevano e dovrebbero pronunciarsi sulla sua sorte politica e che hanno già non pochi guai con la giustizia.

Gran parte di loro infatti sono sotto procedimento penale o lo sono stati sino alla scorsa settimana. Alcuni sono ancora sottoposti a misura cautelare dell’obbligo di firma all’entrata e all’uscita di Palazzo Zanca.

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

Questa delibera… non s’ha da votare

All’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio 2016 c’era la delibera, istruita dalla segreteria generale e fatta sua, come per prassi, dal vicepresidente del Consiglio comunale Nino Interdonato, che sanciva la decadenza di Donatella Sindoni.

Qualche ora prima era arrivata a palazzo Zanca la nota di diffida dell’avvocato Catalioto con allegato esposto.

Il presidente del Consiglio e il segretario generale si sono piegati al diktat dell’avvocato.

E’ stata la stessa consigliera Sindoni a leggere l’esposto ai colleghi.

Votare sulla decadenza della consigliera per il legale, Antonio Catalioto, è frutto di abusi. Come – per lo stesso legale – lo era stato chiedere il parere all’Ufficio legale della Regione dopo la pubblicazione a maggio del 2015 del servizio giornalistico che sollevava il caso.

E’ un abuso – a leggere l’esposto – perché l’appello contro l’ordinanza di ineleggibilità ne aveva sospeso l’efficacia esecutiva.

Nel mirino della Sindoni il segretario generale Le Donne che la vuole fare fuori perché il suo voto può essere decisivo per la sfiducia al sindaco Accorinti.

In realtà, la proposta di delibera non era basata sull’ordinanza del Tribunale ma sul fatto che la Sindoni è ineleggibile per come aveva scritto un anno prima il massimo organo di consulenza giuridica della Regione. L’ordinanza del Tribunale è considerata solo un’ ulteriore prova.

Ne è nata una bagarre. Durante la discussione Il consigliere Interdonato preoccupato per l’esposto ha chiesto più volte al segretario generale Le Donne se confermasse o meno la piena legittimità delle delibera.

La consigliera Lucy Fenech ha affermato: “Questo della Sindoni e del suo avvocato è un atto di intimidazione al Consiglio”.

Alla fine è caduto il numero legale. Alcuni consiglieri per non votare hanno lasciato l’aula.

Per votare era necessaria la presenza di 16 consiglieri, ne sono rimasti in aula 15 (su 40): l’ultimo ad abbandonare l’aula Fabrizio Sottile. Non è andato via per mettersi al riparo dall’esposto, né per motivi politici, bensì a seguito di uno screzio con la capogruppo del Pd Antonella Russo: insomma per un dispetto di quelli che si fanno i bambini alla scuole materne.

 

L’intimidazione non è mai troppa

Giovedì 9 febbraio, la scena si è ripetuta, con toni più aspri.

Durante i lavori nella Commissione Sport e Spettacolo presieduta da Piero Adamo, in cui si è aperto un dibattito su come dovesse procedere nei lavori, la Sindoni – secondo quanto hanno riferito i presenti – ha ammonito i colleghi affermando che avrebbe denunciato i colleghi che avrebbero votato la sua decadenza. Nuova bagarre. Scambio di accuse. E di insulti.

Risultato: il Consiglio comunale non si è pronunciato sulla sua decadenza, nè sipronuncerà. Non a breve almeno.

Se la paura te la mettono gli avvocati

Il vicepresidente del Consiglio comunale, Nino Interdonato, infatti, già preoccupato dopo la lettura dell’esposto della Sindoni, si è messo al riparo da ogni possibile conseguenza penale e ha ritirato la firma prendendo le distanze da chi la delibera l’ha istruita.

Con una nota (scritta evidentemente da un legale), Interdonato ha condiviso la tesi sostenuta dal legale della Sindoni. Anzi, è andato anche oltre individuando più abusi di quelli lamentati dallo stesso Catalioto.

Ha accusato di mancanza di imparzialità il Segretario generale, evocando a sua volta l’intervento della Procura e si è dimesso dall’Ufficio di presidenza.

