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“Letale” ma non troppo, e solo per il 20% della popolazione: tra gli under 65 in otto mesi il Covid 19 non ha aumentato per nulla la mortalità. Il paradosso di un virus e della propaganda del terrore che lo usa per giustificare misure liberticide indiscriminate e disastrose per il futuro del Paese

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Il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte

 

Brandito come un mitragliatore dallo sterminato esercito di compiaciuti spargitori di paura, è uno dei dati salienti, l’unico obiettivo e matematico, da cui trae ora nuova linfa la propaganda del terrore.

E’ il dato sbandierato dagli eccitati sostenitori dell’azione del Governo di Giuseppe Conte ogni qual volta qualcuno si permette di sollevare dubbi sul modo irrazionale e isterico con cui si vuole affrontare l’epidemia di coronavirus nei giorni a venire: limitazione della libertà, sospensione della Carta Costituzionale, sacrificio dei diritti fondamentali della persona, blocco dell’istruzione, della giustizia e dell’economia e conseguente ipoteca sul futuro del Paese. Lockdown: tutto chiuso, tutti chiusi.

Insomma, la riedizione di quanto si è già fatto tra marzo e maggio scorsi.

Il dato è in un numero e in un confronto: 38 mila morti in più nei primi 8 mesi dell’anno 2020, rispetto ai morti (di media) dello stesso periodo dei 5 anni precedenti. Non contando i primi due mesi dell’anno 2020, in cui la mortalità è stata più bassa degli anni precedenti, si sono contati 46 mila morti in più tra il primo marzo e il 31 agosto del 2020.

Concordiamo in ipotesi, che il letale Covid 19 sia stato la causa principale e diretta  – quantomeno in termini di alta probabilità medico scientifica – di quel che si definisce “eccesso di mortalità”, benché nessuno medico legale lo abbia attestato e sia più di un sospetto che il terrore, il panico e l’isteria abbiano aumentato le morti.

E assentiamo anche (senza tuttavia poter essere del tutto d’accordo) su ciò che si sia trattato di un evento eccezionale mai capitato nella storia dell’ Europa dal dopoguerra in poi.

Ancora, in sintonia con i medici del Comitato tecnico scientifico ispiratori della strategia governativa, attribuiamo alla crescente curva dei contagi un valore assoluto e premonitore di un’analoga “ecatombe” imminente, senza stare tanto a disquisire, come autorevoli virologi (tra questi Giorgio Palù) sostengono si debba fare, se si tratta di persone soltanto positive (magari conteggiate più volte) ma non contagiose; e, soprattutto, se siano sintomatiche.

In ultimo, ammettiamo che il lockdown sia efficace oltre a impedire la diffusione anche a limitare realmente la letalità del virus (di un qualunque virus), benché ciò sia controverso anche tra gli epidemiologi: il virus non scompare perché ci si chiude in casa, né per questo diventa meno aggressivo, anzi semmai il contrario.

Una domanda però è necessario porla.

Alla luce dei dati ufficiali, sia quelli generali dell’intera Italia, sia quelli specifici della regione Lombardia, la regione più colpita con eccesso di mortalità avendone assorbito l’70% del totale, se oggi il virus “terribile” si diffondesse a tutta la popolazione italiana, quante probabilità in più avrebbero le persone di meno di 65 anni di morire rispetto alle probabilità che hanno avuto “di passare a miglior vita” negli anni scorsi?

La risposta è: zero. Si zero, proprio così.

Questo virus è così pericoloso, così aggressivo, così letale da causare la morte di 38 mila persone in più in 8 mesi, ovvero di media 5 mila circa in più al mese (circa l’1% dei 650 mila morti totali annuali), ma non ha (pur tenendo conto – a scanso di stupide obiezioni – alle minori morti per incidenti stradali e sul lavoro nel periodo di lockdown), minimamente aumentato la mortalità delle persone con meno di 65 anni, che rappresentano l’80% dei 60 milioni di italiani.

Persone che, lockdown o non lockdown, sono venute a contatto con il virus sicuramente in misura maggiore degli over 65.

Non è successo in Italia e neppure, andando ai dati disaggregati, in Lombardia; né in Veneto, in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna o Toscana, per citare le regioni che hanno contato nel 2020 più morti di quelle statisticamente attese.

Di più, il virus è così terribile che si è accanito prevalentemente sulle persone con più di 85 anni.

Questo dato che la propaganda del terrore non diffonde e la stampa ventriloqua del potere neppure cerca o, peggio, eclissa, è rinvenibile nei dati Istat, l’istituto di statistica italiano, relativi alla mortalità, suddivisa per fasce di età, dei primi 8 mesi del 2020 e, come termine di confronto, dei primi otto mesi degli anni precedenti.

Basta andare a leggerli e ad analizzarli.

I numeri non mentono

Dallo studio di questi dati pubblicati il 22 ottobre dall’Istat, emerge che questi 38 mila morti in più sono tutti suddivisi tra le tre fasce di popolazione over 65: 4 mila tra le persone tra i 65 e 74 anni, il 15% del totale di morti in eccesso; 10 mila tra le persone tra 75 e 84 anni (il 25%) e addirittura 24 mila (il 60%) tra gli over 85.

