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Cateno De Luca, gli azzeccagarbugli e i numeri dell’Asp 5, che non tornano. Il sindaco chiude tutte le scuole, sfidando la legge, la logica e 300 cittadini. E il suo fidato giurista Marcello Scurria scende in campo contro il legale Santi Delia, che si è già rivolto al Tar

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Il sindaco Cateno De Luca e l’avvocato Marcello Scurria

Un sindaco annuncia via face book un provvedimento che per Legge non può adottare:  chiudere tutte le scuole della città. E fin qui nulla di strano.

Infatti, la città è Messina e, soprattutto, il sindaco si chiama Cateno De Luca.

A lui delle bocciature in diritto piace fare collezione. L’importante è che soddisfi l’irrefrenabile desiderio di esibizionismo.

Sulla base del semplice annuncio del primo cittadino e prima ancora che seguisse un provvedimento formale, un dirigente di una delle scuole della città, l’Istituto comprensivo “Giuseppe Catalfamo”, cosa fa?

Questa domenica mattina emana una circolare, la pubblica sul sito della scuola e comunica la chiusura di tutti i plessi della scuola che dirige sino all’11 novembre prossimo.

Se qualcuno avesse ancora bisogno di toccare con mano la deriva politica, giuridica e culturale in cui la propaganda del terrore ha condotto l’Italia, Angelo Cavallaro – è questo il nome del dirigente della scuola di Contesse – ne ha offerto oggi un’ulteriore possibilità.

“Sentite le dichiarazioni pubbliche del Sindaco della Città di Messina che proroga quanto previsto dalla propria Ordinanza n°307 del 30.10.2020 si comunica la chiusura fino all’ 11.11.2020 di tutti i plessi di ogni ordine e grado del nostro Istituto”, ha scritto Cavallaro.

“Sentite”, si proprio così. “Sentite”.

Un funzionario con la qualifica di dirigente dello Stato, messo a capo di un istituzione fondamentale per la formazione dei cittadini di un Paese, “sente” un sindaco che blatera su face book o in televisione e decide di annullare il diritto all’istruzione previsto dalla Costituzione.

E se non avesse sentito bene?

E se il signor sindaco De Luca, l’uomo che un giorno vuole chiudere tutto, il successivo aprire tutto, e ancora il giorno a seguire richiudere ma solo le scuole, aprendo però i negozi, cambiasse idea? O la cambiasse parzialmente.

L’idea De Luca non l’ha cambiata. Non del tutto almeno.

Domenica, all’ora di pranzo, ecco l’ennesima ordinanza. 7 pagine di norme e codicilli, in cui non si saprebbe orientare neppure Francesco Carnelutti, per ordinare la chiusura di tutte le scuole il 9 e il 10 novembre..

Si tratta delle scuole dell’infanzia, della scuola elementare e della prima media delle varie scuole della città: le altre comunque sarebbero state chiuse in forza dell’ultimo DPCM e della zona arancione in cui è stata inserita la Sicilia.

Solo il 9 e il 10 per adesso. L’11 novembre no, ancora no: che qualcuno lo comunichi al dirigente scolastico Cavallaro in modo che modifichi la circolare.

A meno che, non abbia “sentito” De Luca dire: “Per ora facciamo 9 e 10, ma poi il 10 sera, magari a mezzanotte, farò un’altra ordinanza”.

Tanto a chi importa della confusione e incertezza in cui vengono gettate le famiglie e gli studenti?

In un paese serio, in cui si applicano ancora le norme di uno Stato di diritto, ci si aspetterebbe che intervenisse il prefetto, Maria Carmela Librizzi, la rappresentante del Governo presieduto dal signor Giuseppe Conte, perennemente in televisione a chiedere il rispetto delle regole ai cittadini, benché nella babele normativa chiunque stenti a capire quali siano e i rappresentanti delle Istituzioni facciano come pare loro, mossi solo da logica clientelare o narcisistica.

Anzi, ci si sarebbe aspettato che il Prefetto fosse intervenuto già al momento dell’annuncio del sindaco. Se lo ha fatto, non è stato convincente.

Sarebbe bastato ricordasse a De Luca che la Legge ha tolto ai sindaci ogni potere in materia di misure di contenimento del Coronavirus.

Invece no, per rimembrare questo dato elementare si sono mobilitati 300 cittadini messinesi che hanno dato mandato all’avvocato Santi Delia. Il suo compito è di provare a impedire questo abuso di potere, attraverso un ricorso al Tribunale amministrativo regionale, già notificato.

De Luca, da par suo, invece di rimanere alle argomentazioni giuridiche, ha etichettato il giovane e noto avvocato con il termine “azzecagarbugli” di manzoniana memoria.