Interdonato, da perfetto ignorante della materia – come lui stesso ha ammesso – ha preso per oro colato quanto gli ha confezionato un legale.

Scurria, il legale che non ti aspetti

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato infatti Marcello Scurria, ex segretario dei Democratici di sinistra e consulente giuridico nonché avvocato personale dell’ex sindaco di destra Giuseppe Buzzanca.

Quest’ultimo, oltre che primo cittadino di Messina era al tempo stesso consigliere regionale, quando ad aprile del 2010, una sentenza della Corte costituzionale stabilì che il cumulo delle due cariche fosse fuorilegge.

Tuttavia, assistito da Scurria, solo dopo due anni e mezzo, Buzzanca fu dichiarato decaduto dall’Ars.

Ironia della sorte, a battersi perché fosse prima sancita l’illegalità del cumulo delle cariche e poi la decadenza di Buzzanca fu Antonio Catalioto, legale oggi della Sindoni ed ex socio e collega di studio di Scurria.

Catalioto all’epoca non nascondeva la sua indignazione per come Buzzanca le provasse tutte per mantenere le due cariche, in spregio alla legge.

Operazione compiuta

La proposta di delibera per tornare ora in votazione deve essere firmata da un consigliere. In genere, per prassi se arriva dagli uffici la firma il presidente del Consiglio o qualcuno dell’Ufficio di presidenza.

La presidente Emilia Barrile, nell’occhio del ciclone dell’esposto della Sindoni e della nota di Interdonato, ha già dichiarato che lei non lo farà. L’altro componente, Nicola Crisafi, ha seguito Interdonato sulla scia delle dimissioni.

Effetto boomerang

Donatella Sindoni minaccia di presentare denunce. Ma la minaccia delle denunce e l’ostentanzione di quelle già fatte allo scopo di influire sull’andamento dei lavori di un organo elettivo le potrebbero costare l’attenzione della stessa Procura che evoca:

a lei e al suo legale, che a poche ore dal voto di un organo democratico ha fatto pervenire una nota di diffida che non ha precedenti.

Infatti, la loro condotta, inserita in un contesto in cui tutti sono scottati da procedimenti penali e temono di finire in altri, potrebbe integrare il reato dell’articolo 338 del codice penale che punisce “chi usa minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autoritità, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività”.

 

IL CORSIVO: Decadenza della Sindoni, il Tribunale offre al Segretario generale Antonio Le Donne e al Consiglio comunale la possibilità di uscire dall’ambiguità lunga due anni. La consigliera decaduta, assistita dal legale Catalioto, partecipa ancora ai lavori

Download PDF

Antonio Le Donne

Antonio Le Donne

Non c’era bisogno della pronuncia del Tribunale di Messina. Ma ora c’è pure quella. Eppure, Donatella Sindoni, consigliata dal suo legale Antonio Catalioto, non si rassegna e va allo sbaraglio.

Venerdì scorso la consigliera decaduta ha regolarmente partecipato ai lavori della Commissione Patrimonio, presieduta da Daniele Zuccarello, come se nulla fosse. E nessuno dei suoi colleghi ha avuto nulla da ridire, men che mai il segretario di commissione o lo stesso presidente. Eppure, la sentenza emessa il giorno prima – per disposizione di legge – è immediatamente esecutiva: un secondo dopo che è stata pubblicata la Sindoni è diventata una privata cittadina (il comma 8 dell’articolo 22 della legge 150 del 2011 stabilisce che “L’efficacia esecutiva dell’ordinanza pronunciata dal tribunale e’ sospesa in pendenza di appello”).

Dunque, i lavori della commissione sono stati viziati (a pena di nullità) dalla presenza abusiva (e a rischio rilevanza penale) di un ex consigliere.

Stamattina la scena si è ripetuta ma questa volta i colleghi consiglieri, forti di una nota che nel frattempo il segretario generale Antonio Le Donne aveva inviato al presidente del Consiglio comunale, hanno “coraggiosamente” ma non troppo abbandonato la colpevole complicità che da un due anni mantengono sulla vicenda. 