Stessa cosa in Lombardia: i morti totali in più rispetto agli anni precedenti sono stati 26 mila circa. Di questi 13 mila e 500 tra gli over 85, oltre il 50%; circa 9 mila, il 35%, tra i ricompresi tra i 75 e 84 anni; e 3 mila e 500, il 15%, tra coloro che avevano tra i 65 e 74 anni.

In Veneto, addirittura, l’eccesso di mortalità pari al 10% (circa 2600 persone), rispetto agli anni precedenti, è costituito per l’80% (2100) da persone con più di 85 anni.

Interrogativi di buon senso

Se il dato è questo e si badi bene è solo numerico e prescinde dalla condizioni di salute in cui si trovavano i deceduti (cosiddette malattie pregresse): sorgono diverse domande.

Può un virus che, dopo 8 mesi di lavorio, non ha affatto inciso sulla mortalità tra la popolazione non anziana essere considerato un virus terribile tale da determinare la più grossa psicosi ipocondriaca collettiva della storia dell’Italia?

Può un virus che ha lasciato indenni da qualsivoglia rischio di vita i bambini, i giovani, le persone di mezza età essere paragonato alla spagnola o alla peste o all’ebola?

Può diventare l’unico argomento di cui i media, alcuni finanziati con il denaro pubblico, gli showman, nani e ballerine trattano sempre nella logica del terrore 24 ore al giorno da 8 mesi?

C’è simmetria tra la propaganda del terrore e l’effettiva pericolosità del Covid-19?

E, soprattutto, c’è proporzionalità tra le misure adottate dal Governo e che si vogliono adottare nei prossimi giorni e i rischi effettivi che corre l’intera popolazione?

In altri termini, ha senso – secondo parametri di razionalità, certo – proteggere tutti indiscriminatamente e drasticamente, anche quelli che non corrono rischi, provocando un disastro economico, preludio di disordine sociale, riduzione del livello di benessere, della spesa sanitaria e conseguente aumento della mortalità futura?

O non sarebbe sufficiente e ragionevole provare a proteggere solo coloro che sono a rischio, ovvero gli over 65?

Per dubitare che il virus non sia terribile come lo si rappresenta, a chi non ha dimestichezza con i numeri e le statistiche, o soltanto non le conosce, basterebbe affidarsi al buon senso, alla ragione e al senso critico.

Dall’inizio della pandemia non c’è giorno in cui non si apprende dal ridicolo circo dell’informazione, di uomini politici, imprenditori, calciatori, ciclisti, tennisti, nuotatori, pallavolisti, attori, scrittori, vallette, positivi al Covid 19.

Risulta che uno di questi sia morto, sia finito in ospedale o abbia avuto semplicemente sintomi più gravi di un raffreddore?

Nessuno. Ah già, fa eccezione la nuotatrice Federica Pellegrini che con le sue dirette face book, segno che stava davvero male, riprese non a caso dai più importanti giornali italiani, ha raccontato che aveva perso per qualche giorno pure l’olfatto e il gusto.

La positività al Covid-19 diventa un evento “straordinario” in un paese in cui – secondo alcune stime- 5 milioni di persone sono entrate in contatto con il virus, che serve solo ad avere il titolo sul giornale. E a propagare altra paura.

Dopo qualche giorno il noto personaggio di turno, lo si trova di nuovo in pista, più in forma di prima.

I calciatori o gli atleti risultati positivi che fanno? Vanno al mare, in palestra, continuano ad allenarsi.

Persino Ronaldo….sostiene

Il campione della Juventus Cristiano Ronaldo, per 20 giorni lontano dai campi di calcio perché risultato continuativamente positivo al tampone che ricerca il Covid 19, ha fatto la sintesi: “Sto benissimo, non ho niente. Sono pronto a tornare in campo subito. Questi tamponi sono delle ca…te”, ha sbottato.

Al di là delle dichiarazioni di Ronaldo, c’è infatti un altro dato (ufficiale, dell’Istituto superiore di sanità), emerso in maniera però meno netta sin dall’inizio dell’emergenza, che indica come questo virus non sia terribile: il 95% di coloro che risultano positivi non hanno alcun sintomo. Neppure un raffreddore. Segno inequivocabile che il sistema immunitario sia in grado di tenere a bada agevolmente l’agente patogeno.

Il 4,5% ha sintomi severi, cioè è costretto a stare a letto una settimana, come capita spesso per le influenze stagionali; lo 0,5% è “critico”, ovvero viene ricoverato in terapia intensiva.

In effetti, lo 0,5%, dando per scontato che sia un dato affidabile, su possibili centinaia di migliaia di contagiati, diventano migliaia di persone da “intubare”, altra parola magica della propaganda del terrore, migliaia di posti letto di cui il sistema sanitario non dispone.

In assenza di dati certi (che non vengono diffusi, chissà perché) sulla tipologia (età e condizioni di salute pregresse) delle persone ricoverate in terapia intensiva e sull’esito del ricovero, altre domande sorgono spontanee.