Che Delia non sia un azzeccagarbugli lo ha attestato anche e persino Marcello Scurria, giurista di livello.

Scurria, che nel giro di 10 anni è stato il consigliere giuridico dei 4 sindaci (di colore e sentimenti politici i più diversi) che si sono succeduti alla guida della città, sostiene, da persona super partes, che “Delia non è un azzeccagarbugli ma il collega sbaglia clamorosamente”. Insomma, se non è zuppa è pan bagnato.

Da abile legale, per dimostrare che De Luca abbia il potere di emanare ordinanze in materia di contenimento della diffusione del virus, Scurria ricorda che nel corso di una recente intervista, la Ministra (dell’Istruzione) ha ammesso che esiste la possibilità di chiusure locali: “Sono i Comuni o le Asl a decidere se chiudere un istituto. L’importante è che non si proceda senza criterio. Abbiamo dei protocolli ed è fondamentale che siano rispettati in modo omogeneo su tutto il territorio“, ha riportato l’avvocato messinese in una sua dichiarazione pubblica di questa sera.

Si apprende così da Scurria che “le interviste” del ministro dell’Istruzione – dando per pure per certo che quanto abbia detto sia stato riportato correttamente – sono fonti del diritto, al pari – come ha insegnato il dirigente Cavallaro – degli “annunci” del sindaco De Luca.

Si ammetta, per assurdo, sia così. Sorge una domanda: Il ministro ha parlato di un istituto o di tutte le scuole di una città?

E’ evidente che la chiusura delle scuole, di tutte le scuole, è altro dalla chiusura di una scuola e costituisce misura di contenimento della diffusione del virus sull’intero territorio comunale, un’intera fetta della regione e non rientra di sicuro nelle competenze del sindaco, per quanto dotato di capacità paranormali come De Luca.

Il giurista messo a capo da De Luca di una società partecipata, l’Arisme Spa, ha infatti (clamorosamente?) omesso di citare l’articolo 3, comma 2 del Decreto Legge n. 19 del 2020, convertito in Legge: “I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili ed urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1”. La stessa omissione la si rintraccia nell’ordinanza firmata dal sindaco.

La norma è attualmente in vigore, salvo che Scurria non voglia sostenere che la fonte di diritto “intervista” prevalga sulla fonte “Legge”, il che di questi tempi non stupirebbe.

Persino il presidente della Regione, Nello Musumeci, ogni volta che emana un’ordinanza in materia di Covid richiama e sottolinea nel preambolo questa norma, dal significato chiaro.

Ma tutte queste sono quisquilie, diranno in molti. Quella che conta è la sostanza, poco importa che a decidere questa sostanza sia chi è al potere.

Davanti a un pericolo grave di una diffusione del contagio a Messina chi se ne frega delle competenze? De Luca ha ricevuto dal commissario territoriale Coronavirus, Carmelo Crisicelli, una nota allarmante e quindi fa bene, benissimo a intervenire. Al diavolo le competenze!

E allora giusto perché la gente capisca di cosa si sta parlando è bene riassumere cosa ha scritto il funzionario dell’Asp 5 nella nota datata 6 novembre.

Sbandierata come fosse un trofeo, è stato lo stesso sindaco a sollecitarla.

Scrive Crisicelli:

1) il numero dei contagiati a Messina e provincia aumenta inesorabilmente;

2) le segnalazioni di positività al tampone sono talmente alte da rendere estremamente difficile il tracciamento dei contatti.

Tuttavia, Crisicelli non fornisce numeri per dimostrare la fondatezza di quello che dice.

Ma i numeri ci sono. Sono quelli che l’Asp 5 trasmette quotidianamente alla Regione.

E lo smentiscono.

Secondo questi dati, la provincia di Messina negli ultimi giorni, ha in media circa 120 contagiati in più al giorno, su una popolazione di 650 mila abitanti.

Messina con 250 mila abitanti non supera, a voler essere larghi di manica, i 60 positivi al giorno.

Un positivo, dunque, ogni 4 mila abitanti. La media regionale è di uno ogni 3 e 500 abitanti: una delle più basse d’italia, e comunque più alta di quella di Messina.

Per Crisicelli, però, il numero dei positivi è talmente alto che è nell’impossibilità di tracciare la catena dei possibili contagiati.

Ma è sicuro questo dipenda dal numero “talmente alto” (che,però, alto non è) e non da altri problemi strutturali e organizzativi degli uffici che dirige?

Il funzionario dell’Azienda sanitaria guidata da anni dal manager Paolo La Paglia ha pure scoperto un dato “clamoroso”: la maggior parte dei positivi hanno tra i 20 e i 50 anni, cioè tra le persone che conducono la vita più attiva. Esattamente ciò che succede in tutta Italia, come attestano i dati dell’Istituto superiore di sanità.

