Tag Archive for università di messina

Concorso truccato per favorire il figlio, condannato a 7 anni l’ex preside di Farmacia, Giuseppe Bisignano. Sei anni a Giuseppe Teti, il docente che “convinse” l’allievo Salvatore Papasergi a ritirarsi. Un anno e mezzo a Maria Chiara Aversa che creò una commissione di comodo. Tutti i dettagli dell’inchiesta nata per caso

Download PDF

L'ex preside di Farmacia Giuseppe Bisignano

L’ex preside di Farmacia Giuseppe Bisignano

Il concorso di ricercatore lo vinse il figlio: non perché lo meritasse ma perché alla vigilia dell’ultima prova il candidato sicuro vincitore si ritirò.

La voglia matta di sistemare il proprio figliuolo Carlo nell’organico dell’ateneo di Messina è costata una dura condanna all’ex preside di Farmacia Giuseppe Bisignano.

Il Tribunale di Messina in primo grado lo ha riconosciuto colpevole di concussione per aver costretto Salvatore Papasergi, il candidato più titolato, ad abbandonare  la selezione bandita nel 2012 quando ormai l’esito era segnato a suo favore.

Per ottenere il risultato l’ex preside si era avvalso del collega Giuseppe Teti, ordinario di Microbiologia, di cui Papasergi era allievo da oltre un decennio.

Teti è stato condannato per concorso in concussione a sei anni di reclusione.

A Papasergi da un lato venne “consigliato di ritirarsi per evitare problemi per il futuro” e dall’altro venne data assicurazione che sarebbe stato aiutato in altro concorso per ricercatore della stessa disciplina che l’ ateneo da li a poco avrebbe bandito, come poi è accaduto.

Determinante per la condanna è stato il racconto prima agli inquirenti della Guardia di Finanza e poi nella sostanza davanti al Tribunale di Papasergi, che si è costituito parte civile: “Mi sono consultato con il professor Teti, il quale mi ha rappresentato che la nomina di ricercatore per quel concorso mi avrebbe determinato delle difficoltà in futuro per
la eventuale nomina a professore associato. In particolare, il professore Teti riteneva che nellʼambito del Dipartimento di Microbiologia della facoltà di Medicina mi sarei dovuto in futuro confrontare con persone aventi più titoli. Per queste ragioni ho ritenuto opportuno rinunciare al suddetto concorso nella speranza di vincerne uno bandito dalla Facoltà di
Farmacia circa un mese fa nella stessa area di ricerca e per il quale ho già presentato domanda. Benché la scelta di non presentarmi alla discussione finale
può apparire illogica ed autolesiva, ritengo che ciò può avere avuto un senso nella misura in cui si consideri che non faccio parte di un certo giro e devo stare a quello che mi viene consigliato. Voglio precisare che lavoro a titolo volontario e che mi mantengo con i soldi
che ho messo da parte. Spesso sono aiutato economicamente dai miei genitori», ha dichiarato Papasergi qualche mese dopo essersi ritirato.

Quando i vertici dell’ateneo scoprono che la procedura selettiva era finita nel mirino degli inquirenti l’annullano e deludono le speranze di un pronto riscatto di Papasergi.

 

Concussione in emergenza

In realtà le indagini mostrarono che l’opera di pressione e convincimento su Papasergi fu una misura di emergenza, una sorta di piano b.

Il concorso doveva andare al figlio di Bisignano grazie alla benevolenza dei membri della commissione scelti direttamente dall’ex preside di Farmacia, grazie alla complicità dell’allora delegata alla ricerca del rettore Franco Tomasello,  Maria Chiara Aversa, peraltro consuocera del Magnifico, che li propose con successo al Senato accademico.

Per questa condotta la Aversa  (cosi come Teti) è stata condannata per abuso d’ufficio.

E’ stato invece assolto per non aver commesso il fatto l’ex rettore Franco Tomasello ritenuto dalla Procura a conoscenza dell’accordo tra Bisignano e la Aversa per nominare la commissione di comodo, benché non ci fosse alcun elemento di prova a suo carico.

 

La docente onesta… fa saltare il piano principale

Il piano saltò perché Gianna Tempera, una componente della commissione non si piegò alle pretese di Bisignano: per lei non c’era discussione, Papasergi era superiore.

