Ineleggibilità della consigliera Sindoni: le acrobazie pseudo giuridiche del legale Catalioto nel circo politico mediatico messinese, sguarnito di specchi. I ritardi annosi del segretario generale Le Donne

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Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Le circolari di un assessore possono abrogare, derogare o mettere nel nulla una legge emanata dal Parlamento o dall’Assemblea regionale siciliana?

La domanda, tanto è semplice la risposta, non viene posta neppure agli studenti degli istituti tecnici che si vuole aiutare a raggiungere una sufficienza striminzita in diritto.

Eppure, l’avvocato Antonio Catalioto, ex assessore tra il 2005 e il 2007 della Giunta del sindaco Francantonio Genovese, ha convocato una conferenza stampa per sostenere che la consigliera del comune di Messina Donatella Sindoni, da lui patrocinata, era perfettamente eleggibile.

Il motivo? “Ci sono due circolari assessoriali che dicono che la legge che stabilisce l’ineleggibilità della Sindoni non si applica”, ha detto il legale con il pallino per la politica davanti a una decina di giornalisti che prendevano appunti come gli alunni di scuola elementare davanti al maestro che racconta che “il ciuccio vola”.

L’avvocato, alla presenza di un nutrito gruppo di colleghi della Sindoni, appositamente convocati, se l’è presa così con il segretario generale del Comune di Messina.

Antonio Le Donne – secondo Catalioto – è   colpevole di non aver subito detto che c’erano queste circolari e di non avere così stoppato sul nascere il lungo procedimento, nato dal un servizio giornalistico a firma di Michele Schinella  (vedi servizio del 22 giugno del 2015), sfociato nel parere dell’Ufficio legale della Regione, che un anno dopo si è trovato d’accordo con le argomentazioni giuridiche persino dell’ultimo dei giornalisti, dichiarando l’ineleggibilità della Sindoni.

GLI SCIVOLONI DI CATALIOTO

“Le Donne guadagna 200mila euro all’anno e anche per il ruolo che riveste non poteva non sapere che c’erano le circolari”, accusa Catalioto raggiunto telefonicamente.

Il legale, però, vacilla non appena il giornalista, non presente alla conferenza stampa, gli pone due domande.

La prima: “Ma le circolari – secondo lei – derogano o possono dichiarare inapplicabile la legge?” “No, assolutamente no”, precisa Catalioto.

La seconda domanda, conseguente: “Il segretario generale – domanda ancora il solito giornalista – è obbligato ad applicare la legge oppure le circolari assessorali”.

A questa domanda, il legale si attorciglia: “La legge”. Poi, però, nel tentativo di risolvere le contraddizioni rispetto a quanto detto in conferenza stampa, aggiunge: “Il segretario generale se ne deve fregare delle circolari, ma se ne deve fregare sempre”, conclude mostrando la fragilità delle sue argomentazioni.

Come dire, siccome Le Donne di solito applica le circolari, in questo caso doveva farlo egualmente senza porsi neppure il problema che le circolari, come spesso capita, possano essere illegittime.

LE ELUCUBRAZIONI ANTIGIURICHE DELL’AVVOCATO

Non che ci fosse la necessità di porgli due domande per capire quanto le (mutevoli, peraltro) tesi del legale, destinatario di una serie di incarichi da parte di enti pubblici e di esponenti politici in materia elettorale, siano fondate su un vacuo arzigogolare antigiuridico finalizzato, al massimo, a un po’ di pubblicità gratuita.

Infatti, le circolari – come sanno tutti e come la Corte di Cassazione ha sempre precisato – non hanno alcuna efficacia normativa. Non possono innovare l’ordinamento giuridico. Non possono stabilire se una norma vigente dell’ordinamento non si applichi.

I pubblici funzionari come i giudici sono tenuti ad applicare la Legge.

Ebbene, la Legge che stabilisce che Donatella Sindoni non poteva essere eletta è vigente, tanto nell’ordinamento nazionale quanto in quello regionale, nell’identica formulazione: “Non è eleggibile il legale rappresentante delle strutture convenzionate per il Consiglio del comune il cui territorio coincide in tutto o in parte con quello dell’ Azienda sanitaria provinciale con cui sono convenzionate”, stabiliscono l’articolo 9 della legge regionale 31 del 1986 e l’articolo 30 del Testo unico Enti locali.

La norma parla di “legale rappresentante”, non di direttore sanitario o direttore generale, come sostiene, o per ignoranza o in mala fede, tertium non datur, la consigliera gridando alla persecuzione, quasi fosse Berlusconi.

Donatella Sindoni era azionista di maggioranza (95% delle quote), legale rappresentante e direttore del laboratorio di analisi “Studio diagnostico Sindoni di Donatella Sindoni Snc” accreditato e convenzionato con l’Asp 5. E non solo nel 2013, al momento dell’ultima tornata elettorale, ma anche tra il 2005 e il 2008, quando occupò la poltrona a palazzo Zanca benché fosse egualmente ineleggibile.