Se l’isteria non guidasse, talvolta per mero opportunismo, l’azione delle istituzioni e della maggioranza della gente, qualcuno si sognerebbe di portare in ospedale e ricoverare in terapia intensiva persone di più di 80 anni con problemi respiratori?

Delle persone intubate, specie tra gli anziani, quanti escono vivi dai reparti di Rianimazione?

E, in ultimo, in che misura il terrore di Stato ha, da un lato, aumentato la domanda di sanità inappropriata contribuendo all’emergenza in cui si trovano – secondo quanto rappresentato dal Governo – gli ospedali e, dall’altro, ha per converso ridotto al lumicino la sanità ordinaria e preventiva, l’unica davvero efficace a contenere malattie e morti?

Coronavirus e propaganda del terrore, la Svezia senza lockdown piange gli stessi morti degli anni scorsi ma i giornali italiani continuano a rappresentare l’apocalisse nel paese scandinavo. I dati ufficiali dei primi 4 mesi dell’anno smentiscono gli scienziati “televisivi” e la stampa di regime

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I suoi cittadini hanno continuato a svolgere la loro vita normalmente: non sono state sospese le libertà fondamentali della persona e confini, scuole, negozi, uffici, aziende, persino bar e ristoranti sono rimasti aperti.

Ma la paventata ecatombe causata dal Covid 19, il virus terribile ma non tanto, letale ma  solo con chi è anziano e molto malato, in Svezia dopo 2 mesi di pandemia sinora non c’è stata.

I numeri anzi dicono tutt’altro.

Basta andare a leggerli. Sono pubblici, ufficiali e provvisori, dell’istituto di statistica svedese.

La Svezia nei primi 4 mesi del 2020 conta o, meglio, piange complessivamente 2661 morti di più (+ 8,8%) rispetto ai primi 120 giorni del 2019, ma solo perché lo scorso anno è stato quello con il tasso di mortalità più basso negli ultimi 5 anni.

Se si guardano le statistiche di due anni fa, si scopre un dato straordinario: nel periodo della pandemia da coronavirus sono morte 669 persone in meno dello stesso periodo del 2018 (- 2%).

Anche nel 2015 ci furono più decessi rispetto al virale 2020: esattamente 132 morti in più. Invece, si registrarono 267 morti in meno nel 2017 e 1250 in meno nel 2016, rispetto sempre al 2020.

I pronostici dei profeti italiani dell’apocalisse (i famosi scienziati televisivi Pierluigi Lo Palco e Roberto Burioni, giusto per fare due nomi), di coloro che hanno cercato in tutti i modi di denigrare la strategia svedese per legittimare nella “guerra” mondiale contro il virus “il modello italia”, il modello fondato sul terrore e sul lockdown (tutto chiuso, tutti reclusi), sono miseramente naufragati.

I media italiani, autori negli ultimi due mesi e mezzo della più imponente opera di disinformazione della storia della Repubblica al servizio della propaganda della paura, tuttavia non si danno per vinti neppure davanti all’evidenza.

L’attività di sistematica demolizione dell’approccio svedese alla pandemia basato sulla ragione, sul contemperamento dei valori e interessi in gioco, sul senso di responsabilità dei cittadini e anche sulla scienza vera (non quella dei salotti televisivi italiani), infatti non si arresta.

L’ultima opera di manipolazione… di una lunga serie

E’ di ieri 8 maggio del 2020 un articolo de Il corriere.it  dal titolo chiaro:  “Svezia senza lockdown. Molti morti. “Siamo stupiti“, ma dal contenuto e dal messaggio manipolato.

Per dimostrare che la strategia della Svezia è fallimentare si mettono in confronto i dati della Svezia con quelli di Norvegia e Finlandia, gli altri due paesi scandinavi che invece hanno adottato una strategia più restrittiva.

Più specificamente, si mettono a paragone i dati dei morti con/per/da coronavirus.

Un dato che ha ben poca rilevanza scientifica. Risente, infatti, dai criteri usati per il computo e la classificazione dei morti: se il tampone viene fatto a tutti i morti, come in Svezia; se nella lista dei morti si mettono tutti quelli positivi al Covid (come in Svezia) o, al contrario, solo quelli rispetto ai quali un medico attesti che il virus abbia avuto una efficacia causale importante (come in Norvegia o Finlandia).

Valutazione quest’ultima molto soggettiva visto che il coronavirus – a guardare i dati epidemiologici disponibili in Italia (fonte Istituto superiore di sanità) e negli altri paesi – nel 57% dei casi concorre alla morte di persone con più di 80 anni, solo nell’1% di individui di età inferiore a 50 anni e comunque nel complesso affette, nel 96% dei casi, da almeno una grave patologia diagnosticata in precedenza.

L’unico dato veramente importante e oggettivo è il numero totale dei morti in un periodo sufficientemente ampio, confrontato con identico lasso temporale degli anni precedenti: è solo questo che offre la misura della letalità di un virus o di una epidemia e, soprattutto, consente di valutare l’efficacia delle misure di contrasto adottate.