Gianna che cazzo fa, non lʼho capito? Quella si è convinta che Papasergi è a livello notevolmente più alto», dice Bisignano parlando al telefono con il suo collega Sandro Ripa, ordinario di microbiologia all’Università di Camerino.

«Gianna conferma di essere una donna stupida, stupida, stupida», attacca Ripa. Che arringa lʼinterlocutore: «A Gianna se lʼaggredisci ottieni qualcosa. Gianna chi la convince? Solo Nicoletti la può convincere», dice ancora Ripa. «Questa stronza dobbiamo vedere di inquadrarla», afferma di rimando Bisignano. «Parlane con Giuseppe Nicoletti», insiste Ripa.

Nicoletti altri non era se non un docente emerito di microbiologia dell’Università di Catania, maestro di Gianna Tempera.

In effetti, Bisignano segue il consiglio di Ripa e va a trovare Nicoletti. Quest’ultimo a sua volta ne parla con l’ allieva.

La Tempera però rimane ferma.

Interrogata dagli inquirenti difende il suo maestro: “Nicoletti non mi ha chiesto di modificare il parere positivo redatto nei confronti di Papasergi, limitandosi a chiedermi se i suoi lavori fossero attinenti al settore scientifico oggetto del concorso. A ciò io gli risposi che i titoli di Papasergi erano inerenti al concorso e decisamente migliori di quelli di Carlo Bisognano”, ha dichiarato la Tempera.

Tuttavia, ciò non è bastato a evitare a Nicoletti la condanna ad un anno di reclusione per tentata induzione indebita a dare o promettere utilità.

Anche per questo reato è stato riconosciuto colpevole Bisignano, che nel complesso è stato condannato a 7 anni di reclusione.

La posizione di Ripa, considerato concorrente dei due, è stata stralciata.

Aversa, Nicoletti, Teti e Bisignano sono stati pure condannati a pagare a Papasergi la somma di 50 mila euro a titolo di risarcimento danni.

La corruzione che non c’è

Ma perchè Giuseppe Teti ha sacrificato un proprio allievo che lo seguiva da un decennio? Secondo la Procura in cambio di un favore, ovvero l’interessamento di Bisignano a far diventare ordinario la moglie di Teti, Concetta Beninati, all’epoca docente associato alla facoltà del preside Bisignano e in attesa di divenire ordinario.

Eʼ un intercettazione di un colloquio tra Bisignano e Ripa a convincere gli uomini della Finanza che Teti vuole ottenere qualcosa per la moglie in cambio del suo interessamento: “Ma scusa, una stupidaggine simile…..ma insomma eh che quello fa il prezzo perché vuole la moglie ordinario.. se la fotte lui cosa vuole», dice Bisignano. «E pare che ci sei tu in commissione?…. mica ci stai tu in commissione ehee!», ribatte Ripa. «Ma sa che noi siamo in un certo giro… che abbiamo un certo potere che lui non ha….percheʼ se noi diciamo no, lui butta sangue», conclude lʼordinario di Farmacia.

Troppo poco per provare l’accordo corruttivo.

Il Tribunale presieduto da Mario Samperi ha infatti ritenuto che il fatto non sussista e ha assolto entrambi da questo capo di imputazione.

Tutto partì da fatture false

Gli inquirenti della Guardia di Finanza si imbatterono nel concorso destinato al figlio di Bisignano per caso.

Stavano infatti indagando su un giro di fatture false create dal delegato dell’economato della facoltà di Farmacia Cesare Grillo al fine di appropriarsi di risorse pubbliche, in tutto circa 8 mila euro.

La  Procura ipotizzò che Bisignano, il delegante, fosse a conoscenza del perverso stratagemma messo in piedi da Grillo.

Ma l’ipotesi non ha trovato alcun riscontro in giudizio e l’ex preside di Farmacia è stato assolto. Condannato invece a 4 anni Grillo per peculato e falso.

IL CASO: Elezioni universitarie, roulette giustizia. Identico vizio, ma pronunce opposte dagli stessi giudici: il Tar di Catania ammette Gea Universitas di Ivan Cutè assistita dall’avvocato Santi Delia e lascia fuori le altre liste escluse dalla competizione. Proclamazione rinviata in attesa dell’appello al Cga

Download PDF

L'esultanza di Cutè e dei membri di Gea universitas festeggiano

L’esultanza di Cutè (in alto a destra) e dei membri di Gea universitas

Identico vizio, ma responsi diversi da parte degli stessi identici giudici del Tribunale amministrativo regionale di Catania.