La Sindoni così è stata costretta a tornarsene a casa. Ma prima la presidente della Commissione Viabilità, Simona Contestabile, le ha dato comunque la parola e il tempo di affermare che è una “perseguitata politica”.

Se a palazzo Zanca si rispettano così le decisioni dei giudici e le norme di legge, da domani, qualsiasi cittadino è autorizzato a partecipare ai lavori del Consiglio e a votare.

Ad ogni modo, il legale Catalioto, che in questa vicenda ha dato il meglio della sua sapienza giuridica, nella tarda mattinata ha presentato appello, per cui da domani la Sindoni potrà tornare regolarmente in carica e starvi finché l’appello non verrà deciso.

Tuttavia, ora il segretario generale Antonio Le Donne ha la possibilità di rimediare alle sue condotte omissive che hanno permesso quella che è una grave violazione della democrazia.

Prima, infatti, dopo la pubblicazione del servizio giornalistico del maggio del 2015 che sollevava il caso, il custode della legalità a palazzo Zanca a fronte di una situazione di solare ineleggibilità in capo alla proprietaria dell’omonimo laboratorio di analisi, non si è assunto le sue responsabilità e ha atteso per un anno un parere dell’Ufficio legale della Regione Sicilia dalle conclusioni inequivocabili.

Successivamente, dopo che il Consiglio comunale si è astenuto sulla decadenza, ai primi di agosto 2016 ha mandato una nota ai consiglieri per dire loro che a fronte del parere “non avevano margini per non votare la decadenza”, dimenticandosi tuttavia nei giorni a seguire di avanzare e far mettere all’ordine del giorno una nuova proposta di decadenza per come gli imponeva la legge.

La stessa possibilità di rispettare la legge e la democrazia ce l’ha pure Consiglio comunale, che nella sua quasi totalità dei suoi componenti ha dribblato il parere dato dal massimo organo giuridico consultivo dell’ente locale.

In Consiglio comunale siede dal 2013 e rappresenta i cittadini di Messina chi non lo può fare: non perché abbia chissà quali colpe ma perché secondo la legge al momento dell’elezione aveva un ruolo che la avvantaggiava nella competizione elettorale.

Per la legittimazione dell’organo rappresentativo Consiglio comunale non si tratta di cosa di poco conto.

La verifica dei poteri, che per legge può essere fatto in ogni tempo in cui emergono fatti rilevanti e non solo al momento della proclamazione degli eletti, infatti, non è come pensa qualche sprovveduto consigliere comunale un giochetto di natura politica fondato sulla simpatia per questo o quel consigliere, ma un atto giuridico amministrativo che legittima l’operato dell’organo nella sua interezza e si basa sulla valutazione giuridica di presupposti di fatto.

Il voto della Sindoni, solo per fare l’esempio più clamoroso, nei prossimi giorni potrà essere decisivo per consegnare la città a un commissario nominato dalla Regione. E nei mesi scorsi è stato decisiva per far approvare o non approvare provvedimenti che riguardano il bene della città.

Bastano queste elementari osservazioni, al di là del giudizio negativo o positivo sull’operato di Renato Accorinti, sempre più vittima del suo narcisismo autoreferenziale, per comprendere come la questione dell’ineleggibilità di Donatella Sindoni merita di essere affrontata in maniera radicale, come andava affrontata sin dall’inizio, evitando il balletto dell’efficacia sospensiva dell’appello, che fa tornare in carica la Sindoni, che poi tra sei mesi finirà molto probabilmente per decadere di nuovo.

Al Segretario generale basta predisporre e sottoporre all’approvazione del Consiglio comunale una nuova proposta di delibera che sancisca la decadenza di Donatella Sindoni sic et simpliciter, ma non perché c’è stata  una pronuncia del Tribunale: se fosse fondata solo su questo, se anche fosse approvata dal Consiglio, un minuto dopo la delibera di decadenza non avrebbe più valore.