Questo dato attesta che sinora, nei primi 4 mesi dell’anno, nonostante il “non lockdown” in Svezia, contrariamente a quanto sostiene il corriere.it, trionfalmente ripreso da decine di siti, la mortalità totale non è aumentata.

Anders Tegnell, epidemiologo dell’Agenzia per la salute pubblica svedese, contrariamente a quanto si scrive nell’articolo del Il corriere, infatti non “è stupito” per i morti complessivi, ma per l’alta percentuale (sui 3000 totali) di decessi di persone positive al Covid nelle case di riposo, poiché le uniche misure minimamente restrittive di prevenzione che il Governo aveva assunto riguardavano queste strutture.

La stessa operazione di manipolazione l’ha compiuta il Fatto quotidiano, qualche giorno prima, il 6 maggio: “Coronavirus, nella Svezia anti-lockdown più di 2900 vittime: tasso di mortalità record dei Paesi nordici“, è questo titolo di un servizio dal tenore analogo a quello de il corriere.it.

 

Milena… anche tu? Che disastro

La Svezia è stata vittima anche di Milena Gabanelli: una delle più autorevoli giornaliste italiane. Contagiata dal virus della manipolazione, si è aggregata alla folta schiera dei colleghi.

Sempre dalle stesse pagine del corriere.it, il 28 aprile la giornalista ha firmato un servizio dal titolo “Morti Covid, tutte le bugie dell’europa. Ecco i dati reali“.

In questo servizio, la Gabanelli che usa uno studio dell’Ispi (Istituto studi politica internazionale) mostra che in Svezia nel 2020 c’è stato un aumento della mortalità del 20% e che questi morti in eccesso sono di più di quelli dichiarati come persone morte con coronavirus. Lo stesso discorso viene fatto per tutti gli altri paesi europei (qui non interessa).

Ma tutta l’impalcatura della ricostruzione si fonda su dati relativi a un lasso temporale di 20 giorni, tra il 20 marzo e il 10 aprile, e sul confronto con lo stesso periodo del 2019: ciò che è assolutamente incompatibile con una valutazione epidemiologica seria degli effetti di un’epidemia.

Il tasso di mortalità, infatti, è estremamente variabile di mese e mese e di anno in anno: quello che conta è la mortalità complessiva annua o comunque di un periodo lungo.

Eppure, i dati più completi e relativi a un arco temporale più ampio sulla Svezia sono ed erano disponibili anche per la Gabanelli e sono stati ignorati: al massimo attestano che vi sia stata una mortalità dell’8% in più rispetto all’anno scorso e non certo del 20%, e per contro del 2% in meno rispetto al 2018.

Una campagna spietata di delegittimazione

Questi due servizi rappresentano solo gli ultimi di una vasta campagna di manipolazione dell’informazione ai tempi della pandemia sulla Svezia (e sugli altri paesi che si sono mossi secondo principi di razionalità) che ha visto protagonisti oltre il Corriere e il Fatto quotidiano, La Repubblica e l’agenzia di stampa l’Ansa.

Il 16 aprile del 2020 due studiosi Monica Quirico e Roberto Salerno hanno illustrato su www.wumingfoundation.com come la stampa italiana avesse fino a quel momento artatamente manipolato tutta l’informazione sulla Svezia: “Gli eretici di Stoccolma. Come e perché la stampa italiana disinforma su Svezia e coronavirus“, il titolo di un articolo molto istruttivo.

Un tema da approfondire

La stampa italiana ha naturalmente cavalcato l’onda dell’apocalisse e della paura su cui si è fondata la strategia italiana, magari solo per opportunismo o per naturale abitudine a essere serva del potere. Questo è comprensibile.

Ma perché manipolare con pervicacia l’informazione al fine di gettare discredito sui paesi come la Svezia (e la Germania, sia pure in maniera meno radicale) che hanno scelto una strada diversa? E perché continuare a farlo ancora oggi, a 60 giorni dall’inizio dell’emergenza?

 

 

 

 

 

“L’emergenza sanitaria può essere gestita senza sospendere le garanzie costituzionali. Le libertà limitabili solo con legge o con decreto legge e non da Dpcm e ordinanze locali”. Il presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri fa sentire la sua voce contro le derive autoritarie dello stato di eccezione e sollecita la centralità del Parlamento

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L’ex presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri

 

Le norme della Carta Costituzionale sono chiare: i diritti fondamentali e le libertà possono essere limitate soltanto con legge approvata dal Parlamento, organo di rappresentanza democratica, e solo nei casi e per motivi specificamente previsti.

Invece, in Italia dall’inizio dell’emergenza coronavirus il Parlamento (grazie anche alla complicità dei suoi membri che, terrorizzati dalla possibilità di essere contagiati, si sono “autoeliminati”), è stato di fatto esautorato: tutte le misure di contenimento della diffusione del virus (e di compressione delle libertà e dei diritti fondamentali)  sono state delegate ai Dpcm, Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, ovvero a uno strumento monocratico che non è neppure tra le fonti del diritto ed è quindi sottratto alle forme di controllo per queste previste.