L’associazione Gea Universitas, capitanata da Ivan Cutè e patrocinata dal legale Santi Delia, l’ha spuntata..

Le altre associazioni e una serie di candidati a queste appartenenti, invece, no.

Al momento, infatti, benché siano risultati eletti al termine della tornata del 22 e 23 novembre 2016, l’insediamento di quest’ultimi è bloccato dalle pronunce sfavorevoli degli stessi giudici amministrativi di primo grado, già appellate al Consiglio di giustizia amministrativa

Eppure, la loro esclusione dalle elezioni era fondata sul medesimo vizio di diritto e di fatto di quello di Gea Universitas.

Esclusione per tanti

I vertici dell’ateneo, sulla scorta di un parere dell’Avvocatura dello Stato, infatti, avevano escluso dalla competizione elettorale alcune liste e alcuni candidati per violazione della competenza territoriale dei pubblici ufficiali che avevano autenticato le firme necessarie alle candidature: in altre parole, le firme erano state autenticate da sindaci ma fuori dal territorio di competenza.

E ciò era stato desunto dal fatto che sul modulo prestampato usato per l’autentica era stato apposto dal sindaco il timbro del comune della provincia, ma compariva in calce  la dicitura prestampata “Messina”, che in un atto amministrativo indica il  luogo in cui l’atto si compie.

Partecipazione sub judice

Le associazioni e i candidati esclusi si sono rivolti in massa al Tar per chiedere in via d’urgenza un  provvedimento che consentisse loro di partecipare all’elezione  L’organo della giurisdizione, senza contraddittorio, con decreto presidenziale ante causam, li aveva ammessi tutti.

L’esigenza di allineamento

L’ateneo però dopo le elezioni ha sospeso l’insediamento di tutti gli eletti anche di quelli che non erano stati esclusi per irregolarità in attesa che dal Tar arrivassero lumi più certi: “L’insediamento deve avvenire per tutti nello stesso momento. Devono essere temporalmente allineate se non il rinnovo sarebbe molto problematico”, hanno spiegato il rettore Pietro Navarra e il direttore generale Franco de Domenico.

Dal Tar, dagli stessi giudici, infatti, sono arrivate sinora decisioni contraddittorie: favorevoli solo a Gea Universitas e sfavorevoli a tutti gli altri, che hanno appellato.

La proclamazione può aspettare

Dopo l’ordinanza del Tar che dà ragione all’associazione Gea universitas i suoi candidati eletti negli organi dell’Università di Messina potrebbero essere regolarmente insediati: a partire dal senatore accademico in pectore Andrea Celi.

Tuttavia, l’esigenza di allineamento permane. I vertici dell’ateneo stanno valutando così il da farsì. L’opinione che è prevalsa sinora è che prima di procedere all’insediamendo degli eletti di Gea bisogna attendere che si concluda tutta la fase cautelare al Cga, ciò che avverrà entro 15 giorni. Le udienze sono fissate per il 23 febbraio 2016.

Distrazioni di provincia

Gea universitas, specificamente era stata esclusa dalla competizione elettorale universitaria perché alcune delle firme necessarie alla presentazione della lista risultavano autenticate dal sindaco del comune di Brolo con tanto di timbro comunale su dei moduli su cui era indicato come luogo di autentica la città di Messina.

La stessa discrasia, con autentica di sindaci di altri comuni, aveva portato egualmente all’esclusione di altre liste e candidati.

Unico giudice: due pesi e due misure

I giudici Vincenzo Vinciguerra (presidente), Dauno Trebastoni (estensore delle pronunce), e Maria Agnese Barone, occupandosi di quest’ultimi hanno scritto: “Il ricorso appare infondato, in relazione alla circostanza che nel caso di specie è stato violato il principio della competenza del pubblico ufficiale”, hanno motivato nelle ordinanze pronunciate tra dicembre 2016 e gennaio 2017. La convinzione dei tre giudici era così forte che ogni rigetto è stato corredato da una condanna alle spese di 700 euro.

Quando qualche tempo dopo, però, si sono occupati di Gea Universitas il giudizio è diametralmente cambiato: l’indicazione di Messina sul modulo prestampato è diventato un mero errore materiale.

