IL CASO: Gettonopoli, le udienze del processo sono pubbliche ma i carabinieri non lo sanno: “I giornalisti non possono entrare. Abbiamo direttive dal presidente”.

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la legge è uguale per tuttiNon può entrare. Aspetti che chiedo al presidente. La volta scorsa si è seccata quando le ho detto che c’erano i giornalisti che volevano entrare“.

Il processo è un processo penale, neppure tanto importante sotto il profilo squisitamente criminale, considerate le accuse e  gli imputati, e si svolge nell’aula bunker del carcere di Gazzi: è il cosiddetto processo Gettonopoli, che vede alla sbarra un gruppo di consiglieri comunali accusati di aver incassato gettoni di presenza  pur non partecipando effettivamente -secondo l’accusa – ai lavori del Consiglio comunale.

Nonostante il luogo, le udienze del processo penale (salvi casi eccezionali) sono pubbliche: tutti i cittadini vi possono assistere, i giornalisti ancor di più, considerato che oltre ad esercitare il diritto di ciascun cittadino, esercitano la libertà di informazione che costituisce il lato rovescio del diritto all’informazione della generalità dei cittadini.

E’ la legge a stabilirlo. E’ la Carta costituzionale a fondare questi diritti.

Eppure, gli ufficiali di polizia (carabinieri) in servizio giorno 21 aprile del 2017 all’entrata dell’aula, questi principi li disconoscono e non vogliono sentire ragioni, benché il cittadino/giornalista cerchi di spiegarlo.

Queste sono sue opinioni. Noi facciamo quello che ci ordina il presidente. La volta scorsa si è seccata. Abbiamo delle direttive. Aspetti che vado a chiedere al presidente se può entrare“, insiste uno di loro. Il presidente evocato dai carabinieri è Silvana Grasso.

Di ritorno dall’aula, dopo aver interrotto i lavori, comunica il responso: “Si, può entrare. Ma ci dia i documenti di riconoscimento”.

Nome cognome, data di nascita, ecc, ecc. Uno dei carabinieri annota tutto su un modulo. “Ecco qui, c’è pure la tessera di giornalista, per quello che può valere“.

Entrata libera? Nulla di tutto ciò.

Se vuole entrare ci deve fare vedere cosa ha nella borsa“.

Alla richiesta di perquisizione, come condizione per accedere a un’udienza pubblica, il giornalista risponde: “Bene: controlli pure nella borsa. Ma io rinuncio a entrare. Trovo intollerabile che per esercitare i miei diritti debba perdere 20 minuti della mia vita e mi debba sottoporre a procedure che ritengo illegali“.

E va via, seccato. O forse no: solo indignato.

 

 

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