La pronuncia del Tribunale è il sigillo finale a dati chiari e lampanti che imponevano già da due anni di dichiarare Donatella Sindoni decaduta: la norma regionale, la norma nazionale nell’identica formulazione, il precedente della Corte di Cassazione che ha deciso un caso identico a quello della Sindoni. E poi il parere firmato dall’avvocato generale dell’Ufficio legale della Presidenza della regione Sicilia, Romeo Palma. Quello che secondo il segretario generale non consentiva valutazioni discrezionali ai consiglieri, che pi. Non le consentiva allora, figurarsi oggi che c’è pure una pronuncia dei giudici.

Ma ai consiglieri comunali di Messina se manca la capacità di fare proposte per risolvere i problemi della gente non difetta certo la fantasia, specie quella giuridica, già mostrata nella seduta in cui fu già votata la decadenza della Sindoni, dai consiglieri giuristi Pippo Trischitta e Carmelo Santalco: se nell’occasione pensarono di poter sfuggire al parere della Regione senza assumersi responsabilità astenendosi con motivazioni ridicole, ora potrebbero decidere di disertare l’aula, dando ulteriore prova di quanto hanno a cuore il bene comune. In questo caso, almeno i contribuenti risparmierebbero gettoni di presenza e oneri riflessi .

 

 

 

 

 

Ineleggibilità della consigliera Sindoni: le acrobazie pseudo giuridiche del legale Catalioto nel circo politico mediatico messinese, sguarnito di specchi. I ritardi annosi del segretario generale Le Donne

Download PDF

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Le circolari di un assessore possono abrogare, derogare o mettere nel nulla una legge emanata dal Parlamento o dall’Assemblea regionale siciliana?

La domanda, tanto è semplice la risposta, non viene posta neppure agli studenti degli istituti tecnici che si vuole aiutare a raggiungere una sufficienza striminzita in diritto.

Eppure, l’avvocato Antonio Catalioto, ex assessore tra il 2005 e il 2007 della Giunta del sindaco Francantonio Genovese, ha convocato una conferenza stampa per sostenere che la consigliera del comune di Messina Donatella Sindoni, da lui patrocinata, era perfettamente eleggibile.

Il motivo? “Ci sono due circolari assessoriali che dicono che la legge che stabilisce l’ineleggibilità della Sindoni non si applica”, ha detto il legale con il pallino per la politica davanti a una decina di giornalisti che prendevano appunti come gli alunni di scuola elementare davanti al maestro che racconta che “il ciuccio vola”.

L’avvocato, alla presenza di un nutrito gruppo di colleghi della Sindoni, appositamente convocati, se l’è presa così con il segretario generale del Comune di Messina.

Antonio Le Donne – secondo Catalioto – è   colpevole di non aver subito detto che c’erano queste circolari e di non avere così stoppato sul nascere il lungo procedimento, nato dal un servizio giornalistico a firma di Michele Schinella  (vedi servizio del 22 giugno del 2015), sfociato nel parere dell’Ufficio legale della Regione, che un anno dopo si è trovato d’accordo con le argomentazioni giuridiche persino dell’ultimo dei giornalisti, dichiarando l’ineleggibilità della Sindoni.

GLI SCIVOLONI DI CATALIOTO

“Le Donne guadagna 200mila euro all’anno e anche per il ruolo che riveste non poteva non sapere che c’erano le circolari”, accusa Catalioto raggiunto telefonicamente.

Il legale, però, vacilla non appena il giornalista, non presente alla conferenza stampa, gli pone due domande.

La prima: “Ma le circolari – secondo lei – derogano o possono dichiarare inapplicabile la legge?” “No, assolutamente no”, precisa Catalioto.

La seconda domanda, conseguente: “Il segretario generale – domanda ancora il solito giornalista – è obbligato ad applicare la legge oppure le circolari assessorali”.

A questa domanda, il legale si attorciglia: “La legge”. Poi, però, nel tentativo di risolvere le contraddizioni rispetto a quanto detto in conferenza stampa, aggiunge: “Il segretario generale se ne deve fregare delle circolari, ma se ne deve fregare sempre”, conclude mostrando la fragilità delle sue argomentazioni.

