Tag Archive for Mario Centorrino

IL CASO: “Sgallettata con la fissa per lo scoop”, la giornalista Adele Fortino condannata dalla Cassazione ma “punita” dalla Nemesi storica. La clemenza mal riposta per la collega Palmira Mancuso e l’accanimento inutile contro il docente universitario Mauro Federico

Download PDF

Palmira Mancuso e Adele Fortino

“Sgallettata”: c’è in Italia qualcuno che imbattendosi in simile aggettivo avrebbe pensato a cosa diversa da un galletto, a chi si muove come un galletto baldanzoso, vivace e vispo, declinato al femminile, secondo quella che è la primaria definizione che danno tutti i dizionari d’italiano?

E c’è qualcuno che all’espressione “con la fissa per lo scoop”, che seguiva l’aggettivo “sgallettata”, avrebbe pensato all’organo genitale femminile, invece che a fissazione, ossessione?

Forse pochissimi sulla penisola. Tra questi, cinque giudici della Corte di Cassazione.

Per loro, che hanno privilegiato il significato scherzoso o volgare del termine riportato nei dizionari, sgallettata vuol dire “donna che ostenta la propria sensualità in modo sguaiato”.

Questa interpretazione è costata alla giornalista messinese Adele Fortino, autrice dello scritto in cui aveva usato tal espressione nei confronti di una collega, la condanna definitiva per diffamazione.

Persona offesa (ora ristorata) la giornalista Palmira Mancuso, direttrice della testata www.messinaora.it  e alle ultime elezioni candidata a consigliere comunale in una delle liste a sostegno del sindaco uscente Renato Accorinti.

A leggere le carte della vicenda, la Fortino però più che della sua penna disinvolta e della sfortunata (per lei) interpretazione dei giudici con l’ermellino è stata vittima di quella che i greci chiamavano Nemesi storica.

Una sorta di punizione per un’ingiustizia (o un errore) commesso in precedenza da propri familiari.

Eh si. Proprio così.

I mirabolanti scoop all’origine della vicenda

La pugnace giornalista infatti non si sveglia una mattina del mese di dicembre del 2014 con la luna storta e se la piglia così a caso con la prima persona che le viene a tiro.

Impugna la penna, o meglio scarica sulla tastiera del pc la sua ira, appena scopre che Palmira Mancuso ha pubblicato un servizio sul marito, il docente universitario Mario Centorrino, morto ormai da 5 mesi in Trentino Alto Adige mentre si trovava con lei in vacanza.

Cosa aveva scoperto la direttrice di www.messinaora.it. di così sensazionale?

In anteprima, il 2 dicembre del 2014, aveva rivelato l’esistenza di un giallo sul decesso di Centorrino, che vedeva come protagonista “negativa” la stessa Fortino.

Quest’ultima – a leggere l’articolo – da un lato, non si rassegnava all’archiviazione delle indagini per accertare un caso di malasanità ai danni del marito e quindi commissionava consulenze di parte e inoltrava richieste di autopsia all’autorità giudiziaria, mentre dall’altro sul suo blog dava notizia che il corpo del congiunto fosse stato cremato.

Lo scoop, smentito dalla stessa logica e denigratorio della Fortino dipinta in sostanza come una folle, si basava sullo sfasamento temporale nella ricostruzione dei fatti: le istanze della moglie erano immediatamente successive al tragico evento e precedenti alla cremazione.

Adele Fortino avrebbe potuto limitarsi a querelare la redattrice dell’articolo, invece le venne in mente l’epiteto “sgallettata” e non riuscì a tenere a freno i polpastrelli.

Anche perché non fu solo questo scoop a farla schiumare di rabbia.

Al peggio non c’è mai limite

Non era la prima volta, infatti, che occupandosi di Mario Centorrino, Palmira Mancuso scambiava lucciole per lanterne.

Insomma, era recidiva “fissata” (rectius, ossessivamente concentrata) con l’ex assessore comunale e regionale.