Con due decreti legge emanati dal Governo (il primo, n° 6 del 22 febbraio e l’altro, n° 19 del 25 marzo 2020) si sono indicate le misure che potevano essere adottate e poi si è rinviato al Dpcm il compito di farle divenire norme cogenti.

Il primo decreto legge neppure prevedeva che l’elenco delle misure fosse tassativamente determinato, anzi si dava carta bianca alle autorità di assumere anche provvedimenti diversi e più restrittivi.

Di più, si è consentito che questa grave compressione delle libertà fondamentali avvenisse ad opera di sindaci e di Presidenti delle regioni, che hanno (ab) usato dell’ordinanza contingibile e urgente.

Non si tratta di forzature di poco conto se si considera che le norme di contenimento del contagio da Covid-19″ abbiano intaccato valori e libertà quella personale (art. 13 Cost.), di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), di riunione (art. 17 Cost.), di religione (art. 19 Cost.), di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), nonché sul diritto-dovere al lavoro (art. 4 Cost.) e sulla libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).

Il tutto è stato realizzato in nome (o con il pretesto) dello stato di eccezione (o dello stato di terrore), con l’avallo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il silenzio pressoché unanime di giuristi e uomini politici.

Gaetano Silvestri, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex rettore dell’ateneo di Messina, non ci sta e fa sentire la sua voce autorevole, ferma e preoccupata per le sorti dello stato liberal democratico.

L’intero contributo è in un articolo pubblicato sul sito dell’Unicost, una delle associazioni di magistrati, da cui ci si permette di estrapolare le parti salienti.

Il giurista, innanzitutto, contesta la teoria dello stato di eccezione che lascia mano libera ai governanti, a chi comanda: pericolosa perché apre la via all’instaurazione di un regime opposto a quello democratico:

“Sul piano del diritto costituzionale, un primo equivoco, di carattere generale, è prodotto dall’affermazione che una situazione di emergenza richieda la sospensione, ancorché temporanea, delle garanzie, personali e istituzionali, previste dalla Costituzione. Non si deve sospendere nulla. (…..) Per fronteggiare lo stato di necessità, sarebbe sufficiente applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale, senza vagheggiare revisioni e tirare in ballo la sempre fascinosa teoria di Carl Schmitt sulla sovranità che spetta a chi comanda nello stato di eccezione”, scrive Silvestri.

Lo stato di eccezione preludio delle dittature

L’ex presidente della Corte costituzionale non nasconde la sua preoccupazione e avverte sui gravi rischi che corrono le libertà e i diritti di ciascun cittadino: “Lo stato di eccezione schmittiano – di questi tempi spesso evocato – presuppone invece uno spazio vuoto, deregolato e riempito dalla volontà del sovrano, inteso come potere pubblico liberato da ogni vincolo giuridico e capace di trasformare istantaneamente la propria forza in diritto. Tutto ciò non è ipotizzabile nell’Italia repubblicana e democratica, mentre sarebbe ben possibile sul piano dell’effettività storica se, anche sulla base di equivoci non chiariti, si accedesse all’idea di un salto extra-sistematico verso un ordinamento giuridico-costituzionale opposto a quello vigente e paradossalmente introdotto da quest’ultimo. Sembra che molti non si avvedano di evocare scenari di questo tipo. Peggio ancora nell’ipotesi che se ne avvedano!”.

La gestione dell’emergenza è stata infatti caratterizzata da “sfregi” autoritari alla Carta fondamentale, specie nella prima fase, cioè sino all’adozione del decreto legge del 25 marzo.

Quest’ultimo provvedimento pur avendo questa finalità non ha impedito ai presidenti delle regioni e ai sindaci di adottare provvedimenti che danno “luogo a normative anche fortemente differenziate non solo per obiettive necessità di adeguamento a situazioni locali, ma anche per pura polemica politica con il Governo nazionale o per smania individualistica di visibilità, in vista del possibile, successivo sfruttamento elettorale”, chiosa Silvestri, che giudica “tristi e squallide” queste manovre.

La centralità del Parlamento

Per Silvestri quindi si impone il rispetto della Costituzione all’interno della quale ci sono gli strumenti e le procedure per affrontare l’emergenza senza travalicare la cornice disegnata dai costituenti:

“Si potrebbe dire che, nel momento attuale, di fronte alla necessità di salvare la salute e la vita stessa delle persone, l’osservanza delle regole istituzionali slitta in secondo piano. Sarebbe asserzione ineccepibile, se non fosse possibile ottenere gli stessi risultati senza “sospensioni”, in tutto o in parte, della Costituzione” osserva Silvestri.