Scrivono i giudici l’8 febbraio 2017 nella motivazione dell’ordinanza cautelare che riguarda Gea Universitas:”Il fatto che il Sindaco autenticante abbia lasciato, in calce al “precompilato” modulo di autenticazione, l’indicazione “Messina”, appare più frutto di errore materiale, probabilmente legato alla disposizione dell’Università, a sua volta fondata sulla erronea supposizione che l’autenticazione delle firme sarebbe certamente avvenuta a Messina, secondo cui il modulo non andava modificato”.

Anche perchè, ha specificato ancora il Tar,  “sul contestato modulo il Sindaco di Brolo ha apposto il timbro del Comune, e tale circostanza rende del tutto verosimile che l’autenticazione sia avvenuta a Brolo”. Esattamente ciò che è accaduto anche in tutti gli altri casi in cui, però, il Tar aveva rigettato

Santi Delia, l’avvocato vincente

L’avvocato di Gea Universitas Santi Delia si è battuto come al solito con grande determinazione e abilità e ha ottenuto i ringraziamenti pubblici di Ivan Cutè.

Delia, ha depositato al Tar un’ “apposita dichiarazione” rilasciata dal sindaco di Brolo, Irene Ricciardello, “nella qualità” (e, quindi, come pubblico ufficiale, ndr) “confermante la circostanza” (cioè che l’autenticazione l’ha fatta  a Brolo e che solo per errore e non alterare il modulo ha lasciato la dicitura Messina, ndr): dichiarazione questa, che i giudici usano nella motivazione per puntellare la decisione favorevole a Gea.

La stessa dichiarazione, da parte dei sindaci di altri comuni, era stata depositata anche nei ricorsi rigettati.

Il precedente confortante

L’avvocato Gianclaudio Puglisi, che ha patrocinato i candidati eletti ma bocciati dal Tar di Catania, commenta: “L’ultima decisione del Tar su Gea universitas per noi è un precedente importante da giocare davanti al Consiglio di giustizia amministrativa nelle prossime settimane”.

 

 

 

Test professioni sanitarie, nuovo pasticcio: 36 candidati «scomparsi» a Messina. I vertici dell’ateneo: “Chiara responsabilità del Cineca”

Download PDF

università di messina

Avevano partecipato alle prove di ammissione ai 12 corsi di laurea a numero chiuso per le professioni sanitarie dell’ateneo di Messina, ma di loro si era persa ogni traccia. Trentasei aspiranti fisioterapisti, logopedisti, infermieri, radiologi e ostetrici, accomunati dall’aula (317) in cui avevano preso posto, hanno brancolato nel buio come fantasmi per giorni. Il loro nome e cognome non figurava né tra i 506 vincitori, né tra i restanti mille e 400 candidati bocciati. «Che fine ho fatto?», si è chiesto ciascuno di loro dopo aver letto e riletto decine di volte la graduatoria pubblicata sul sito dell’Università due giorni dopo il concorso, tenutosi il 4 ottobre. Le telefonate di protesta all’ateneo e quelle al Cineca, il consorzio interuniversitario con sede a Bologna a cui era stata affidata la preparazione e la correzione delle prove, sono valse solo a innescare il gioco dello scaricabarile e contatti frenetici e ricchi di tensione tra ateneo e Cineca. Otto giorni dopo, i «desaparecidos» del concorso sono stati ritrovati e l’ateneo di Messina non ha avuto scelta. Il 14 ottobre è stato, infatti, costretto ad annullare la graduatoria già pubblicata e a comunicarlo ai vincitori ai quali è stata annunciata la pubblicazione di una nuova graduatoria che conterrà, questa volta, i punteggi di tutti i candidati. Gli effetti? C’è chi, già immatricolato, perderà il diritto a frequentare i corsi di laurea; e chi, invece, fantasma per 8 giorni, lo riacciufferà. L’ennesimo pasticcio, insomma, destinato a scatenare altre polemiche sulla regolarità dei test di ammissione a Medicina, oggetto in passato in tutt’Italia di sentenze di annullamento da parte dei giudici per violazione dell’anonimato. Il ritrovamento delle prove dei 36 candidati scomparsi non risolve il mistero su cosa sia realmente accaduto. La ricostruzione dei fatti e l’individuazione delle responsabilità mette ora l’uno contro l’altro l’ateneo guidato dal rettore Pietro Navarra e l’ente che ha il monopolio nell’organizzazione dei test in campo sanitario e universitario, già un anno fa nell’occhio del ciclone per un clamoroso scambio di quiz.

