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Esce dal carcere ma non sa come riabbracciare il figlio di nove anni: il dramma lungo 70 giorni della donna rumena tenuta dietro le sbarre 30 giorni per un reato inventato

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disperazione mamma

Cerca l’elemosina ai semafori. Mangia alla mensa dei poveri. Trascorre la notte per strada  o nei dormitori pubblici. E nutre, con la forza della disperazione, una speranza: riabbracciare il figlio di 9 anni.

Ma non sa come fare. Non ha un euro in tasca, non sa leggere, né scrivere, non pronuncia una parola di italiano. Non sa neppure di preciso dove si trovi il figlio.

Chissà come sta, cosa gli è stato raccontato di me, di questa vicenda, dei suoi fratelli, di suo padre. Mio figlio deve sapere che non l’ho abbandonato, che non l’hanno abbandonato i suoi cari”, ripete con le lacrime agli occhi ai connazionali con cui condivide la vita di strada.

Trentasette anni, rumena, Dumitra (nome di fantasia) è stata separata dal figlio (e il figlio dalla mamma) la sera del 24 febbraio del 2014 quando è stata arrestata al porto di Messina dai carabinieri.

Il bambino con un provvedimento di due ufficiali di polizia giudiziaria, sentito il sostituto della Procura del Tribunale dei Minorenni che oralmente ha dato il suo assenso, è stato affidato in via d’urgenza e temporanea ad una comunità religiosa.

L’ARRIVO IN SICILIA

La donna era appena sbarcata in Sicilia a bordo di un’auto, proveniente dalla Romania.

Con lei il bambino di 9 anni e un altro figlio di 19 anni.

Ad accompagnarli due uomini italiani che erano stati incaricati – dietro il pagamento di 30mila euro – dai coniugi Lorella e Calogero Conti Nibali di Castell’Umberto di procurare un bambino: serviva per consentire loro di realizzare il sogno – diventato ossessione – di dare un fratellino al figlio disabile.

L’ossessione tormentava i coniugi residenti in Svizzera da un decennio: da quando, nel 2008, avendo – sempre in cambio di denaro – ottenuto la promessa di un neonato da adottare, all’anagrafe del comune di Castell’Umberto grazie ad un certificato di assistenza al parto falso avevano dichiarato la nascita di un figlio mai nato, Carmelo Luca Conti Nibali.

IL REATO INVENTATO

Dumitra, accusata di “Vendita di schiavo”, reato punito con una pena sino a 20 anni, è stata rinchiusa nel carcere di Piazza Lanza di Catania per ordine del Giudice per le indagini preliminari Maria Militello che ha accolto la richiesta dei sostituti della Procura di Messina, Liliana Todaro e Maria Pellegrino. Stessa accusa per il figlio maggiorenne, rinchiuso nel carcere di Gazzi.

Mamma e figlio maggiorenne sono stati messi dietro le sbarre benché fosse la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, citata dai pubblici ministeri e fatta propria dal Gip, ad escludere in maniera chiara che nel caso di cessione o acquisto di un bambino uti filii, ai fini dell’adozione come (in ipotesi) in questo caso, si potesse configurare il reato di “Vendita di schiavo” (vedi ampio servizio sull’intera vicenda).

Dopo trenta giorni di galera, il Tribunale della Libertà non ha potuto far altro che bocciare i due sostituti procuratori e il Gip (vedi articolo).

Entrambi i rumeni sono stati scarcerati. Il figlio maggiorenne se n’è tornato in Romania, in uno dei villaggi più poveri di Timisoara dove ci sono gli altri 10 fratelli, tra cui un bambino di 6 anni.

A Dumitra è stato imposto l’obbligo di firmare ogni giorno dai carabinieri.

Uscita dal carcere, è tornata a Messina, nella città dov’era stata separata dal bambino. Sperava così che l’incubo finisse con un abbraccio. Invece, dal 24 marzo 2015 Dumitra vaga per la città e vive di stenti.

“Continua a ripetere che non aveva nessuna intenzione di vendere il figlio e che in Italia è venuta solo per lavorare. Questo era l’accordo preso con l’unico italiano con cui aveva parlato”, riferisce il legale della donna, Alessandro Barbera.

LE CARTE RACCONTANO ….

Secondo l’accusa della Procura la mamma ha venduto il bambino in cambio della generica e orale promessa che gli avrebbero fatto una casa nuova in Romania.