E, ancora, sempre Crisicelli, ha accertato che “a macchia di leopardo” ci sono pure positivi collegati alla scuola. A macchia di leopardo: davvero preciso questo dato. Quanti sono? Due, 5, 50, 60? O è allarmante che siano a macchia di leopardo, in una provincia dove il problema più grosso per l’agricoltura sinora si sapeva fosse determinato dai cinghiali?

Crisicelli ha idea di quanti milioni di persone ogni giorno frequentano le scuole in Italia, quante decine di migliaia tra studenti, insegnanti, personale amministrativo e tecnico a Messina?

Secondo i fumosi parametri di Crisicelli, liberamente interpretati da De Luca, tutte le scuole di Italia andrebbero chiuse, anche quelle delle regioni lasciate in zona gialla dal Governo, che hanno dati di contagio molto più alti.

Domani però a rimanere a casa saranno i ragazzi di Messina.

Quelli di Palermo, Pisa o Venezia no. 

IL COMMENTO: Caso Sindoni, il segretario generale Le Donne sotto accusa e denunciato in Procura. L’avvocato Scurria ispira il vice presidente del Consiglio Interdonato. Ma le tesi del legale non stanno in piedi. Come quelle del collega Catalioto. Il caso Buzzanca lo dimostra

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Il segretario generale Antonio Le Donne

Il segretario generale Antonio Le Donne

 

Mancanza di imparzialità e predisposizione di un atto illegittimo per fare fuori un consigliere comunale a cui nel frattempo si è abusivamente impedito di esercitare le sue funzioni.

Per un Segretario generale, custode della legalità nell’ambito dell’amministrazione locale, le accuse che gli ha rivolto pubblicamente Nino Interdonato, il vicepresidente del Consiglio comunale, sono le più gravi e indigeste si possano ricevere. Anche perchè dallo stesso consigliere rimesse alla valutazione della Procura.

Sono indigeste ancor di più se arrivano a qualche ora da quelle della stessa natura che gli ha mosso la consigliera Donatella Sindoni in un esposto in Procura, letto su input del suo legale Antonio Catalioto a pochi minuti del voto fissato sulla delibera che avrebbe sancito la fine della sua lunga avventura da ineleggibile a palazzo Zanca.

L’Ufficio Legale e legislativo della Regione e di recente, a distanza di 8 mesi, una pronuncia del Tribunale di Messina, infatti, hanno stabilito che la biologa prestata alla politica non poteva partecipare alle elezioni di maggio del 2013.

Il consigliere Nino Interdonato con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il consigliere Nino Interdonato (a destra) con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il giovane politico, pupillo del deputato regionale Beppe Picciolo, avendo firmato la proposta di delibera predisposta dalla Segreteria generale e messa all’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio si è preoccupato e non poco alla lettura dell’esposto che denunciava abusi: “Segretario, mi conferma che la delibera è legittima?”, ha chiesto un paio di volte, prima di tranquillizzarsi e votare: invano, perché non si è raggiunto il numero legale.

Tuttavia, è bastato che qualche ora dopo un avvocato gli fornisse un parere legale perché  lo spavento di Interdonato diventasse terrore: l’esponente di Sicilia Futura non solo ha preso le distanze dalla delibera di decadenza (con il ritiro della firma), ma è arrivato ad accusare il segretario Le Donne di assenza di imparzialità e disonestà, investendo anche lui del caso la Procura.

 Abusi in decadenza

Secondo l’avvocato/consulente di Interdonato, la proposta di delibera è frutto di abusi. Interdonato ha supinamente sposato la tesi del legale.

L’uscita pubblica di Interdonato, unito all’esposto letto in aula  e alla minacce di denunce per chi avesse votato la delibera mosse ai colleghi dalla stessa Sindoni (vedi articolo), ha paralizzato la decisione del Consiglio comunale sul punto.

 

Corsi e ricorsi storici

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato Marcello Scurria, l’avvocato che con i suoi consigli giuridici permise tra ricorsi, controricorsi ed eccezioni all’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca di mantenere per due anni la carica di sindaco di Messina e consigliere regionale, nonostante la Corte costituzionale (il 23 aprile del 2010) avesse stabilito che non potessero essere cumulati.

Naturalmente, tutto questo fu possibile grazie alla complicità dell’Ars, che pendente il ricorso non ne volle sapere di votare in sede di verifica dei poteri sull’incompatibilità del collega. Fu il Tribunale amministrativo regionale a ordinargli di discutere e deliberare la decadenza di Buzzanca: esattamente il 26 giugno del 2012, due anni e 3 mesi dopo dalla sentenza della Consulta.