Resa dei conti

Per i vertici dell’ateneo di Messina la responsabilità è tutta del Cineca. Dalla Sicilia è partita una lettera di diffida e messa in mora per danni patrimoniali e d’immagine all’indirizzo dei vertici del consorzio che impiega 700 dipendenti e incassa 100 milioni di euro all’anno di risorse pubbliche. Il direttore generale dell’ateneo di Messina, Francesco De Domenico, non nasconde la rabbia: «L’errore del Cineca è chiaro e gravissimo e non può essere dovuto ad altro che a superficialità. Si sono dimenticati di correggere le prove di 36 candidati. Una cosa incredibile che adesso ci esporrà ai ricorsi di chi pur immatricolato rimarrà fuori e a danni di immagine». La ricostruzione del Cineca, invece, è diversa e dà la responsabilità all’ateneo che ha pubblicato una graduatoria – come precisa l’ufficio stampa – «basata su dati parziali»: «Tutti i compiti sono stati valutati subito. Quello che è successo è che la qualità della stampa di un piccolo lotto di etichette ha interferito con l’assegnazione automatica del compito al rispettivo candidato. E’ stato necessario fare tutte le opportune verifiche prima di consegnare all’ateneo la graduatoria definitiva», spiega una nota dell’ufficio stampa. Il direttore generale De Domenico replica a muso duro: «Questa ricostruzione è illogica e si scontra con i fatti. Non ci sono stati mai comunicati problemi nella correzione. Non si capisce che senso avesse trasmetterci una graduatoria che non poteva essere pubblicata».

Il precedente

Il Cineca era finito nella bufera in occasione del concorso per l’ammissione alle Scuole di specializzazione in medicina, svolte a fine ottobre del 2014. Uno scambio di quiz aveva costretto il Ministero dell’Università ad annunciare l’annullamento e la ripetizione delle prove cui avevano partecipato 12mila medici. Poi, qualche giorno dopo, le prove sono state salvate. Ma il contenzioso davanti ai giudici amministrativi che ne è derivato è stato imponente. Tre recenti sentenze del Consiglio di Stato hanno posto le basi per l’annullamento del concorso. A suo tempo il presidente del Cineca, Emilio Ferrari, aveva annunciato le dimissioni ma è ancora al suo posto.

Il salvataggio

Il 26 maggio del 2015 il Consiglio di Stato aveva stabilito che fosse illegale e contrario alle regole di libera concorrenza che gli atenei e il Miur affidassero senza gara (in house) la preparazione e la correzione dei test all’organismo interuniversitario: «In barba a quanto vorrebbe la legislazione, il Cineca non è interamente pubblico: sono soci oltre al Miur e a 70 atenei pubblici anche Università private; i singoli atenei poi non hanno un controllo analogo a quello che hanno sui loro servizi», avevano motivato i giudici. Il Cineca è stato salvato grazie ad alcune disposizioni inserite in un decreto legge sugli enti territoriali varato dal Governo Renzi il 19 giugno del 2015. Queste norme hanno recepito con un anno e mezzo di anticipo rispetto al termine ultimo del 31 dicembre del 2016 una direttiva europea che segna un cambio di orientamento rispetto ai principi già affermati dalla giurisprudenza comunitaria e italiana in materia di affidamento diretto a società in house.

pubblicato su Il corriere.it

Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra “grazia” il docente Mauro Federico. Accolto l’appello di 32 docenti che però avevano chiesto Giustizia: ovvero la revoca del provvedimento disciplinare

Download PDF

Il rettore Pietro Navarra

MESSINA. Invocavano giustizia, hanno ottenuto la grazia.  Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra revoca il provvedimento disciplinare di censura nei confronti di Mauro Federico, reo di aver commentato (sul suo blog) la notizia appresa da un giornale on line (ma poi rivelatasi falsa) degli arresti del collega Mario Centorrino, “accogliendo la richiesta di clemenza”, come scrive in un nota datata 21 giugno del 2014, di un gruppo di 32 docenti dell’ateneo di Messina.

Ma quest’ultimi, invece, avevano chiesto di annullare il provvedimento perché “non fondato sulla violazione di alcuna norma, anomalo sotto il profilo procedurale, carente di motivazione e fosco presagio di una limitazione alla libertà costituzionale di espressione di un collega da anni voce critica nell’ateneo e membro di organismi istituzionali di rappresentanza democratica”.