Che indica anche la via dell’unico strumento che può e deve essere usato: il decreto legge e, quindi, il pieno coinvolgimento del Parlamento, chiamato a convertire il decreto stesso e a controllare la necessità, l’adeguatezza e la proporzionalità delle misure decise dal Governo:

“Oggi più che mai è necessario riaffermare, senza tentennamenti – scrive Gaetano Silvestri – che qualunque limitazione di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione o disciplina restrittiva della generale libertà dei comportamenti – anche sotto forma di istituzione o ampliamento di doveri – deve trovare il suo presupposto in una statuizione di rango legislativo – legge formale o atto con forza di legge – perché, in un modo o nell’altro, la limitazione stessa possa essere assoggettata al vaglio del Parlamento. (…). Ne deriva che, nelle ipotesi di emergenza, lo strumento, non surrogabile, da utilizzare per interventi immediati, è il decreto legge (art. 77: «In casi straordinari di necessità e urgenza…»)”, afferma il giurista.

Il pretesto della lentezza

L’ex rettore dell’ateneo di Messina replica preventivamente alle possibili obiezioni circa la lentezza dei lavori e delle decisioni della principale istituzione democratica e le difficoltà di riunione dei parlamentari:

“Sarebbe aberrante che l’unico rimedio fosse l’irrigidimento autoritario dello Stato. Il pericolo tuttavia esiste, giacché – è inutile negarlo – è rimasta in vita in una parte della popolazione la cultura politica che accompagnò la nascita e l’affermazione del fascismo: disprezzo per il Parlamento ed i suoi “riti”, culto del capo. A poco varrebbe obiettare che spesso queste tendenze si manifestano in forme farsesche e quindi non temibili. Al contrario, l’incapacità di percepire il proprio stesso ridicolo è stata una componente dell’appoggio di massa alle dittature moderne.

Osservando quanto si è verificato nella prima fase della crisi da covid-19 sottolinea Silvestri – si ha la conferma dell’assoluta necessità che la democrazia sia saldamente presidiata da organi di garanzia, quali il Presidente della Repubblica (così come è configurato dalla Costituzione italiana) e la Corte costituzionale. Non sorprende che la venatura autoritaria della cultura politica italiana favorisca continui attacchi contro di essi”.

Se Silvestri boccia il collega Ruggeri e il sindaco De Luca

Il presidente emerito della Consulta non si esime, sia pure con garbo e stile, a esprimere la sua opinione su uno dei casi più clamorosi di violazione della Costituzione ad opera di un sindaco: la chiusura dello Stretto di Messina da parte di Cateno De Luca, oggetto di duro intervento di annullamento da parte del Governo e di feroci polemiche.

A sostegno della bontà giuridica e compatibilità costituzionale della decisione del sindaco De Luca era sceso in campo il costituzionalista Antonio Ruggeri, ordinario di diritto Costituzionale nell’ateneo di Messina, con una lunga disquisizione ospitata dall’unico quotidiano cartaceo di Messina.

Silvestri la pensa in maniera opposta al collega Ruggeri e spiega il perché in poche righe:

“In ogni caso, nessuna legge autorizzativa potrà mai consentire ad una Regione (a fortiori ad un ente locale) di emanare norme che impediscano o ostacolino la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, in palese dispregio del primo comma del citato art. 120 della Costituzione, come purtroppo in qualche caso si sta verificando. Un blocco di transito da una Regione ad un’altra ha una rilevanza nazionale per diretto dettato costituzionale. Sempre e comunque è necessario un provvedimento statale. La Repubblica «una e indivisibile» (art. 5 Cost.) non può tollerare che parti del territorio e della popolazione nazionali si pongano in contrapposizione tra loro. Vi osta, oltre che il principio di unità nazionale, anche il principio di solidarietà (art. 2 Cost.), inconciliabile con qualunque chiusura egoistica o particolaristica. Chiudere si può e si deve, se la situazione concreta lo impone, ma solo se si valuta l’impatto nazionale di provvedimenti così incisivi su princìpi supremi (unità e solidarietà), dai quali dipende l’esistenza stessa della Repubblica democratica”.

 

L’intero contributo è rinvenibile al seguente link: https://www.unicost.eu/covid-19-e-costituzione/

Coronavirus, tra il giornalismo del terrore e lo sciacallaggio: la testata dell’addetto stampa (occulto) della Uil sanità Davide Gambale brucia tutti e dà la notizia dei primi morti a Messina. Ma era solo eccesso di ansia. Il ruolo criminale della stampa

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due morti bis
Chi darà in anticipo sugli altri la notizia del primo morto con/ di/per il coronavirus a Messina?

L’ansia tra i giornalisti è spasmodica.

Man mano che, ineluttabile, il virus si diffonde tra i messinesi, fiaccati da giorni intensi di caccia all’untore, il nervosismo cresce.

Il morto però non arriva.

Ecco allora che ci pensa il giornale del principe (celato, ma non troppo) degli addetti stampa messinesi, Davide Gambale, Messsinaoggi a trovare la soluzione: inventa i morti e brucia tutti.

Ultim’ora: Due morti al Policlinico di Messina. E poi i dettagli: erano nel padiglione H e sono deceduti a due ore di distanza uno dall’altro.

Dare per primi questa notizia è quasi come scoprire che il ciuccio non vola. Da premio Pulitzer. Per la testata dell’ attuale (e da almeno 4 anni) addetto stampa (di nascosto) della Uil sanità, ex di Confcommercio Messina e della deputata nazionale fedelissima di Francantonio Genovese, Tindara Gullo (incarichi tutti mantenuti mentre è a capo di una testata giornalistica), valeva proprio la pena rischiare, risparmiandosi una semplice e obbligata verifica.