Solo 8 mesi prima era incorsa in uno dei più gravi infortuni che possano capitare a un giornalista: dare la notizia dell’arresto di una persona neppure indagata.

“Inchiesta formazione: ai domiciliari l’assessore regionale Mario Centorrino”, titolò il 19 marzo del 2014.

Un infortunio cui cercò di rimediare dopo circa un’ora con una rettifica e pubbliche scuse che comunque non gli avrebbe evitato una sicura condanna penale e un inevitabile e importante risarcimento dei danni.

Tuttavia, Mario Centorrino fu magnanimo.

Non domandò giustizia e graziò la Mancuso, contro la quale non propose querela penale.

La “fissa” per il collega Mauro Federico

Fu, in compenso, molto duro e ostinato nei confronti del suo collega di ateneo Mauro Federico.

Che c’entra Federico, ci si chiederà?

Docente di fisica e attuale membro del Senato accademico dell’ateneo di Messina, Federico prendendo per buona la notizia degli arresti di Centorrino letta su www.messinaora.it vergò un duro commento pubblicato (per 20 minuti) sul sito dell’Andu, l’Associazione dei docenti universitari, di cui era segretario.

Con esso si rivolse all’allora rettore Pietro Navarra perché, visti gli arresti, chiedesse le dimissioni del docente, già in pensione ma titolare di alcuni incarichi in organi universitari.

Aspro ma legittimo esercizio del diritto di critica fondato sulla notizia (falsa, data dalla Mancuso) ma ritenuta vera dal lettore Federico.

Il professore Centorrino al commento di Federico reagì duramente: chiese subito al rettore di irrogargli una sanzione disciplinare. Navarra in quattro e quattro otto lo adottò pure: “Censura”, sancì.

Nel tempio della cultura e delle libertà veniva sanzionato un docente peraltro sindacalista colpevole di aver espresso la sua opinione sulla base di una notizia (grave) pubblicata da una testata giornalistica registrata al Tribunale, benché secondo la pacifica giurisprudenza sarebbe andato esente da responsabilità penale.

L’incidente politico era già dietro l’angolo. Un gruppo di docenti elaborarono un documento a sostegno di Federico.

Dopo qualche giorno, il rettore Navarra fece dietrofront ma salvò (in apparenza) la faccia: la revoca della sanzione fu infatti presentata come clemenza.

A quel punto, Centorrino nonostante le pubbliche scuse del collega si recò in Procura: la Mancuso no, ma Mauro Federico andava punito.

Qualche mese dopo, ad agosto del 2014, il professore di economia, morì improvvisamente.

Il figlio Marco, anch’egli professore universitario e all’epoca delegato del rettore Navarra (ironia della sorte) alla comunicazione, scrisse in Procura per sollecitare il proseguimento dell’inchiesta per diffamazione a carico del ricercatore di fisica.

Mentre le indagini su Federico andavano avanti, a 8 mesi dal suo decesso, ecco il casus belli: Palmira Mancuso prese di mira di nuovo Centorrino (per la seconda volta) e la moglie Adele Fortino, inducendo quest’ultima a definirla “sgallettata con la fissa per lo scoop”.

Baldanzose e soddisfatte rivalse

La Mancuso non ci pensò su due volte e afferrò la palla al balzo. “Grata” per non essere stata querelata da Centorrino (per l’arresto inventato) o forse soltanto smemorata, firmò una bella querela nei confronti della di lui moglie. Uscendo baldanzosa dal Tribunale dopo il deposito la fotografò e la postò su face book: tanto era l’orgoglio.

Adele Fortino, dal canto suo, quando alcuni mesi dopo viene rinviata a giudizio per diffamazione è ancora in tempo a rimediare alla magnificenza del marito, promuovendo (quale erede) contro la Mancuso una causa civile dall’esito scontato per il risarcimento del danno patito per effetto della notizia del falso arresto. O anche per l’articolo (lo scoop) denigratorio del 2 dicembre 2014.