La decisione del Magnifico invece di chiudere il caso che ha avuto come protagonista il coordinatore dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) rischia di arroventarlo ancora di più. Nella lettera, infatti, Navarra, ribadisce la fondatezza del provvedimento di censura e rincara la dose di critiche contro il docente di Fisica: riepilogando tutta la vicenda usa più volte il termine falsa o falso per indicare la condotta di Federico.

Il docente di Fisica a stretto giro di posta ha inviato a tutti i docenti dell’ateneo una dura nota con la quale confuta tutte le contestazioni di falsità del rettore Navarra.

Il rettore Navarra scrive: “La mattina del 19 marzo il dottor Federico pubblicava sul blog dell’Andu Messina una notizia dal titolo: Aria di primavera: facciamo pulizia?” in cui venivano riportate informazioni false sul conto del professor Mario Centorrino, professore emerito dell’ateneo presidente del Nucleo di valutazione. La notizia falsa era così riportata: “Come diretta conseguenza delle misure cautelari relative alle misure cautelari a suo carico, ci aspettiamo che immediatamente il presidente del Nucleo di valutazione rimetta il suo mandato e sparisca per sempre. Ove ciò non dovesse accadere, ci aspettiamo che intervenga il rettore destituendolo a divinis dalla carica…”

Navarra tuttavia non dice che la notizia falsa non se l’era inventata Mauro Federico ma questi l’ha ripresa da una testata giornalistica on line registrata al Tribunale e con tanto di direttore (per la cronaca Messinaora.it). E sulla scorta di questa ha fatto un commento sul blog dell’Andu esercitando il diritto di critica.

Aveva l’obbligo Mauro Federico di controllare la fonte? Certo che no. Questo obbligo incombe solo sui giornalisti e non certo ai comuni cittadini. Se per ipotesi, il telegiornale o un giornale (e non un gruppo di amici al bar) danno notizia che un politico è indagato e un cittadino commenta che dovrebbe dimettersi e poi la notizia non è vera può mai essere accusato di diffamazione? A risponderne è il giornalista che ha dato la notizia falsa non il cittadino che l’ha commentata sulla base della presunzione fosse vera e fosse stata controllata dal giornalista. A meno che il cittadino non perseveri nel dare per buona la notizia anche dopo che è stata smentita: cosa che nel caso di specie non è accaduta.

 

Il rettore Navarra continua: “Dopo circa un’ora il dottor Federico modifica leggermente i contenuti della notizia, asserendo che comunque il prof Centorrino sarebbe stato coinvolto nei giorni successivi negli sviluppi dell’inchiesta: considerazione rivelatasi anche in questo caso, assolutamente falsa”.

Mauro Federico, in realtà ha cancellato la notizia dopo 20 minuti (era stata postata alle 8 e 21 è stata cancellata alle 8 e 41). Semmai e contrariamente a quanto afferma ora il rettore, in una nota successiva aveva espresso l’opportunità che “il rettore agisse con tempestività per mettere al riparo l’Istituzione da contraccolpi di immagine che potrebbero derivare dal proseguo delle indagini”. Le indagini sono quelle sulla Formazione che hanno portato arresti il leader del Pd Francantonio Genovese, ovvero di chi aveva voluto Mario Centorrino come assessore alla Formazione del Governo di Raffaele Lombardo.

Il Cus ridotto ad agenzia di lavoro, l’Ispettorato del lavoro boccia l’ateneo. L’inchiesta della Procura

Download PDF

confcnu

MESSINA. Il Centro universitario sportivo? A Messina è stato trasformato in «un’agenzia di lavoro per reclutare (senza concorso) e fornire all’Università lavoratori a basso costo». E’ questa la conclusione cui è giunto il locale Ispettorato del Lavoro al termine di un anno di indagini sull’ente figlio del Centro universitario sportivo italiano (Cusi) per legge monopolista dell’attività sportiva universitaria e per questo beneficiario di ingenti finanziamenti da parte del Ministero dell’Istruzione.