Dumitra prima di partire dalla Romania ha parlato solo con Vito Calianno, l’emissario a Timisoara del tortoriciano Franco Galati Rando (da tempo in cerca di un bambino per i coniugi Conti Nibali, avendo da questi incassato denaro).

Le trattative sono durate alcuni giorni.

Il padre non vuole“, ha riferito Calianno, l’unico a conoscere il rumeno, dopo i primi contatti a Galati Rando. Quest’ultimo lo ha messo in guardia: “Se il padre non è d’accordo poi ci sono problemi… Vito“.

Calianno non demorde e dopo qualche giorno le cose si evolvono.

Dalla lettura delle intercettazioni emerge che la donna ricontattata da Calianno coglie l’occasione per maturare un progetto più serio e concreto: lasciare la miseria e cercare un’esistenza migliore, e poi in seguito portarsi gli altri figli dietro.

Calianno racconta a Galati Rando che la donna gli ha detto: “Io voglio stare in Italia, voglio lavorare, non voglio stare qua, abbiamo tanti bambini“.

Stando sempre alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche di Calianno, la donna oltre a volere un lavoro chiede pure di portarsi dietro pure un’altra bambina di 6 anni, affidando momentaneamente l’altra schiera di figli al padre e ai parenti.

Digli digli che gli fai mettere pure i denti“, suggerisce Galati Rando a Calianno.

Si si giusto… Ora gliello dico io. La faccio innamorare capito? Ma che cazzo me ne frega a me! Io devo fare la missione… io mi sistemo a vita“, risponde l’uomo barese.

La missione di Calianno è portare un bambino in Italia: solo per questo, in cambio, gli era stato promesso un lavoro stabile in Romania nell’albergo in cui già lavorava in nero.

Qualche giorno dopo l’intermediario pugliese, parlando al telefono con un amico, ha puntualizzato che la donna avrebbe lasciato il figlio solo “se la famiglia è brava…. Se il bambino sta…. vediamo… due giornate… se non sta ce ne torniamo indietro”.

Ma una mamma poteva realisticamente pensare che un bambino di 9 anni avrebbe accettato di separarsi dalla mamma e dai suoi affetti?

Dumitra non ha incassato neppure un euro e neppure un euro ha incassato il marito.

Alla fine con lei e il bambino di nove anni, insieme ai due emissari dalla Romania parte il fratello maggiore ma per lavorare.

Che lavoro c’è per quel ragazzo là, in Italia?”, chiede Calianno a Galati Rando. “Gli diamo in… in quell’azienda là, c’è dove ci sono i capannoni per caricare i vitelli, là, per tenere l’azienda… capito?”, lo rassicura l’interlocutore.

L’ACCUSA DI RISERVA

Secondo il Tribunale del Riesame che ne ha disposto la scarcerazione, alla donna al massimo potrebbe essere contestato (in un futuro processo, lontano dall’essere celebrato) il reato di concorso nel Tentativo di False attestazioni a un pubblico ufficiale (punito con pena da 2 a 4 anni).

Dumitra cioè – secondo questa ricostruzione – voleva e sapeva che all’arrivo a Castell’Umberto suo figlio avrebbe dato un volto al figlio virtuale dei coniugi Conti Nibali la cui nascita era stata dichiarata nel 2008.

Avrebbe dato il suo contributo morale agli Atti idonei diretti in modo non equivoco (richiesti per configurare il tentativo) posti in essere dai Conti Nibali e dai loro complici a ciò che si realizzasse questa operazione.

Dalle carte dell’inchiesta risulta, però, che Calianno, l’unico che ha parlato con la donna, nulla sapeva né dei coniugi Conti Nibali, né tantomeno del fatto che quest’ultimi, vittime dell’ossessione, avevano scambiato l’Ufficio anagrafe del Comune di Castel’Umberto per una sala giochi.

 

Bimbo rumeno acquistasi: il Tribunale della Libertà “riforma” Pm e Gip e ordina le prime scarcerazioni. Esclusi i reati più gravi, contestati nonostante la giurisprudenza della Cassazione contraria

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errori giudiziariNon c’è né Riduzione in schiavitù, né Alienazione o acquisto di schiavo. Il Tribunale della Libertà apre la porta del carcere per il fratello maggiore e annuncia la libertà per la madre del bambino rumeno di nove anni che – secondo gli inquirenti – era diventato oggetto di compravendita tra loro e i coniugi Lorella Conti Nibali e Calogero Conti Nibali di Castell’Umberto.