Invece, si limitò a difendersi affidandosi alla sagacia giuridica dell’avvocato Nino Favazzo, che – notizia di queste ultime settimane – non la salvò dalla sentenza di condanna, in cui dei due clamorosi scivoloni della Mancuso, fonte del commento incriminato, non c’è traccia (nella loro reale portata).

Un proscioglimento naturale

Nel frattempo il procedimento a carico di Mauro Federico andò avanti.

Un pm della Procura, Piero Vinci, chiese l’archiviazione sostenendo che la diffamazione c’era ma il fatto era di lieve entità. L’indagato si oppose, chiedendo la più ampia formula liberatoria e il Giudice per le indagini preliminari Maria Militello gliel’accordò,  prosciogliendolo.

La Nemesi

Insomma, il professore Centorrino si “fissò” contro chi aveva esercitato il diritto di critica e non poteva mai essere ritenuto penalmente responsabile, ma fu clemente nei confronti di chi invece lo aveva gravemente diffamato. E che ora, la moglie, “punita” da Nemesi per gli errori di valutazione del congiunto, dovrà pure risarcire.

Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra “grazia” il docente Mauro Federico. Accolto l’appello di 32 docenti che però avevano chiesto Giustizia: ovvero la revoca del provvedimento disciplinare

Download PDF

Il rettore Pietro Navarra

MESSINA. Invocavano giustizia, hanno ottenuto la grazia.  Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra revoca il provvedimento disciplinare di censura nei confronti di Mauro Federico, reo di aver commentato (sul suo blog) la notizia appresa da un giornale on line (ma poi rivelatasi falsa) degli arresti del collega Mario Centorrino, “accogliendo la richiesta di clemenza”, come scrive in un nota datata 21 giugno del 2014, di un gruppo di 32 docenti dell’ateneo di Messina.

Ma quest’ultimi, invece, avevano chiesto di annullare il provvedimento perché “non fondato sulla violazione di alcuna norma, anomalo sotto il profilo procedurale, carente di motivazione e fosco presagio di una limitazione alla libertà costituzionale di espressione di un collega da anni voce critica nell’ateneo e membro di organismi istituzionali di rappresentanza democratica”.

La decisione del Magnifico invece di chiudere il caso che ha avuto come protagonista il coordinatore dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) rischia di arroventarlo ancora di più. Nella lettera, infatti, Navarra, ribadisce la fondatezza del provvedimento di censura e rincara la dose di critiche contro il docente di Fisica: riepilogando tutta la vicenda usa più volte il termine falsa o falso per indicare la condotta di Federico.

Il docente di Fisica a stretto giro di posta ha inviato a tutti i docenti dell’ateneo una dura nota con la quale confuta tutte le contestazioni di falsità del rettore Navarra.

Il rettore Navarra scrive: “La mattina del 19 marzo il dottor Federico pubblicava sul blog dell’Andu Messina una notizia dal titolo: Aria di primavera: facciamo pulizia?” in cui venivano riportate informazioni false sul conto del professor Mario Centorrino, professore emerito dell’ateneo presidente del Nucleo di valutazione. La notizia falsa era così riportata: “Come diretta conseguenza delle misure cautelari relative alle misure cautelari a suo carico, ci aspettiamo che immediatamente il presidente del Nucleo di valutazione rimetta il suo mandato e sparisca per sempre. Ove ciò non dovesse accadere, ci aspettiamo che intervenga il rettore destituendolo a divinis dalla carica…”

Navarra tuttavia non dice che la notizia falsa non se l’era inventata Mauro Federico ma questi l’ha ripresa da una testata giornalistica on line registrata al Tribunale e con tanto di direttore (per la cronaca Messinaora.it). E sulla scorta di questa ha fatto un commento sul blog dell’Andu esercitando il diritto di critica.

