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Tangenti al Cas, Bernava si difende: “Pagati i lavori di casa”. Il paradosso: il funzionario accusato di aver danneggiato la ditta che lo ha “ammorbidito”

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Agostino Bernava

Agostino Bernava

“Ecco i bonifici che dimostrano che ho pagato i lavori che mi sono stati fatti a casa sulla base di un regolare contratto d’appalto”. Agostino Bernava, il funzionario del Consorzio per le autostrade siciliane ai domiciliari da sabato 14 novembre con l’accusa di “Induzione indebita a dare o promettere altra utilità”, al Giudice per le indagini preliminari, Maria Luisa Materia, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, ha portato la prova che all’imprenditore titolare dell’impresa cui il Cas aveva affidato alcuni lavori (quantificati in 40mila euro), ha pagato tutto quanto doveva per le prestazioni ricevute. “La mia è stata una leggerezza”, si è giustificato. “E stato però l’imprenditore a proporsi”. “In cambio, non ho promesso nulla né dato nulla, né potevo visto che al Cas non avevo un ruolo autonomo che mi consentiva di favorire alcuno. Tantomeno – ha precisato – ho preso denaro in contante”.

Il geometra, fratello del segretario confederale della Cisl, giunto al Cas nel 2008 e promosso (sino all’ottobre 2012) capo di gabinetto del Commissario straordinario, ha cercato con queste argomentazioni sopra riportate (in sintesi) fra virgolette, di tirarsi fuori dai guai giudiziari in cui si trova, rintuzzando il fatto più insidioso che gli viene contestato.

L’altro fatto oggetto di imputazione, invece, da quanto è possibile capire leggendo il comunicato stampa della Direzione investigativa antimafia, che ha condotto le indagini coordinate dal sostituto della Procura, Fabrizio Monaco, appare molto meno insidioso, se non  in contraddizione con l’accusa di aver preso soldi e aver goduto dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione “in cambio dell’illecito affidamento di alcuni lavori per conto del suddetto Ente”, come c’è scritto nel comunicato stampa della Dia: lavori (per un totale di 400mila euro) che sono stati elencati dagli stessi inquirenti.

Scrive, infatti, la Dia: “Bernava prospettando ai suddetti imprenditori messinesi la possibilità di futuri vantaggi correlati alle prerogative proprie della carica ricoperta, avrebbe ottenuto un vantaggio non dovuto per il Cas di Messina e cioè che i predetti lavori da eseguirsi in somma urgenza venissero effettuati ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello preventivato dallo stesso ente pubblico appaltante”.

Ricapitolando, a seguire l’accusa condensata nel comunicato stampa, Bernava dopo aver incassato i favori dagli imprenditori, li ha sfavoriti. Infatti, si è prodigato per assegnare loro lavori di somma urgenza (che per legge si affidano senza una vera e propria gara ma dopo semplici inviti a ditte scelte a discrezione), ma ha imposto loro un compenso notevolmente più basso, non nel suo interesse ma di quello delle casse pubbliche.

Insomma, sempre secondo gli inquirenti, Bernava prende soldi dagli imprenditori, affida loro illecitamente i lavori, ma impone che vengano pagati a prezzo di molto inferiore facendo così agli imprenditori un danno attuale sulla base della prospettazione di vantaggi futuri.

L’inchiesta è nata dalla denuncia di un imprenditore che si è presentato l’estate scorsa in Procura per raccontare dei lavori eseguiti a casa Bernava e dei soldi pagati e dei favori e delle promesse di Bernava, dopo aver litigato con il socio: ovvero colui che è considerato concorrente di Bernava e per il quale il pm ha chiesto la misura cautelare del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

Il legale di Bernava, Massimo Marchese, ha chiesto al giudice Materia la revoca della misura cautelare.

Appalto truccato al Cas: in libertà gli imprenditori. Il Tribunale del Riesame boccia la Procura. La debolezza dell’accusa fondata sulla gara “sbagliata”

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Sede del Cas

La sede del Cas di contrada Scoppo a Messina

La turbativa della gara d’appalto bandita a maggio del 2013 dal Consorzio autostrade siciliane non c’è stata. C’è stato, invece, il tentativo di turbarla. Il 5 dicembre 2014, il Tribunale del Riesame presieduto da Maria Militello ha revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari per gli imprenditori Nino Giordano, Giuseppe Iacolino, Francesco Duca e Rossella Venuto, bocciando l’impianto accusatorio costruito dal sostituto procuratore Fabrizio Monaco e avallato dal Giudice per le indagini preliminari Maria Luisa Materia, che aveva accolto in parte la richiesta di misure cautelari. Il pm Monaco, in realtà, per tutti gli imprenditori aveva domandato la misura cautelare più severa: gli arresti in carcere. Il Tribunale del riesame derubricando il reato da turbativa d’asta in tentata turbativa dell’appalto di “Sorveglianza attrezzata e per interventi urgenti e assistenza del traffico” da 2 milioni di euro per sei mesi, ha ritenuto misura cautelare proporzionata al reato contestato quella di divieto ad esercitare imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche per due mesi.

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