A battersi per l’incompatibilità di Buzzanca fu proprio Antonio Catalioto, che assisteva il primo dei non eletti, Antonio D’aquino: il legale si mostrò più volte indignato per la resistenza del sindaco a tenersi entrambe le poltrone.

 

Le tappe della vicenda Sindoni

Il 22 giugno del 2015 nel servizio giornalistico “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”, viene sollevato il caso dell’ineleggibilità.

L’1 dicembre 2015 il Segretario generale Antonio Le Donne chiede un parere legale al Dipartimento enti locali della Regione Sicilia.

Il 30 giugno del 2016 l’Ufficio legale e legislativo della Regione, massimo organo di consulenza giuridica degli enti locali siciliani, dichiara Donatella Sindoni ineleggibile.

Il 4 agosto 2016 il Consiglio comunale discute e si pronucia sulla delibera di decadenza. 11 assenti, 8 favorevoli, 1 contrario, 20 astenuti. Le proposta non viene approvata.

Il 2 febbraio del 2017 il Tribunale di Messina si pronuncia sull’ineleggibilità. E dispone: “Il Tribunale dichiara Donatella Sindoli ineleggibile. Sostituisce la stessa con il primo dei non eletti”. Ordinanza Tribunale Messina Sindoni

Il 3 febbraio 2017 la Sindoni si presenta a palazzo Zanca e partecipa comunque ai lavori.

Il 6 febbraio 2017 la Sindoni torna a Palazzo Zanca ma su disposizione del Segretario generale le viene impedito di partecipare ai lavori

Il 6 febbraio 2017 alle ore 17 e 55 il legale della Sindoni, Antonio Catalioto, comunica al Segretario generale che è stato proposto appello.

Il 6 febbraio 2017 la Segreteria generale predispone una nuova delibera di decadenza, fondata sempre sul parere dell’Ufficio legale della Regione ora però corroborato dalla pronuncia dei giudici. La proposta di delibera, per conto dell’Ufficio di Presidenza è firmata dal vicepresidente Nino Interdonato.

L’8 febbraio 2017 la delibera approda in aula: il legale della Sindoni a pochi minuti dal voto annuncia che è stata presentato esposto in Procura Esposto procura Sindoni, per denunciare gli abusi del Segretario generale e della Presidenza del Consiglio. Scoppia la bagarre, non si raggiunge il numero legale di 16 per poter votare. Solo 15 i presenti, tutti favorevoli. 25 gli assenti su 40 consiglieri.

Il 9 febbraio 2017 il vicepresidente del Consiglio Nino Interdonato ritira la firma sulla proposta di delibera, si dimette, e attacca il segretario generale accusandolo di mancanza di imparzialità e di illegalità. Trasmette la nota alla Procura della Repubblica, cui chiede di verificarne la condotta.Nota di Interdonato

 

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

La confusione di Catalioto

Antonio Catalioto, subito dopo la pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale, aveva sostenuto in dichiarazioni al giornale on line Tempostretto che l’ordinanza non fosse immediatamente esecutiva citando la norma del codice di procedura civile che disciplina gli effetti in caso di mancato appello, ovvero il divenire della stessa cosa giudicata: “L’art.702 quater dispone che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art.702 ter produce gli effetti esecutivi dell’articolo 2909 codice civile se non è appellata entro i 30 giorni dalla sua comunicazione”, ha detto Catalioto al giornalista.

Invece, la norma che disciplina l’efficacia dell’ordinanza è il comma 8 dell’articolo 22 della Dlgs 150/2011 che stabilisce. “L’efficacia esecutiva dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale è sospesa in pendenza di appello”articolo 22 dlgs 150-2011.

La lettera della norma è chiara. L’ordinanza è esecutiva; nel momento in cui viene incardinato l’appello (che quindi da quel momento pende) l’efficacia è sospesa.  

L’avvocato Catalioto, così, dopo aver letto la norma giusta e dopo averla interpretata, ha cambiato rotta, e per sostenere che Le Donne ha commesso un abuso nell’impedire a Donatella Sindoni di partecipare ai lavori prima della proposizione dell’appello si è inventato un’altra teoria.

Nella nota di diffida inviata al Segretario generale (Diffida di Catalioto a Le Donne)  poi ripresa nell’esposto inviato in Procura, ha sostenuto che l’ordinanza del Tribunale non potesse impedire alla Sindoni di svolgere sino al momento della proposizione dell’appello la sua attività di consigliere “perché sancisce l’ineleggibilità e non dichiara la decadenza che spetta al Consiglio comunale”.

