Lo spettro di arresti e commissariamenti evocati da Dino Bramanti: l’evasione fiscale “fatta a pezzi” dal Tribunale della Libertà, il tentativo di concussione per induzione prescritto. Ecco cosa dicono le carte dei procedimenti pendenti su Cateno De Luca

Download PDF

Dino Bramanti e Cateno De Luca

Dino Bramanti e Cateno De Luca

Il cambio di tattica gliel’ha indicata Lucio D’amico dalle pagine della Gazzetta del sud: “I suoi alleati vorrebbero che passasse all’attacco chiedendo conto a Cateno De Luca dei suoi guai giudiziari”.

Dino Bramanti, l’avversario al ballottaggio del 24 giugno per la scelta del sindaco di Messina, non vedeva l’ora.

Ma quando uno scienziato della medicina si cimenta sul terreno tecnico giuridico i rischi di confusione diventano molto forti.

“De Luca è sotto processo, potrebbe essere arrestato e il Comune se fosse eletto sindaco potrebbe essere commissariato”, ha ripetuto Bramanti. “E’ stato assolto per prescrizione, rinunci alla prescrizione”, ha ancora sfidato. “E’ stato arrestato ed è sotto processo per associazione mafiosa finalizzata all’evasione fiscale”, ha arringato il candidato a sindaco sponsorizzato da Francantonio Genovese e Nino Germanà, prima che qualche presente al comizio lo avvertisse che la mafia non c’entra.

I guai giudiziari di De Luca

Cateno De Luca ha due procedimenti penali pendenti:uno riguarda l’inchiesta denominata (impropriamente) “Sacco di Fiumedinisi”;  l’altra attiene la gestione della Fenapi, sindacato da De Luca creato e gestito – secondo l’accusa della Procura – facendo ricorso all’evasione fiscale.

Entrambi i procedimenti penali lo hanno portato agli arresti domiciliari. per il primo il 27 giugno del 2011; per il secondo l’8 novembre del 2017.

Ambientalisti nel “Sacco di Fiumedinisi”

Nel primo procedimento penale, a De Luca veniva contestato nella sostanza di aver usato illegalmente il Contratto di quartiere, strumento urbanistico previsto e incentivato con appositi finanziamenti per riqualificare borghi o paesi in stato di abbandono, al fine di ottenere deroghe al Piano regolatore generale di Fiumedinisi di cui era sindaco e quindi consentire attività edificatorie ai privati, i quali intervenivano conferendo finanziamenti propri, tra cui società riconducibili ai membri della propria famiglia.

L’accusa era declinata in termini di abuso di ufficio.

Il Tribunale di Messina il 10 novembre del 2017, dopo alcuni anni di processo, pronunciandosi nel merito ha stabilito che Il Contratto di quartiere era uno strumento di cui legittimamente il comune di Fiumedinisi si poteva servire, avendone tutti i requisiti; che l’intervento dei privati era previsto dalla legge anzi dava maggiore credibilità al Contratto stesso e che nulla impediva che potessero parteciparvi pure imprenditori o società vicine a chi impersonava in quel momento il Comune: ovvero De Luca.

Il Tribunale lo ha così assolto.

Nell’ambito del Contratto di Quartiere era pure previsto che il torrente che attraversa Fiumedinisi fosse irregimentato al fine di proteggere l’abitato da eventuali esondazioni. Dapprima, fu prevista la costruzione di gabbioni di pietre. Successivamente, con perizia di variante, si decise di procedere con muri in cemento armato.

Le associazioni ambientaliste insorsero e la Procura contestò a De Luca di aver fatto illegittimamente la variante per favorire i privati (tra cui le società riconducibili alla sua famiglia) in modo che più agevolmente potessero costruire a monte le opere previste dal Contratto di quartiere.

L’attività istruttoria – come hanno motivato i giudici – ha permesso di accertare che le difese in cemento armato erano molto più efficaci per la pubblica incolumità di quelle con gabbioni e che comunque nessuna relazione ci fosse tra le difese spondali e le opere private a monte comunque già da tempo autorizzate dalla regione Sicilia.

Il Tribunale ha così assolto nel merito De Luca anche da questa accusa di abuso d’ufficio.

La concussione nell’interesse delle vittime

Nell’ambito di questa inchiesta, però, l’accusa più grave da cui De Luca doveva difendersi declinata in termini di Tentata concussione, era di avere fatto pressioni con violenza e minaccia ai danni di due cittadini proprietari di terreni su cui secondo il Contratto di Quartiere sarebbero dovuti sorgere delle opere per costringerli a vendere i terreni stessi, accettando l’offerta di acquisto nettamente superiore a quella che sarebbe spettata a titolo di espropriazione.

Il Contratto di quartiere, infatti, prevede l’espropriazione dei terreni per il caso in cui i proprietari non li cedono volontariamente.

La procedura espropriativa tuttavia in genere allunga i tempi.

Proprio per questo, Cateno De Luca, con il Contratto di quartiere e le procedure espropriative già avviate, nell’anno 2006 è intervenuto.

“Ci ha voluto incontrare e ci ha detto: “O lo cedete oppure vi verrà espropriato a prezzi molto più bassi di quelli che vi vengono offerti. Non pensate possiate fermare il Contratto di quartiere. Poi non venite a piangere“, hanno riferito agli inquirenti gli interessati, familiari di esponenti dell’opposizione politica a De Luca, i quali hanno anche raccontato di ritorsioni subite successivamente da parte dell’amministrazione.