D’altro canto, il giornale on line del candidato (bocciato) nella lista a sostegno di Dino Bramanti, uno dei sindaci perdenti alle ultime amministrative del 2018 perché avrebbe dovuto preoccuparsi dell’effetto deflagrante che una falsa notizia di questo tipo poteva produrre tra i cittadini di Messina?

L’articolo è stato rimosso dopo poco tempo, ma un lettore, Mario Ansando, ha avuto la possibilità di postare un commento: “Ma perché fare questi articoli inutili, scrivete pure che sono stati travolti due gatti in tangenziale!! Che SCIACALLI CHE SIETE PER QUALCHE CLICK IN PIU’ !!!”, ha scritto.

Il terribile virus Covid 19, che terribile non è, sta impegnando molto i giornalisti. Tutti i giornalisti, nazionali e locali, che in effetti stanno dando “il meglio” di loro.

“Caro lettore, da tre settimane i giornalisti di questo giornale ed i colleghi delle altre redazioni lavorano senza sosta, giorno e notte, per fornire aggiornamenti precisi ed affidabili sulla emergenza CoronaVirus”: questo si legge su molte testate che cercano così approfittando del momento di terrore di “scroccare” oboli e abbonamenti.

E ne hanno ben donde.

Il loro ruolo in questa incredibile vicenda di emergenza virus che ha messo in ginocchio il paese è stato decisivo. Salve rarissime eccezioni, dis(utili) idioti. Ventriloqui maldestri di dati diffusi dalle autorità pubbliche, senza alcun senso critico.

Amplificatori di terrore. Al servizio di chi esercita il potere: altro che cane da guardia.

Messinaoggi, diretto formalmente da Nuccio Carrara, ha dato la notizia falsa dei primi morti a Messina: morti con il coronavirus, non morti per il coronavirus o di coronavirus, com’è chiaro ed evidente se solo si leggessero i dati ufficiali e si usasse un decimo del cervello di cui gli umani sono geneticamente dotati.

Ma una sua degna collega ha dato la notizia (anche questa falsa) del primo sospetto caso di coronovirus a Messina, sempre al Policlinico. Era il 22 febbraio.

Un sospetto caso è una notizia? Quanti sospetti casi di malattie contagiose ci sono ogni anno, ogni giorno?

Ovviamente sospetto era, e sospetto rimase.

Come sospetto e infondato, tanto per capire quali siano i meccanismi che regolano la disinformazione, fu un caso di ebola (virus davvero letale per gli essere umani) a marzo del 2015 sempre al Policlinico.

La notizia campeggiò per ore su tutti i più importanti giornali d’Italia. Era un falso sospetto, una non notizia: un senegalese con evidenti disturbi psichiatrici si era presentato al Pronto soccorso in stato delirante: “sono malato di ebola”. Il familiare di un paziente lo sentì, chiamò la sua amica giornalista, che non fece alcun controllo.

Dopo 20 minuti tutti gli italiani sapevano che in Italia era sbarcato il terribile virus che stava decimando la popolazione africana, finalmente: una manna per i giornalisti delle sciagure inventate. Materiale con cui riempire pagine e pagine di giornali.

Ma l’illusione durò poche ore. Perché i professionisti della paura potessero finalmente alimentare di carburante la macchina del terrore si è dovuto aspettare 5 anni esatti, il marzo del 2020. La complicità di governanti inadeguati ad affrontare razionalmente un aumento di domanda sanitaria in una regione d’Italia non è, non può essere una scriminante.

I morti veri (non quelli falsi di Messinaoggi) arriveranno purtroppo pure a Messina, come in tutte le regioni della penisola, man mano che il virus si diffonderà tra le uniche categorie di persone fragili le cui condizioni di salute il virus potrebbe far precipitare: anziani e malati, magari ricoverati negli ospedali e nelle case di riposo. Che in tutta questa sconclusionata, strillata e angosciante lotta senza quartiere al contagio guidata a Messina dal sindaco De Luca (e in altre città da suoi omologhi eroi), sono stati lasciati senza alcuna protezione.

 

“Premiata forneria De Luca”, il sindaco sforna a ciclo continuo ordinanze liberticide. E illegali. L’aiuto prezioso della “panettiera” giurista Dafne Musolino, che propina “sauri per ope”. Il silenzio della classe dirigente infettata dal virus dell’opportunismo

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Cateno De Luca a caccia di virus

il sindaco Cateno De Luca

 

Una persona che corre da sola per la città può contagiare o essere contagiata da qualcuno?

Un individuo che fa una passeggiata o qualche chilometro in bici da solo per prendere aria, magari con mascherina e guanti, può infettare o essere infettato da qualcuno?

Ridurre gli orari di apertura dei supermercati riduce la possibilità di contagio, o piuttosto favorendo gli assembramenti all’esterno non la aumenta?