Ripasso di diritto amministrativo

Tuttavia, le argomentazione del legale si scontrano con un principio elementare per gli studenti di giurisprudenza che hanno sostenuto l’esame di diritto amministrativo. In presenza di un’ordinanza che dichiara l’ineleggibilità (e porta alla nullità con effetto retroattivo dell’elezione come se mai ci fosse stata) non impugnata in appello (appello nel caso di specie che appunto non c’è sino alla sera del 6 febbraio) al Consiglio comunale spetta la sola mera presa atto dell’ineleggibilità dichiarata dai giudici e la sostituzione con il primo dei non eletti. Null’altro. La decadenza non c’entra nulla.

Marcello Scurria su questa conclusione  è concorde.

L'avvocato Marcello Scurria

L’avvocato Marcello Scurria

L’interpretazione Scurresca nostalgica del passato

Ma per il legale/consulente di Interdonato il segretario generale ha commesso comunque un abuso a impedire alla Sindoni di partecipare ai lavori perché l’ordinanza non era immediatamente esecutiva.

“E’ vero la lettera della norma sembra dire che l’efficacia è esecutiva”, dice Scurria. “Ma la norma va interpretata. In passato era principio pacifico che la pronuncia non avesse efficacia immediata”.

La norma infatti (abrogata nel 2011) stabiliva: “L’ esecuzione delle sentenze emesse dal tribunale civile resta sospesa in pendenza di ricorso alla corte d’appello”.

“Il legislatore del 2011 non ha saputo copiare”, conclude Scurria.

Marcello Scurria è molto affezionato al passato e allergico alle innovazioni legislative.

Dimentica, infatti, che il Dlgs 150 è stato fatto per unificare i vari procedimenti civili speciali, ben 33 per la precisione, che pullulavano nell’ordinamento creando lungaggini e difficoltà interpretative, e ricondundurli ai tre principali: quello ordinario di cognizione, quello del lavoro e quello sommario di cognizione (cui viene ricondotto quello elettorale).

Basta leggere la relazione illustrativa della legge delega (sfociata poi nel dlgs del 2011) e i lavori della dottrina sul punto.

Principio comune da decenni dei tre riti è che tutte le pronunce di primo grado sono immediatamente esecutive: la parte soccombente può però a certe condizioni fare istanza di sospensione della provvisoria esecutività.

La dottrina così è unanime, partendo dalla lettera della norma e dalla ratio del legislatore, nel dire che la nuova formulazione è da intendere nel senso che l’ordinanza ha efficacia esecutiva immediata come tutte gli altri (vedi, ad esempio, lavoro sul punto di Luca Andreassi)

L’eccezione sancita dall’articolo 22, comma 8,  rispetto alla regola generale sta ne fatto che l’appello sospende automaticamente l’efficacia esecutiva della pronuncia senza che sia necessario apposita istanza di sospensione ai giudici, come prevede la regola generale.

Il primo abuso di Le Donne non c’è

Dunque anche la tesi di Scurria sull’efficacia dell’ordinanza presa per oro colato da Interdonato, è una mera opinione di Scurria, smentita dall’interpretazione unanime della dottrina. Così come quella di Catalioto.

Le Donne dunque ha fatto bene a impedire alla Sindoni di prendere parte ai lavori del 6 febbraio.

La Sindoni, dal canto suo, abusivamente ha partecipato ai lavori del 3 febbraio e illegalmente voleva partecipare a quelli del 6 febbraio.

 

La consigliera torna in carica: il secondo abuso di Le Donne secondo i due legali

A partire dalla serata del 6 febbraio la Sindoni è tornata nella pienezza delle sue funzioni.

Per i due legali il Consiglio comunale non poteva pronunciarsi sulla delibera di decadenza della Sindoni preparata dalla segreteria generale, votando favorevolmente o in senso contrario. Dunque, Le Donne ha fatto un altro abuso.

Il motivo?

Scurria (nella nota di Interdonato)  e Catalioto (nella diffida e nell’esposto) sostengno, senza citare né norma giuridica né precedente, né dottrina, che siccome c’è una causa pendente davanti ai giudici al Consiglio è precluso pronunciarsi contemporanemante sulla stessa vicenda finchè pende il giudizio.

Smentiti dalla Corte costituzionale

Questa tesi non solo non è fondata su nessuna norma giuridica né precedente né lavoro dottrinale. Ma è stata smentita più volte dalla Corte costituzionale (vedi, ad esempio, sentenza 357 del 1996), a sua volta più volte richiamata dai giudici amministrativi e dalla Cassazione, che ha stabilito esattamente il contrario.

E cioè che i due porocedimenti scorrono su binari diversi e che l’uno è autonomo rispetto all’altro.

