Clientelismo spacciato per mafia. Paolo David messo alla gogna per reati di cui non è accusato. Ecco come opera la “matassa” della disinformazione

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La conferenza stampa dell'operazione Matassa

La conferenza stampa dell’operazione Matassa

E’ clientelismo, di basso livello, fatto di buste della spesa e di regali di 50 euro; e di livello poco più alto, fatto di ricerca di posti di lavoro a familiari di marescialli dei carabinieri e ispettori di polizia e di intercessione politica per tentare di avvicinare imprenditori alle istituzioni. Ma è stato spacciato per mafia.

A leggere l’ordinanza di misure cautelare, denominata Matassa e  firmata dal Gip Maria Teresa Arena non si capisce che ci faccia la foto del consigliere comunale Paolo David, fedelissimo di Francantonio Genovese e Franco Rinaldi, i due esponenti politici più importanti di Messina prima di essere azzoppati due anni fa dall’inchiesta sulla formazione, accanto a quelle di coloro che sono ritenuti esponenti dei clan mafiosi della zona sud della città.

Per Paolo David, infatti, non c’è nessuna accusa da parte dei magistrati della Procura, Liliana Todaro e Maria Pellegrino, di associazione per delinquere di stampo mafioso; nessuna accusa di voto di scambio politico mafioso. Non c’è documentata nessuna richiesta da parte sua di aiuto alla mafia. E le intercettazioni cui è stato sottoposto per mesi non hanno registrato alcun rapporto con nessun esponente dei clan.

Paolo David, infatti, intrattiene unicamente rapporti con Angelo Pernicone e Giuseppe Pernicone, imprenditori titolari di una società, il Consorzio sociale siciliano, perfettamente in regola con la legge tanto che partecipa e si aggiudica gare pubbliche.

Entrambi incensurati, sino all’alba del 12 maggio 2016 , quando sono stati arrestati con l’accusa di aver messo a disposizione la loro azienda per consentire l’inserimento lavorativo e la rieducazione di detenuti (disposto, comunque, dal Tribunale di Sorveglianza) che così hanno potuto godere di permessi per uscire dal carcere .

Per il papà Angelo Pernicone tanti anni fa era stata chiesta la misura cautelare degli arresti in carcere. Fu rigettata, e al termine del processo “Albachiara” fu assolto.

LE ACCUSE VERE.

Invece, il consigliere Paolo David è accusato di una serie di ipotesi di corruzione elettorale, consumate tra il 2012 e il 2013, in occasione di tre tornate elettorali (politiche, regionali e amministrative), il reato che compie “Chiunque, per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad altre persone, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Peraltro,  “La stessa pena si applica all’elettore che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità”.

Ma soprattutto David è accusato di associazione per delinquere finalizzata a compiere questo reato. Non solo, l’associazione viene ancora ritenuta operante anche se tornate elettorali non ce ne sono da tempo

E’ la contestazione di questo reato che porta David in carcere. Infatti, per i singoli episodi di corruzione elettorale, la Procura non può chiedere il carcere e non lo chiede.

Il bancario Paolo David finisce in carcere perché secondo le due righe di motivazioni del Gip Arena l’associazione è ancora esistente e c’è il pericolo che il reato, commesso nel 2013, ovvero 3 anni fa,  venga reiterato benchè non sono alle viste consultazioni elettorali, né politiche, né amministrative.

L’ASSOCIAZIONE FA I FAVORI

Secondo l’accusa si è associato con i due imprenditori Pernicone, padre e figlio, e con Giuseppe Picarella, chirurgo plastico molto noto a Messina quale titolare di alcune strutture sanitarie e centri estetici, e con la figlia Cristina.

I Picarella consentono a David di avere a disposizione delle aziende dove poter assumere. Infatti David ottiene l’assunzione, per breve periodi, di alcune persone su sollecitazione dei familiari di quest’ultimi.

Da David i Picarella ricevono l’intercessione politica (attraverso Francantonio Genovese) presso l’assessorato alla Salute, con il funzionario Marco Fiorella. La polizia non documenta che la facilitazione di questo rapporto avesse ad oggetto attività illecite.  “Si sono comportati con molta gentilezza”, riferisce Picarella a David. Null’altro.

David pur facendo parte di questa associazione unitamente ai Pernicone, fa la cortesia all’imprenditore di metterlo in contatto con il commissario del Consorzio autostrade siciliane Nino Gazzara. I Pernicone erano arrabbiati perché al Cas non riuscivano a vincere neppure una gara. Non l’hanno vinta neppure dopo l’incontro di David con Gazzara.

David benchè associato con i Pernicone e Picarella, dopo le elezioni, si prodiga per far assumere un familiare dei Pernicone presso una  società di Picarella, come operatore socio sanitario.

Le utilità che David prometteva erano le buste della spesa distribuite prima dell’elezione regionali nei quartieri più degradati della città. E una dazione di 50 euro.

Altre utilità erano una serie di promesse di aiuto per lavoro e per il disbrigo pratiche presso l’Inail, dove lavorava il fratello.

In molti casi, erano gli stessi interlocutori di David che lo chiamavano e chiedevano la cortesia dicendosi pronti a votare per lui. David si metteva sempre a disposizione. In alcuni casi faceva presente che era  candidato e che contava sul loro voto.