Aveva l’obbligo Mauro Federico di controllare la fonte? Certo che no. Questo obbligo incombe solo sui giornalisti e non certo ai comuni cittadini. Se per ipotesi, il telegiornale o un giornale (e non un gruppo di amici al bar) danno notizia che un politico è indagato e un cittadino commenta che dovrebbe dimettersi e poi la notizia non è vera può mai essere accusato di diffamazione? A risponderne è il giornalista che ha dato la notizia falsa non il cittadino che l’ha commentata sulla base della presunzione fosse vera e fosse stata controllata dal giornalista. A meno che il cittadino non perseveri nel dare per buona la notizia anche dopo che è stata smentita: cosa che nel caso di specie non è accaduta.

 

Il rettore Navarra continua: “Dopo circa un’ora il dottor Federico modifica leggermente i contenuti della notizia, asserendo che comunque il prof Centorrino sarebbe stato coinvolto nei giorni successivi negli sviluppi dell’inchiesta: considerazione rivelatasi anche in questo caso, assolutamente falsa”.

Mauro Federico, in realtà ha cancellato la notizia dopo 20 minuti (era stata postata alle 8 e 21 è stata cancellata alle 8 e 41). Semmai e contrariamente a quanto afferma ora il rettore, in una nota successiva aveva espresso l’opportunità che “il rettore agisse con tempestività per mettere al riparo l’Istituzione da contraccolpi di immagine che potrebbero derivare dal proseguo delle indagini”. Le indagini sono quelle sulla Formazione che hanno portato arresti il leader del Pd Francantonio Genovese, ovvero di chi aveva voluto Mario Centorrino come assessore alla Formazione del Governo di Raffaele Lombardo.

Genovese, la protervia di un potente e il mercimonio delle funzioni pubbliche

Download PDF

francantonio-genovese-400x215

 

Si è costituito. Ha varcato il portone del carcere di Gazzi qualche ora dopo che la Camera dei deputati aveva concesso l’autorizzazione a procedere. Francantonio Genovese, l’uomo più potente di Messina, è in carcere. Il suo arresto è l’immagine di una città “corrotta”, sull’orlo del baratro, in cui l’attività imprenditoriale più in voga sono la truffa, l’evasione fiscale e contributiva.

Insieme al Supremo in carcere finiscono idealmente tutti coloro che negli anni hanno foraggiato il suo potere; hanno fatto la fila nell’anticamera della sua segreteria; si sono sottomessi ai suoi voleri in cambio di un posto di lavoro; hanno ostentato (e usato) la sua amicizia, talvolta coltivata a colpi di aperitivo; non hanno controllato e denunciato (politicamente o solo giornalisticamente) le perversioni su cui poggiava il suo potere e i suoi conflitti di interesse.

Vedere una persona entrare in carcere è un evento che intristisce e colpisce chiunque abbia un minimo di coscienza e sensibilità.  A maggior ragione se l’indagato ci entra senza aver subito un processo. Ma ciò vale sia se si tratta di un potente, che arriva al carcere in Suv accompagnato da un elegantissimo avvocato, e dovrebbe valere ancora di più quando dietro le sbarre ci finisce un immigrato, un tossicodipendente o un ladro di rame: ovvero il 90% della popolazione carceraria.

Perché il deputato del Pd è pur sempre un privilegiato.  Ha uno stuolo di avvocati a sua disposizione. E in carcere non è stato recluso in otto metri quadri insieme ad altri tre, quattro o cinque compagni di avventura, come capita a chi è accusato di reati molto meno gravi e non ha il titolo di onorevole.

Francantonio Genovese finisce in carcere non tanto e non solo perché ci sono gravi indizi di colpevolezza a  suo carico e sussistono le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione del reato (di quelli già contestati e di altri della stessa natura).

Il deputato del Pd finisce dietro le sbarre per la sua protervia, il senso di impunità, il delirio di onnipotenza e la certezza, fondata su anni e anni di esperienza politica e di flirt con giornalisti e funzionari pubblici, di poter comprare tutti senza (il più delle volte) pagare nessuno. Sapeva di essere nel mirino della magistratura e ha continuato a fare ciò che faceva come se nulla fosse.