Ha infatti stabilito la Corte Costituzionale: “La procedura di verifica dei poteri davanti al Consiglio e il giudizio di fronte al Tribunale – per quanto attivabili entrambi per iniziativa di cittadini elettori, estranei al Consiglio stesso, e orientati in definitiva allo scopo comune dell’eliminazione delle situazioni di incompatibilità e di ineleggibilità previste dal legislatore, in cui versino i consiglieri – si svolgono su piani diversi, mirando a finalità immediate anch’esse diverse: la verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione, la prima; la garanzia del rispetto delle cause di ineleggibilità e incompatibilità nell’interesse della generalità dei cittadini elettori e a opera della Autorità giudiziaria, la seconda”.

La Consulta ha ancora precisato: “Questo spiega la concorrenza delle due distinte garanzie in ordine alle cause di incompatibilità e di ineleggibilità, concorrenza ormai pacificamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte di cassazione e giudicata conforme alla Costituzione da questa stessa Corte”.

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

A proposito di …. memoria coerenza e imparzialità

Marcello Scurria, il principio della concorrenza e autonomia del procedimento amministrativo di verifica dei poteri dal giudizio davanti al Tribunale lo conosce molto bene.

Come lo conosce molto bene l’avvocato Antonio Catalioto.

Lo conoscono bene entrambi perché lo hanno sperimentato nella vicenda che ha portato alla decadenza del sindaco Buzzanca. Ma forse se ne sono dimenticati,

Scurria tentò di usare l’argomentazione dell’efficacia preclusiva del giudizio pendente davanti al Tribunale per evitare che l’Assemblea regionale siciliana, cui si era rivolto Antonio Catalioto (che allora sosteneva il contrario e adesso ha cambiato opinione), si pronunciasse sulla decadenza di Buzzanca.

Il Tar di Palermo, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, fu netto ad ordinare all’Ars di pronunciarsi riaffermando il principio che la circostanza che ci fosse un giudizio ordinario pendente non avesse rilevanza (vedi sentenza Tar di Palermo)

 

Se Scurria supera Catalioto

L’avvocato Marcello Scurria va oltre le argomentazioni di Catalioto. Sostiene infatti, sempre per fondare l’accusa di abuso a Le Donee, che nel caso di specie il Consiglio comunale si è già pronunciato sulla sua ineleggibilità e, dunque, secondo il legale una volta che ha già votato ha consumato il potere di farlo, ovvero di pronunciarsi nuovamente.:

Questa conclusione dell’avvocato Marcello Scurria non è sostenuta da nessuna norma giuridica, da nessun precedente giurisprudenziale, da nessuna opionine della dottrina.

E’ semplicemente una tesi (rispettabilissima) dell’avvocato Scurria che, a precisa e ripetuta domanda, infatti, non sa indicare né un precedente, né una norma né tantomeno un lavoro della dottrina.

Scurria si rifiugia “nei principi”. Ma quali sono questi principi?, chiede il giornalista all’avvocato Scurria. Nessuna risposta.

In realtà, basterebbe questo per giungere a conclusioni opposte a quelle che Scurria ha suggerito a Interdonato.

Ma c’è di più. In realtà, i principi che informano la Costituzione liberal democratica italiana sono di segno contrario e portano a conseguenze opposte a quelle che vorrebbe Scurria.

 

Il secondo abuso di Le Donne non c’è

Basterebbe allora osservare che secondo un principio generalissimo dell’ordinamento giuridico tutto ciò che non è vietato è permesso.

L’attività amministrativa, poi, in generale è fondata sul principio che l’amministrazione possa sempre rivalutare gli atti compiuti.

C’è una norma dello stesso Regolamento del Consiglio comunale di Messina, l’articolo 32, che infatti prevede il potere del Consiglio di modificare, revocare, integrare e sostituire le proprie deliberazioni (vedi regolamento).

In questo caso, tra l’altro, non si tratta neppure di sostituire una delibera precedente.

La delibera neppure c’è.

Il Consiglio non ha votato contro l’ineleggibilità e quindi per l’eleggibilità della Sindoni: il 4 agosto 2016, infatti, 11 consiglieri erano assenti e 20 si sono astenuti. Otto dei 9 consiglieri superstiti hanno votato per la decadenza.

Come ha precisato la Corte costituzionale in più occasioni la verifica dei poteri è attività amministrativa “volta alla verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione”.

Ora se c’è il sospetto, in questo caso è fondato persino su una decisione dei giudici, che un l’organo non è regolarmente costituito è mai sostenibile che l’organo rimanga irregolarmente costituito per anni (perché nessuno si rivolge ai giudici) in presenza di un’evidente causa di ineleggibilità e solo perchè il Consiglio si è pronunciato?