 

CLIENTELISMO ECCELLENTE

 

A David chiede aiuto il maresciallo Lorenzo Papale comandante della stazione dei carabinieri di Giostra che ha bisogno di un posto di lavoro prima per la consuocera e poi, dopo il rifiuto di questa, per la nipote. Lo stesso aiuto per lo stesso obiettivo, il posto di lavoro per un familiare, lo chiedono due appartenenti alla polizia, Stefano Genovese e Michelangelo La Malfa, i quali si spendono politicamente per David. “Michele parliamoci chiaro noi lavoriamo tutti per lo stesso fine che sarebbero i figli”, dice Paolo David a Michelangelo La Malfa.

 

LA MATASSA DELLA DISINFORMAZIONE

Paolo David non è accusato di mafia, neppure di concorso esterno. Eppure, la sua foto, scattata all’alba da fotografi insonni che si trovavano per caso nei paraggi, mentre esce dalla Questura, con a fianco due agenti, per essere accompagnato al carcere di Gazzi ha fatto il giro dell’Italia. E’ apparsa su tutti i giornali italiani. E’ stata mandata per due giorni in onda sui TG.

E’ lui per la stampa locale e nazionale l’emblema degli intrecci tra politica e mafia a Messina. Tuttavia, il consigliere comunale non è accusato di Mafia. E’ accusato di un reato comunque grave, certo. Lo stesso reato di cui è accusato il governatore della regione Basilicata, ad esempio.

Un reato che non commette nessuno in terra di Sicilia: infatti, tutte le assunzioni sono fatte per concorso pubblico, specie nelle cooperative sociali, e tutti coloro che fanno campagna elettorale a favore di questo o quel politico lo fanno per ideali e non perché si aspettano in cambio qualcosa (uffici stampa o incarichi di sottogoverno, compresi)

La corruzione elettorale è un reato grave perchè attenta alla democrazia e, soprattutto, alla dignità delle persone, che se la vendono per pochi spiccioli.

Ma mafia non è.

 

I MOSTRI DELLA MAFIA.

E allora perché metterci Paolo David tra 35 presunti mafiosi? Perché la notizia degli arresti è stata data (con chiara violazione del segreto istruttorio da parte di qualche inquirente) dalla giornalista della testata nazionale “La Repubblica” (che ha fatto il suo lavoro) prima che ne venissero a conoscenza gli arrestati?

Se l’operazione di polizia avesse portato in carcere presunti esponenti dei clan di Camaro, non ne avrebbe scritto e parlato neppure la televisione locale, con tutto il rispetto per gli inquirenti e gli arrestati, molti dei quali erano già in carcere. A parte Carmelo Ventura, gli arrestati sono personaggi di nessun livello.

Invece, è stato sufficiente mettere Paolo David accanto a esponenti della mafia con cui nulla aveva a che fare, sottolineando che era uomo di Francantonio Genovese, per creare la notizia e per far diventare protagonisti della notizia stessa, a reti unificate, magistrati, inquirenti e i giornalisti che si sono fatti latori di una notizia falsa.

E’ bastata una conferenza stampa presieduta dal Questore della città, Giuseppe Cucchiara, e dal capo del Procura, Guido Lo Forte, per amplificare la notizia fondata sul falso.

Si sono scatenati pure i politici antimafiosi, che senza conoscere le carte e sulla base di una notizia falsa, si sono avventurati in giudizi su cose di cui nulla sapevano.

La mafia, infatti, fa audience.

La mafia negli anni novanta faceva audience se in carcere finivano i boss. Adesso fa audience solo se accanto ai mafiosi viene inserito, non importa se giustamente o ingiustamente, un qualche esponente dello Stato o delle Istituzioni.

La mafia dentro lo Stato eccita i cittadini e li rassicura. Permette di vendere copie di giornaliE fornisce alibi. In fondo, se il sindaco Renato Accorinti e la sua amministrazione non sono capaci di risolvere i problemi dei cittadini la colpa è della mafia, la cui puzza ha subito sentito il neo assessore Luca Eller Vainicher, arrivato dal nord a Messina per sistemare i conti della città e non per risolvere i problemi dei depuratori puzzolenti o dell’immondizia putrescente per le strade.

La mafia fa audience e crea “mostri”.

La mafia genera o facilita carriere nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nella politica e nel giornalismo: quel giornalismo che non certo per caso, va acriticamente a braccetto con alcuni magistrati antimafia, magari poco impegnati visto che hanno tempo per scrivere libri e per stare ore in televisione.

Alla fine dopo anni, molti anni, si scopre che era tutto un bluff, ma la gente continua a credere che la verità è la falsità spacciata per verità tanti anni prima.

 

I PRECEDENTI

L’operazione Matassa e la relativa conferenza stampa ricorda, solo per fare un esempio, molto la conferenza stampa che annunciò all’Italia intera che era stato arrestato un emissario della ndrangheta che truccava gli esami di Medicina all’Università di Messina. Agli investigatori arrivarono i complimenti dell’allora ministro degli Interni e la notizia fece il giro dell’Italia. Ci voleva poco per capire che Montagnese fosse solo un millantatore.  E infatti il processo dimostrò, due anni dopo, che la ‘ndrangheta non c’entrava nulla e che Montagnese non sapeva neppure come si svolgesse un test di ammissione a Medicina.

 

La conferenza stampa Matassa, ricorda, per fare un altro esempio, la conferenza stampa in cui venne raccontato degli arresti di un gruppo di persone che avevano in corso una sorta di compravendita di un bambino rumeno. Le persone furono arrestate attraverso la contestazione di un reato che pacificamente non poteva essere contestato, come stabilirono successivamente prima il Tribunale della Libertà e poi la Corte di Cassazione.Intanto, però, per 30 giorni gli arrestati erano rimasti illegalmente in galera.

 

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