Come dire, siccome Le Donne di solito applica le circolari, in questo caso doveva farlo egualmente senza porsi neppure il problema che le circolari, come spesso capita, possano essere illegittime.

LE ELUCUBRAZIONI ANTIGIURICHE DELL’AVVOCATO

Non che ci fosse la necessità di porgli due domande per capire quanto le (mutevoli, peraltro) tesi del legale, destinatario di una serie di incarichi da parte di enti pubblici e di esponenti politici in materia elettorale, siano fondate su un vacuo arzigogolare antigiuridico finalizzato, al massimo, a un po’ di pubblicità gratuita.

Infatti, le circolari – come sanno tutti e come la Corte di Cassazione ha sempre precisato – non hanno alcuna efficacia normativa. Non possono innovare l’ordinamento giuridico. Non possono stabilire se una norma vigente dell’ordinamento non si applichi.

I pubblici funzionari come i giudici sono tenuti ad applicare la Legge.

Ebbene, la Legge che stabilisce che Donatella Sindoni non poteva essere eletta è vigente, tanto nell’ordinamento nazionale quanto in quello regionale, nell’identica formulazione: “Non è eleggibile il legale rappresentante delle strutture convenzionate per il Consiglio del comune il cui territorio coincide in tutto o in parte con quello dell’ Azienda sanitaria provinciale con cui sono convenzionate”, stabiliscono l’articolo 9 della legge regionale 31 del 1986 e l’articolo 30 del Testo unico Enti locali.

La norma parla di “legale rappresentante”, non di direttore sanitario o direttore generale, come sostiene, o per ignoranza o in mala fede, tertium non datur, la consigliera gridando alla persecuzione, quasi fosse Berlusconi.

Donatella Sindoni era azionista di maggioranza (95% delle quote), legale rappresentante e direttore del laboratorio di analisi “Studio diagnostico Sindoni di Donatella Sindoni Snc” accreditato e convenzionato con l’Asp 5. E non solo nel 2013, al momento dell’ultima tornata elettorale, ma anche tra il 2005 e il 2008, quando occupò la poltrona a palazzo Zanca benché fosse egualmente ineleggibile.

Il legislatore e la Corte costituzionale sono più volte intervenute negli ultimi anni sulla materia e mai hanno modificato o abrogato l’indigesta norma che la sapienza giuridica di Catalioto vorrebbe inapplicabile, come avrebbero fatto se l’avessero ritenuta incostituzionale o priva di ragion d’essere.

Dunque, la presenza formale di questa norma nell’ordinamento giuridico ne impone l’applicazione, come il legale sa bene.

Questo dato da solo sarebbe stato sufficiente a non perdere altro tempo con una vicenda divenuta penosa.

Tuttavia, Catalioto si è superato arrampicandosi sugli specchi. A ben pensarci, la presenza di qualche specchio nella sala della conferenza stampa forse avrebbe consentito alla consigliera e al suo avvocato di tenere a freno la lingua e a non avventurarsi in argomentazioni e dietrologie false quanto ridicole.

Se Catalioto lo scorso anno è arrivato a sostenere che “la norma nazionale era stata abrogata dalla Corte costituzionale (circostanza falsa) e quindi a cascata anche la norma regionale che l’aveva recepita doveva ritenersi abrogata (non si è mai capito in base a quale principio giuridico), durante la conferenza stampa ha (ri) spiegato alla platea perché la norma non si applica, spiegando non senza enfasi la ratio che l’aveva ispirata.

Dice, in sintesi, Catalioto: “La norma fu dettata nel 1986 quando le ausl erano dirette da un comitato di gestione i cui componenti erano in parte nominati dal Consiglio comunale e aveva come ratio evitare i conflitti di interesse in capo ai consiglieri/titolari di strutture sanitarie convenzionati con le stesse aziende sanitarie. Duqnue, non ha più ragione d’essere da quando le Asp hanno cambiato forma giuridica e nulla hanno a che fare con i Comuni, ma sono emanazione delle Regioni”.