E’ mai sostenibile che il consigliere ineleggibile determini per anni con il proprio voto l’approvazione di atti solo perchè il Consiglio non ha deliberato la sua decadenza perché il giorno fissato per il voto magari la maggior parte dei consiglieri colpita, ad esempio, da un’influenza virale o bloccata nel traffico nato da un ‘incidente, era assente? Oppure perchè si era astenuta non avendo avuto il tempo di esaminare bene la questione?

E’ ovvio che queste conclusioni sono assurde e in contrasto con i principi costituzionali, i quali impongono che un organo che rappresenta i cittadini deve essere formato da chi poteva partecipare alle elezioni.

Il Consiglio incontra solo un limite nel potere di potersi pronunciare sulla decadenza di un consigliere: un provvedimento passato in giudicato della magistratura.

Il consigliere dichiarato decaduto dai colleghi ha sempre uno strumento di tutela: rivolgersi ai giudici impugnando la delibera di decadenza.

 

Ineleggibilità di Donatella Sindoni, la consigliera per rimanere incollata allo scranno agita lo spauracchio delle denunce in Procura contro i colleghi. Il suo legale Catalioto impone la lettura in aula di un esposto a pochi minuti dalla votazione sulla decadenza. L’avvocato Scurria ci mette lo zampino. Il Consiglio comunale, già sotto inchiesta, va in tilt

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Donatella Sindoni

Donatella Sindoni

“Si comunica che la mia assistita ha presentato esposto in Procura. Conseguentemente, all’apertura dei lavori d’aula si diffidano il segretario generale e il presidente del Consiglio a darne pubblica lettura per la conoscenza di ogni singolo consigliere che parteciperà alla votazione sulla proposta di decadenza”.

E’ stata dichiarata ineleggibile due volte: il 24 giugno del 2016 dall’Ufficio legale e legislativo della Regione Sicilia, il 2 febbraio del 2017 dal Tribunale di Messina (sulla  scorta peraltro di un precedente della Corte di cassazione); e ha firmato la mozione diretta a mandare a casa il sindaco Renato Accorinti (e di conseguenza se stessa e l’intero Consiglio comunale).

Tuttavia, pur di rimanere appiccicata alla sua poltrona le prova tutte.

Assistita dal suo legale Antonio Catalioto, la consigliera comunale Donatella Sindoni non si è limitata a proporre l’ appello (più che legittimo) avverso l’ordinanza che la dichiara ineleggibile emessa dai giudici, riacquistando così il diritto di tornare a palazzo Zanca.

Ha infatti agitato con veemenza lo spettro delle denunce già presentate o da presentare alla Procura della Repubblica, che già solo perché sono presentate determinano l’apertura di un procedimento penale con iscrizione sul registro degli indagati e la scocciatura di nominare un legale e di finire sui giornali.

Destinatari delle minacce i suoi colleghi consiglieri, ovvero coloro che dovevano e dovrebbero pronunciarsi sulla sua sorte politica e che hanno già non pochi guai con la giustizia.

Gran parte di loro infatti sono sotto procedimento penale o lo sono stati sino alla scorsa settimana. Alcuni sono ancora sottoposti a misura cautelare dell’obbligo di firma all’entrata e all’uscita di Palazzo Zanca.

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

Questa delibera… non s’ha da votare

All’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio 2016 c’era la delibera, istruita dalla segreteria generale e fatta sua, come per prassi, dal vicepresidente del Consiglio comunale Nino Interdonato, che sanciva la decadenza di Donatella Sindoni.

Qualche ora prima era arrivata a palazzo Zanca la nota di diffida dell’avvocato Catalioto con allegato esposto.

Il presidente del Consiglio e il segretario generale si sono piegati al diktat dell’avvocato.

E’ stata la stessa consigliera Sindoni a leggere l’esposto ai colleghi.

Votare sulla decadenza della consigliera per il legale, Antonio Catalioto, è frutto di abusi. Come – per lo stesso legale – lo era stato chiedere il parere all’Ufficio legale della Regione dopo la pubblicazione a maggio del 2015 del servizio giornalistico che sollevava il caso.

E’ un abuso – a leggere l’esposto – perché l’appello contro l’ordinanza di ineleggibilità ne aveva sospeso l’efficacia esecutiva.

Nel mirino della Sindoni il segretario generale Le Donne che la vuole fare fuori perché il suo voto può essere decisivo per la sfiducia al sindaco Accorinti.