Il legislatore e la Corte costituzionale sono più volte intervenute negli ultimi anni sulla materia e mai hanno modificato o abrogato l’indigesta norma che la sapienza giuridica di Catalioto vorrebbe inapplicabile, come avrebbero fatto se l’avessero ritenuta incostituzionale o priva di ragion d’essere.

Dunque, la presenza formale di questa norma nell’ordinamento giuridico ne impone l’applicazione, come il legale sa bene.

Questo dato da solo sarebbe stato sufficiente a non perdere altro tempo con una vicenda divenuta penosa.

Tuttavia, Catalioto si è superato arrampicandosi sugli specchi. A ben pensarci, la presenza di qualche specchio nella sala della conferenza stampa forse avrebbe consentito alla consigliera e al suo avvocato di tenere a freno la lingua e a non avventurarsi in argomentazioni e dietrologie false quanto ridicole.

Se Catalioto lo scorso anno è arrivato a sostenere che “la norma nazionale era stata abrogata dalla Corte costituzionale (circostanza falsa) e quindi a cascata anche la norma regionale che l’aveva recepita doveva ritenersi abrogata (non si è mai capito in base a quale principio giuridico), durante la conferenza stampa ha (ri) spiegato alla platea perché la norma non si applica, spiegando non senza enfasi la ratio che l’aveva ispirata.

Dice, in sintesi, Catalioto: “La norma fu dettata nel 1986 quando le ausl erano dirette da un comitato di gestione i cui componenti erano in parte nominati dal Consiglio comunale e aveva come ratio evitare i conflitti di interesse in capo ai consiglieri/titolari di strutture sanitarie convenzionati con le stesse aziende sanitarie. Duqnue, non ha più ragione d’essere da quando le Asp hanno cambiato forma giuridica e nulla hanno a che fare con i Comuni, ma sono emanazione delle Regioni”.

Ora, il venir meno della ratio originaria di una norma non può essere mai motivo per stabilire che una norma non si applichi, perché se così fosse si dovrebbe sostenere che migliaia di norme dettate decenni fa non siano applicabili, perché all’avvocato di turno magari non piacciono.

Ma c’è di più. Sulla ratio della norma, che – è bene ribadire – il legislatore e la Corte costituzionale non hanno mai toccato, si è pronunciata la Corte di Cassazione nel 2001, in un caso identico a quello che riguarda Donatella Sindoni.

La Corte di cassazione con sentenza 13878 del 2001 (sentenza ineleggibilità) ha ritenuto legittima la decadenza del primo degli eletti al Consiglio del comune di Guidonia Montecelio perché legale rappresentante di 4 laboratori di analisi convenzionati con la locale Asp.

Nell’occasione la Cassazione ha stabilito che la ratio della norma è “la captatio voti da parte del titolare di strutture sanitarie private (che trattano un bene delicato come la salute e incassano soldi pubblici, ndr), che la condizione di ineleggibilità in esame tende ad evitare”.

Donatella Sindoni e il suo legale Antonio Catalioto, hanno sicuramente letto la sentenza che è stata loro segnalata (vedi corsivo del 2 luglio 2015) e fanno finta di non sapere.

Tuttavia, hanno ragione.

LE COLPE DI LE DONNE.

Il segretario generale è colpevole. Colpevole di aver perso tempo chiedendo pareri a destra e manca e di non aver messo rapidamente all’ordine del giorno del Consiglio comunale la decadenza della consigliera. Indugia ancora adesso che ha dal primo luglio 2016 sul tavolo il parere richiesto il primo dicembre del 2015, a sei mesi dalla pubblicazione dell’articolo che sollevava il caso.

La questione da un punto di vista giuridico è di una semplicità solare.

Da un punto di vista del rispetto della democrazia e della legge anche penale, si va facendo sempre più grave.

Sugli scranni del Consiglio comunale siede un consigliere ineleggibile che da tre anni percepisce indennità di funzioni e rappresenta i cittadini pur non avendone titolo.

La stessa consigliera sugli stessi scranni c’è stata seduta pure in passato, tra il 2005 e il 2008, pur egualmente ineleggibile.

LE DICHIARAZIONI FALSE

Donatella Sindoni al momento delle elezioni ha dichiarato, come tutti i candidati, di non trovarsi in condizioni di ineleggibilità: dichiarazione che se è falsa potrebbe integrare gli estremi del reato di falso ideologico in atti pubblici e truffa.

Eppure, intervistata nell’ambito del servizio che sollevava il caso, ha dichiarato di essere a conoscenza della norma sull’ineleggibilità ma di non essere stata sfiorata dal dubbio, salvo poi un attimo dopo chiedere al giornalista se “a sto punto arrivati” si dovesse dimettere (vedi video/intervista).

 

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