Ora, il venir meno della ratio originaria di una norma non può essere mai motivo per stabilire che una norma non si applichi, perché se così fosse si dovrebbe sostenere che migliaia di norme dettate decenni fa non siano applicabili, perché all’avvocato di turno magari non piacciono.

Ma c’è di più. Sulla ratio della norma, che – è bene ribadire – il legislatore e la Corte costituzionale non hanno mai toccato, si è pronunciata la Corte di Cassazione nel 2001, in un caso identico a quello che riguarda Donatella Sindoni.

La Corte di cassazione con sentenza 13878 del 2001 (sentenza ineleggibilità) ha ritenuto legittima la decadenza del primo degli eletti al Consiglio del comune di Guidonia Montecelio perché legale rappresentante di 4 laboratori di analisi convenzionati con la locale Asp.

Nell’occasione la Cassazione ha stabilito che la ratio della norma è “la captatio voti da parte del titolare di strutture sanitarie private (che trattano un bene delicato come la salute e incassano soldi pubblici, ndr), che la condizione di ineleggibilità in esame tende ad evitare”.

Donatella Sindoni e il suo legale Antonio Catalioto, hanno sicuramente letto la sentenza che è stata loro segnalata (vedi corsivo del 2 luglio 2015) e fanno finta di non sapere.

Tuttavia, hanno ragione.

LE COLPE DI LE DONNE.

Il segretario generale è colpevole. Colpevole di aver perso tempo chiedendo pareri a destra e manca e di non aver messo rapidamente all’ordine del giorno del Consiglio comunale la decadenza della consigliera. Indugia ancora adesso che ha dal primo luglio 2016 sul tavolo il parere richiesto il primo dicembre del 2015, a sei mesi dalla pubblicazione dell’articolo che sollevava il caso.

La questione da un punto di vista giuridico è di una semplicità solare.

Da un punto di vista del rispetto della democrazia e della legge anche penale, si va facendo sempre più grave.

Sugli scranni del Consiglio comunale siede un consigliere ineleggibile che da tre anni percepisce indennità di funzioni e rappresenta i cittadini pur non avendone titolo.

La stessa consigliera sugli stessi scranni c’è stata seduta pure in passato, tra il 2005 e il 2008, pur egualmente ineleggibile.

LE DICHIARAZIONI FALSE

Donatella Sindoni al momento delle elezioni ha dichiarato, come tutti i candidati, di non trovarsi in condizioni di ineleggibilità: dichiarazione che se è falsa potrebbe integrare gli estremi del reato di falso ideologico in atti pubblici e truffa.

Eppure, intervistata nell’ambito del servizio che sollevava il caso, ha dichiarato di essere a conoscenza della norma sull’ineleggibilità ma di non essere stata sfiorata dal dubbio, salvo poi un attimo dopo chiedere al giornalista se “a sto punto arrivati” si dovesse dimettere (vedi video/intervista).

 

Tir in città, Accorinti ripristina l’ordinanza sospesa dichiarando “motivi di urgenza”

Download PDF

MESSINA. Mercoledì pomeriggio la notifica del ricorso degli autotrasportatori aveva sospeso automaticamente l’efficacia dell’ordinanza che inibiva ai Tir sbarcati su molo Norimberga da Salerno di immettersi e poi percorrere via La Farina. Giovedì, l’amministrazione comunale guidata da Renato Accorinti ha ripristinato l’efficacia dell’ordinanza. Come? Dichiarando per bocca e mano del direttore/segretario generale Antonio Le Donne, che ha firmato apposita determina, che sussistono ragioni d’urgenza e statuendo così la provvisoria esecutività dell’ordinanza stessa. Da domani dunque i Tir non potranno percorrere via La Farina.

Il botta e risposta si è giocato sull’articolo 74, secondo comma, del codice della Strada. La disposizione stabilisce che “La proposizione del ricorso sospende l’esecuzione del provvedimento impugnato”, cosa accaduta Mercoledì, “salvo che ricorrano ragioni di urgenza, nel qual caso l’ente competente può deliberare di dare provvisoria esecuzione al provvedimento impugnato”, ciò che è accaduto giovedì.