Il Tribunale ha ritenuto che la condotta di De Luca non sia atteggiata né in termini di violenza né in quelli di minaccia né mai si siano verificati gli atti aventi natura ritorsiva e dunque ha escluso il tentativo di concussione.

I giudici hanno riconosciuto invece De Luca responsabile del reato, meno grave, di tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità.

In altre parole, De Luca – secondo i giudici – visto il ruolo di sindaco nel momento in cui ha prefigurato l’espropriazione ha posto in essere atti idonei a condizionare la libertà dei proprietari dei terreni, non avendo rilievo che il sindaco in realtà volesse orientare la loro condotta in senso anche per loro più vantaggiosa in termini economici, né che quest’ultimi proprietari al massimo potessero rallentare l’attuazione del Contratto di Quartiere, ma mai impedirlo.

Su queste ultime circostanze avevano molto insistito le difese per escludere la rilevanza penale della condotta di De Luca, ma non hanno convinto i giudici i quali hanno messo in rilievo che De Luca era sì portatore degli interessi del Comune ma anche delle imprese private a lui riconducibili e attori del Contratto di Quartiere.

Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto il reato prescritto e ha emesso sentenza di non doversi procedere.

La Procura ha fatto appello così come De Luca.

La pubblica accusa infatti chiede che venga riconosciuto il reato di tentativo concussione, che ha un termine di prescrizione più lungo: 10 anni.

Il deputato regionale che non venga ritenuto sussistente neppure il reato di Induzione indebita.

Cateno De Luca, se anche volesse, potrebbe raccogliere la sfida di Dino Bramanti e rinunciare alla prescrizione?

La risposta è no. La giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto è pacifica (ad esempio, Cassazione penale, sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4946, Cassazione penale sez.V, 06/07/2017, n. 40499): “In appello l’imputato non può rinunciare alla prescrizione dichiarata in primo grado”.

E in quale caso l’ipotetico sindaco De Luca potrebbe decadere?

Solo nel caso in cui la Corte d’appello accogliesse l’impugnazione della Procura e stabilisse che l’aver detto “accettate la somma che vi viene offerta se no avrete un danno economico”, integri gli estremi della violenza o della minaccia necessari per la concussione. De Luca in questo caso, nell’ipotesi in cui nel frattempo fosse eletto sindaco, in base alla legge Severino, decadrebbe da primo cittadino.

L’evasione fiscale “fatta a pezzi” dal Tribunale della Libertà

Non erano neppure passate 48 ore dalle elezioni a deputato regionale che Cateno De Luca, l’8 novembre del 2017, è stato arrestato per ordine del Giudice per le indagini preliminari, Monia De Francesco, che ha accolto in toto le richieste della Procura, avanzate 10 mesi prima.

L’accusa per De Luca è di essersi associato con altri collaboratori al fine di rappresentare nei bilanci di Caf Fenapi Srl passività inesistenti per personale, sedi e per servizi affidati ad altre società, in modo da abbattere gli utili e pagare meno tasse: un milione e 800 mila euro secondo la stima degli inquirenti negli anni compresi tra il 2009 e il 2012.

In altre parole, secondo gli inquirenti, il sindacato Fenapi e il Caf Fenapi Srl rappresentava in bilancio trasferimenti di denaro ai circoli territoriali che in realtà non avvenivano.

Il Gip De Rose, il 20 novembre del 2017, ha rivisitato la decisione della collega che il giorno dopo aver firmato l’ordinanza si è messa in maternità, revocando gli arresti domiciliari a cui era stato ristretto De Luca, e sostituendo gli stessi con l’inibizione a ricoprire cariche societarie.

Qualche giorno dopo, il 23 novembre del 2017, il Tribunale della Libertà ha letteralmente fatto a pezzi l’impianto accusatorio della Procura.

“Il compendio documentale e testimoniale mostra in maniera chiara che non c’è stata creazione di passività fittizia. Le passività ci sono e sono documentali: il Caf Fenapi Srl che incassava i contributi statali trasferiva effettivamente ai circoli risorse per pagare il personale e le sedi. E’ fuor di dubbio che i circoli svolgevano in effetti l’attività e non si vede come si possa pensare che in presenza di attività svolta dalle strutture territoriali per conto del Caf Fenapi Srl e del sindacato Fenapi questi incassassero e poi non sostenessero i costi di chi in concreto svolgeva l’attività produttiva”, ha motivato in sintesi il Tribunale del Riesame. “Peraltro – ha aggiunto il collegio – l’Agenzia delle entrate aveva considerato assolutamente legittimo lo stesso identico modo di contabilizzare le partite contabili tra Fenapi e Caf Fenapi Srl da un lato e i circoli e le società che erogano servizi per le due entità madri dall’altro per gli anni precedenti al 2009”.

La Procura ha fatto appello in Cassazione e confermando le accuse ha chiesto il rinvio a giudizio di Cateno De Luca.

Se De Luca diventasse sindaco e poi fosse prima rinviato a giudizio e poi condannato in primo grado e in appello per associazione finalizzata all’evasione fiscale comunque non ci sarebbe la decadenza da sindaco.

La legge Severino non la prevede per questo reato.

Comments are closed.