I funzionari regionali nella convenzione tra Ateneo e Cus hanno riscontrato un appalto fraudolento di manodopera e hanno inflitto una multa complessiva da 2 milioni di euro al Cus e all’ex commissario Sergio Cama, all’ateneo di Messina e all’ex rettore Franco Tomasello. Gli istruttori sportivi, gli addetti alla segreteria e persino quelli alle pulizie (in tutto 80 lavoratori), li assumeva il Cus con contratti di collaborazione sportiva esentati da tasse e contribuzione previdenziale, ma i lavoratori venivano utilizzati come fossero propri dipendenti subordinati (senza, però, le tutele previste per quest’ultimi), direttamente dall’Università di Messina, che poi rimborsava al Cus il valore degli stipendi: il giochetto, ora sanzionato, è andato avanti per due anni tra il 2010 e il 2012. «Non c’è dubbio che la convenzione lascia travisare una chiara interposizione fittizia di manodopera. I lavoratori sono stati inseriti nell’organizzazione dell’ateneo come veri e propri dipendenti», scrivono gli ispettori nel provvedimento di 51 pagine. Che l’obiettivo della convenzione fosse proprio quello censurato dall’Ispettorato trova conferma nei verbali della seduta di agosto del 2010 in cui il Cda dell’Università la discusse e la votò: «Sarà garantito all’ateneo un rilevante risparmio dovuto al minor costo il personale assunto», disse Cama. «Non verrà neppure pagata l’Iva dovuta nel caso di appalto di servizi», gli fece eco l’allora rettore Tomasello.

Pietro Navarra

La maxi multa è il primo provvedimento di un’inchiesta a largo raggio condotta dalla Procura di Messina sulla gestione dell’associazione sportiva messa in liquidazione nel 2013 a causa di un buco di 5 milioni euro. L’inchiesta del sostituto Antonio Carchietti, che si avvale di 3 consulenti tecnici, vede sotto indagine per falso e truffa ai danni dello Stato i vertici del Cusi nazionale: Leonardo Cojana, deceduto qualche mese fa; del Cus locale: Piero Jaci (presidente per 40 anni, fino agli inizi del 2010) e il successore Cama; e dello stesso ateneo: l’ex rettore Tomasello e il dirigente Carmelo Trommino. Nel mirino degli inquirenti sono finite le rendicontazioni inviate al Ministero per ottenere i contributi della legge 394 del 1977.

Secondo l’ipotesi investigativa, l’ateneo e l’organismo sportivo per ottenere le risorse destinate al «Potenziamento dell’attività sportiva universitaria», attestavano che il Cus gestiva tutti gli impianti sportivi mentre in realtà ciò non accadeva da anni. Nel 2006, infatti, l’ex Magnifico Tomasello consigliato dall’allora prorettore Pietro Navarra, che dal giugno del 2013 indossa l’ermellino, decise di togliere gli impianti al Cus e di gestirli direttamente: con personale, però, come è ora emerso, «svenduto» dallo stesso Cus. Mandato al macero il vecchio Cus e le centinaia di creditori, l’ateneo guidato da Navarra per non perdere i fondi ministeriali ha creato un Cus nuovo di zecca sgravato di tutti i debiti: CusUnime, subito affiliato dal Cusi. L’operazione non ha convinto gli inquirenti che stanno verificando se non sia stata fatta in frode ai creditori.

IL BUCO. All’esame dei tre consulenti del pm anche la gestione allegra dell’ente sportivo e soprattutto i Campionati nazionali universitari, organizzati dal Cus alla vigilia dell’estate del 2012 nonostante i 4 milioni di euro di deficit. La manifestazione, costata 800mila euro, è passata alla storia non tanto per le gesta degli atleti arrivati da tutt’Italia per cimentarsi in 20 discipline sportive, ma per le spese «folli». Dai 15mila euro (per una settimana di lavoro) ai 5 addetti stampa reclutati benché fosse stata ingaggiata un’agenzia di comunicazione costata a sua volta 14mila euro; passando alla cena di inaugurazione da nababbi (30mila euro); per finire alle spese per una serie di appalti per servizi, affidati senza regolare gara a prezzi più alti di quelli di mercato. La kermesse ha aggravato il deficit del Cus. Per coprire i costi della manifestazione l’allora assessore al Turismo del Governo regionale di Raffaele Lombardo, Daniele Tranchida, docente egli stesso dell’ateneo, aveva promesso dapprima 500mila euro; poi, in extremis, il giorno prima dell’inizio della manifestazione, aveva firmato un provvedimento da 150mila euro di risorse a disposizione del suo ufficio per il sostegno alle iniziative turistiche. Dalla regione Sicilia, però, non è arrivato neanche un euro.

di Michele Schinella per il Corriere.it, 25 maggio 2014