L’esponente politico figlio e nipote d’arte si è difeso davanti ai colleghi della Camera gridando al complotto, dicendosi vittima della persecuzione della Procura e di un Giudice per l’indagini preliminari che ha accolto la richiesta di arresto: l’unico motivo, il fumus persecutionis, che può fondare il rigetto della richiesta di autorizzazione agli arresti per un parlamentare. Il Parlamento non può sindacare la fondatezza delle esigenze cautelari, né tantomeno si può sostenere, come qualche commentatore (sprovveduto) ha fatto che poiché dal momento della richiesta di autorizzazione alla Camera al momento della decisione Genovese non è fuggito, non ha inquinato le prove e non ha commesso altri reati allora le esigenze cautelari non ci sono più. Sarebbe come dire che i parlamentari oltre che privilegiati sono sottratti alle misure cautelari.

Si. Il giudice Giovanni De Marco, se gli insegnamenti di Piero Calamandrei non fossero sconosciuti ai magistrati e alla cultura giuridica, non avrebbe mai dovuto decidere sugli arresti di Genovese e dei familiari di quest’ultimo.

La moglie di De Marco è stata assunta (insieme ad altre 15 persone) all’Ato di Messina, senza concorso e grazie ad una stabilizzazione (benedetta dall’allora sindaco Genovese) in zona Cesarini che fece gridare allo scandalo giornali locali e nazionali (e non perché se n’era avvantaggiata la moglie di un magistrato, neanche citata, salva una sola eccezione, dalle cronache). E il fratello della moglie del magistrato nel periodo delle indagini lavorava nella segreteria dell’assessore alla Formazione Mario Centorrino, uomo di Genovese.

Giovanni De Marco non avrebbe mai dovuto occuparsi del caso Formazione/Genovese e non tanto perché un giudice debba essere imparziale ma perché deve anche apparire di esserlo.Cosa sarebbe accaduto se al contrario non avesse accolto le misure cautelari prima richieste per i familiari di Genovese e poi per il deputato?  Non si sarebbe detto: ecco il solito giudice amico che protegge il potente?

Ma invece di gridare allo scandalo sui giornali, attraverso veline non firmate, perché i legali di Genovese non hanno presentato un’istanza di ricusazione di quel giudice?

La tesi di vittima che Genovese ha cercato fumosamente di veicolare, fuori dai confini della Sicilia non poteva mai fare breccia: quale collega deputato poteva credere che Genovese fosse perseguitato da un giudice non imparziale perché “suo amico”?

Il Genovese imprenditore subirà un processo e qualsiasi cittadino, specie le migliaia che l’hanno votato, deve augurarsi che sia assolto. Ma il Genovese politico ha perso ogni legittimazione a farsi portatore in futuro degli interessi collettivi.

Le carte dell’inchiesta “Corsi d’oro” mostrano che il leader politico ha asservito il potere che i cittadini gli hanno delegato per fare business privato, ha usato i soldi della formazione per comprarsi i palazzi, per ampliare i suoi possedimenti. Evidenziano che lui che fa parte di un partito che fa della lotta all’evasione fiscale uno dei cavalli di battaglia, stacca fatture di comodo per abbattere gli utili delle sue società e non pagare tasse.

Gli atti di indagine dimostrano che pretendeva di piazzare i suoi fidatissimi uomini nei punti nevralgici della macchina amministrativa o a capo degli assessorati per orientare le decisioni nel senso favorevole ai suoi personalissimi interessi. Com’è accaduto con Salvatore La Macchia, con il dirigente generale Ludovico Albert; e con l’assessore alla Formazione Mario Centorrino.

L’economista nelle interviste (finte) che ha rilasciato nei giorni scorsi ha preso le distanze da Genovese e ha difeso il suo operato di assessore giurando e spergiurando di averlo svolto in assoluta autonomia. Le risultanze delle indagini  e le intercettazioni dicono, però, altro.