Caso Cattafi: la Cassazione annulla la condanna per mafia e chiama la Corte d’appello di Reggio calabria a giudicare se l’avvocato di Barcellona prima del duemila fosse un associato. Rigettato il ricorso della Procura generale: è definitiva l’assoluzione per il periodo successivo. E la condanna per calunnia ai danni del collaboratore Bisognano e del suo legale Repici

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Saro Cattafi

Saro Cattafi

 

Non è il capo dei capi della mafia di Barcellona. Non è neppure un semplice affiliato a partire dal 2000. E per stabilire se prima dell’anno 2000 Saro Cattafi sia stato un affiliato alle cosche del Longano, come aveva stabilito la sentenza della Corte d’appello di Messina, è necessario un nuovo giudizio davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

E’ questo in estrema sintesi (e facendo affidamento al solo dispositivo pubblicato nella tardissima serata di oggi) il responso del giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione.

I supremi giudici hanno, infatti, accolto il ricorso del difensore di Cattafi, Salvatore Silvestro, annullando con rinvio la sentenza della Corte di appello di Messina, relativamente alla condanna per la condotta di associazione per delinquere di stampo mafioso tenuta prima del duemila.

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale che tendeva per contro alla riforma della parte della sentenza che aveva riconosciuto Cattafi di non essere capo promotore dell’organizzazione mafiosa barcellonese sino al momento degli arresti scattati ad agosto del 2012, come aveva stabilito invece la sentenza di primo grado.

Quindi relativamente alla condotta tenuta dopo il duemila la sentenza è passata in giudicato e dunque può dirsi definitivo il riconoscimento di estraneità alla mafia da parte di Cattafi.

I giudici con l’ermellino non hanno invece accolto il ricorso del difensore di Cattafi avverso la parte della sentenza di secondo grado che condannava Cattafi per calunnia ai danni del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano e del suo legale Fabio Repici.

Pertanto, la condanna per calunnia (e il relativo risarcimento danni) ha ottenuto il sigillo di cosa giudicata.

L’avvocato Cattafi era finito sotto processo con l’accusa di essere il capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto e di aver tenuto, in questa veste, i contatti con le famiglie di Cosa nostra catanese e palermitana. Con questa contestazione è stato arrestato il 24 luglio del 2012 e tenuto al 41 bis sino alla scarcerazione avvenuta dieci giorni dopo la sentenza d’appelllo emessa il 24 novembre del 2015.

In primo grado, al termine del giudizio abbreviato era stato condannato a 12 anni di reclusione (grazie alla riduzione di un terzo della pena per il rito). Sedici anni di reclusione per associazione per delinquere di stampo mafioso aggravata dall’essere capo promotore e due anni per l’accusa di calunnia ai danni del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano e del suo legale Fabio Repici: 18 anni in tutto, poi ridotti di un terzo.

La Corte d’appello ha escluso che Saro Cattafi sia un capo promotore e lo ha riconosciuto colpevole, in quanto semplice affiliato, per le condotte tenute sino al 2000.

Gli stessi giudici avevano confermato la condanna per calunnia.

Cattafi nel corso del 2011 in esposti/denuncia aveva indicato il legale Repici, come ispiratore, e Bisognano, come esecutore, di una sorta di complotto ai suoi danni teso a portarlo in carcere.

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