Il giovane diciannovenne ha lasciato il carcere di Gazzi nel pomeriggio di ieri 16 marzo. La posizione della mamma di 37 anni sarà verificata nei prossimi giorni: l’udienza del Riesame è stata infatti spostata. Tuttavia, vista la decisione del Tribunale della libertà, che ha bocciato in buona sostanza la qualificazione giuridica della vicenda (operata dai due sostituti della Procura, Liliana Todaro e Maria Pellegrino e sposata dai gip di Patti Ines Rigoli e di Messina, Maria Militello), il momento in cui anche la donna potrà lasciare il penitenziario catanese, appare molto vicino.

I due, fratello maggiorenne e mamma, sono in carcere dalla sera del 24 febbraio 2015, quando al porto di Messina i carabinieri hanno bloccato l’auto in cui viaggiavano alla volta di Castell’Umberto in compagnia di due intermediari e del bambino destinato ai coniugi di Castell’Umberto, che lo avrebbero adottato facendolo diventare un loro figlio. Da quella sera il bambino è stato affidato ad una comunità.

Ai due è stato contestato prima il reato Riduzione in schiavitù tentata dai due pubblici ministeri e dal Gip Di Patti; poi di Acquisto e Alienazione di uno schiavo consumata, secondo la collega di Messina, Maria Militello. La pena prevista va comunque da 8 a 20 anni di galera.

I giudici – a sostegno della loro tesi – avevano richiamato la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che però – sentenze alla mano, le stesse citate dai magistrati – aveva a più riprese affermato esattamente il contrario di quanto hanno sostenuto pm e Gip: e cioè che nel caso di compravendita di un bambino uti filius, cioè per l’adozione, non è configurabile né il reato di Riduzione in Schiavitù, né di Alienazione e vendita di uno schiavo. (Vedi articolo correlato che racconta la vicenda)

Se non fosse stato loro contestato un reato così grave, non li si sarebbe mai potuti mettere dietro le sbarre: la legge stabilisce che per poter mettere in carcere un indagato prima della condanna definitiva è necessario si proceda per un reato punito nel minimo con 5 anni di reclusione.

 

Il Tribunale della Libertà sulla base della nuova qualificazione giuridica dei fatti, che esclude un reato così grave, ha revocato il carcere per i due intermediari della compravendita arrestati in auto insieme ai due rumeni all’arrivo a Messina. Per Francesco Galati Rando (assistito dal legale Decimo Lo Presti), che – secondo gli inquirenti – aveva incassato 30mila euro dai coniugi acquirenti, e per il barese Vito Calianno (patrocinato da Alessandro Faramo), che non  aveva incassato neppure un euro, sono stati disposti comunque gli arresti domiciliari.

La posizione dei due intermediari è diversa da quelli della donna rumena e del figlio maggiorenne.

Il Tribunale della libertà, infatti, ha ritenuto che nei confronti di Vito Calianno e di Franco Galati Rando (tolta la grave imputazione di Alienazione di schiavo) sussiste, in ipotesi, il reato nella forma tentata di “False attestazioni ad un pubblico ufficiale di qualità proprie o di altri”, reato commesso da “Chi dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”.

Secondo il ragionamento del Tribunale, Calianno, che in Romania ha trattato con la mamma rumena, sapeva che il bambino una volta arrivato in Italia sarebbe stato dichiarato all’anagrafe come il figlio dei coniugi Conti Nibali. Il bambino rumeno avrebbe così dato un volto al bambino mai nato, ma la cui nascita era stata dichiarata il 27 gennaio del 2008: Calianno quindi, secondo questo ragionamento, ha posto in essere “atti diretti in modo non equivoco” a consentire che ciò accadesse. Stessa cosa

Nei prossimi giorni il Tribunale della libertà esaminerà la posizione degli acquirenti “Calogero Conti Nibali (in carcere) della moglie Lorella Conti Nibali (ai domiciliari) e di Vincenzo Nibali (in carcere), tutti assititi da Alessandro Pruiti. Quest’ultimo, cognato dei coniugi, affidò l’incarico di trovare un bambino da adottare a Francesco Galati Rando e Aldo Galati Rando (anch’egli in carcere).

Si parte da un dato che secondo la giurisprudenza della Cassazione era pacifico: il reato di Riduzione in schiavitù e Alienazione e acquisto di schiavo non è configurabile nel caso di compravendita di bambino uti filius.