In realtà, la proposta di delibera non era basata sull’ordinanza del Tribunale ma sul fatto che la Sindoni è ineleggibile per come aveva scritto un anno prima il massimo organo di consulenza giuridica della Regione. L’ordinanza del Tribunale è considerata solo un’ ulteriore prova.

Ne è nata una bagarre. Durante la discussione Il consigliere Interdonato preoccupato per l’esposto ha chiesto più volte al segretario generale Le Donne se confermasse o meno la piena legittimità delle delibera.

La consigliera Lucy Fenech ha affermato: “Questo della Sindoni e del suo avvocato è un atto di intimidazione al Consiglio”.

Alla fine è caduto il numero legale. Alcuni consiglieri per non votare hanno lasciato l’aula.

Per votare era necessaria la presenza di 16 consiglieri, ne sono rimasti in aula 15 (su 40): l’ultimo ad abbandonare l’aula Fabrizio Sottile. Non è andato via per mettersi al riparo dall’esposto, né per motivi politici, bensì a seguito di uno screzio con la capogruppo del Pd Antonella Russo: insomma per un dispetto di quelli che si fanno i bambini alla scuole materne.

 

L’intimidazione non è mai troppa

Giovedì 9 febbraio, la scena si è ripetuta, con toni più aspri.

Durante i lavori nella Commissione Sport e Spettacolo presieduta da Piero Adamo, in cui si è aperto un dibattito su come dovesse procedere nei lavori, la Sindoni – secondo quanto hanno riferito i presenti – ha ammonito i colleghi affermando che avrebbe denunciato i colleghi che avrebbero votato la sua decadenza. Nuova bagarre. Scambio di accuse. E di insulti.

Risultato: il Consiglio comunale non si è pronunciato sulla sua decadenza, nè sipronuncerà. Non a breve almeno.

Se la paura te la mettono gli avvocati

Il vicepresidente del Consiglio comunale, Nino Interdonato, infatti, già preoccupato dopo la lettura dell’esposto della Sindoni, si è messo al riparo da ogni possibile conseguenza penale e ha ritirato la firma prendendo le distanze da chi la delibera l’ha istruita.

Con una nota (scritta evidentemente da un legale), Interdonato ha condiviso la tesi sostenuta dal legale della Sindoni. Anzi, è andato anche oltre individuando più abusi di quelli lamentati dallo stesso Catalioto.

Ha accusato di mancanza di imparzialità il Segretario generale, evocando a sua volta l’intervento della Procura e si è dimesso dall’Ufficio di presidenza.

Interdonato, da perfetto ignorante della materia – come lui stesso ha ammesso – ha preso per oro colato quanto gli ha confezionato un legale.

Scurria, il legale che non ti aspetti

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato infatti Marcello Scurria, ex segretario dei Democratici di sinistra e consulente giuridico nonché avvocato personale dell’ex sindaco di destra Giuseppe Buzzanca.

Quest’ultimo, oltre che primo cittadino di Messina era al tempo stesso consigliere regionale, quando ad aprile del 2010, una sentenza della Corte costituzionale stabilì che il cumulo delle due cariche fosse fuorilegge.

Tuttavia, assistito da Scurria, solo dopo due anni e mezzo, Buzzanca fu dichiarato decaduto dall’Ars.

Ironia della sorte, a battersi perché fosse prima sancita l’illegalità del cumulo delle cariche e poi la decadenza di Buzzanca fu Antonio Catalioto, legale oggi della Sindoni ed ex socio e collega di studio di Scurria.

Catalioto all’epoca non nascondeva la sua indignazione per come Buzzanca le provasse tutte per mantenere le due cariche, in spregio alla legge.

Operazione compiuta

La proposta di delibera per tornare ora in votazione deve essere firmata da un consigliere. In genere, per prassi se arriva dagli uffici la firma il presidente del Consiglio o qualcuno dell’Ufficio di presidenza.

La presidente Emilia Barrile, nell’occhio del ciclone dell’esposto della Sindoni e della nota di Interdonato, ha già dichiarato che lei non lo farà. L’altro componente, Nicola Crisafi, ha seguito Interdonato sulla scia delle dimissioni.

Effetto boomerang

Donatella Sindoni minaccia di presentare denunce. Ma la minaccia delle denunce e l’ostentanzione di quelle già fatte allo scopo di influire sull’andamento dei lavori di un organo elettivo le potrebbero costare l’attenzione della stessa Procura che evoca:

a lei e al suo legale, che a poche ore dal voto di un organo democratico ha fatto pervenire una nota di diffida che non ha precedenti.

Infatti, la loro condotta, inserita in un contesto in cui tutti sono scottati da procedimenti penali e temono di finire in altri, potrebbe integrare il reato dell’articolo 338 del codice penale che punisce “chi usa minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autoritità, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività”.