Se solo si usasse il cervello la risposta a queste domande sarebbe ovvia.

Ma il sindaco della città di Messina, Cateno De Luca a questi semplici elementari quesiti risponde secondo criteri diversi dalla logica e dalla ragione: i criteri della macchina del terrore, della sua irrefrenabile smania di protagonismo e della propaganda.

Assistito dalla giurista assessora Dafne Musolino sforna ordinanze contingibili e urgenti liberticide come se fossero cornetti. Provvedimenti non solo inutili (se non disutili), ma anche contrarie alla Costituzione e alla legge. Inutilmente liberticide.

E’ più forte di lui: in materia di contenimento delle diffusione del coronavirus deve dire la sua. Deve mostrare che fa qualcosa, che lui la sa più lunga del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, del presidente della regione Nello Musumeci, di tutti gli altri sindaci d’italia.

Non pago del fatto che la prima ordinanza “coprifuoco” del 12 marzo palesemente illegittima gli sia stata bocciata il giorno dopo dal ministero degli Interni e dal prefetto di Messina Maria Carmela Librizzi, ieri sera 18 marzo è tornato alla carica con un’altra ordinanza coprifuoco bis.

Nella sostanza la riproduzione di quella bocciata lo scorso 13 marzo: i messinesi hanno divieto assoluto di uscire di casa, i soli in tutta la penisola.

Neppure in Lombardia, o in Emilia, dove i contagi si contano a migliaia se non a milioni, esiste questo divieto: non previsto dal Governo nazionale per una ragione semplice e banale che attiene al ragionevole bilanciamento dei valori in gioco. Il contenimento della diffusione del virus può giustificare la limitazione delle libertà garantite dalla Costituzione solo laddove sia strettamente necessario e a lungo andare non produca effetti controproducenti. Non è correre o passeggiare solitari che diffonde il virus, ma entrare a stretto contatto con altri essere umani. Infatti, è stato sancito il divieto assoluto di assembramento.

Ma questo elementare concetto De Luca non lo vuole comprendere: è come il padre di famiglia che mostrando i muscoli (e solo quelli) per evitare che il figlio prenda brutte compagnie a scuola lo tiene chiuso in cantina.

D’altro canto, se lo comprendesse come potrebbe (fare finta di) proteggere i suoi amati cittadini?

Non lo comprende lui e non lo comprende la gran parte dei cittadini (i figli, per rimanere alla metafora): le vittime. Terrorizzati da un virus dipinto come letale da un giornalismo criminale e da politici inadeguati (non certo solo da De Luca che comunque dà il suo apporto), si sentono da lui protetti e sono disposti pure a rimanere inutilmente chiusi in cantina. Impauriti. Ostaggi innamorati del custode. Da manuale della propaganda del terrore: atterrire per poi soddisfare il bisogno di protezione.

Ma cosa è cambiato negli ultimi 5 giorni, dal momento della bocciatura della prima ordinanza? Cosa ha fatto tornare nelle mani di De Luca un potere che non aveva?

Lo ha spiegato la giurista Musolino nel corso del consueto show della sera in diretta facebook, lo spettacolo di (tragica) comicità più seguito ai tempi del coronavirus. Un esempio di come solleticando i bassi istinti della gente si ottenga il consenso: “E’ di oggi un decreto del presidente del Tar campania che ha rigettato il ricorso avverso un’ordinanza contingibile e urgente del presidente della regione che limitava “l’attività sportiva all’aperto”, sulla base del principio che la tutela della salute debba prevalere su tutto.

Quindi – inferisce la giurista prestata alla politica –  le libertà dei cittadini possono essere ulteriormente limitate, rispetto alle già stringenti misure adottate dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Tutti ammutoliti, salvo delle piccole sparute minoranze: giuristi presunti sciatori, politici finti oppositori, intellettuali servi nell’anima.

Beh, c’è un decreto del presidente del Tribunale amministrativo regionale della Campania: questa volta De Luca è blindato.

Il decreto cautelare di un Presidente del Tar, uno dei 20 d’Italia, non è certo una sentenza a sezioni unite della Corte di cassazione.

Ma se anche avesse questa straordinaria valenza, una domanda secca disvelerebbe la manipolazione.

Cateno De Luca è presidente della regione? Qualcuno ha mai  messo in dubbio che il presidente della regione potesse adottare misure maggiormente restrittive rispetto alle norme del Governo nazionale della libertà delle persone se ciò fosse ritenuto necessario per contenere la diffusione del virus?

Certo che no.

Infatti, il presidente della regione Sicilia, Musumeci ha già adottato provvedimenti di questo tipo: uno di questi l’ordinanza numero 3 del 8 marzo del 2020 creerà non pochi grattacapi al gruppo di professionisti sciatori andati da Madonna di Campiglio e tornati ai primi di marzo, omettendo irresponsabilmente di autodenunciarsi e mettersi in quarantena.

Che c’entra allora il decreto del Presidente del Tar Campania, che si riferisce ai potere del presidente della regione, con i poteri del sindaco?  Evidentemente nulla.

Si tratta solo di manipolazione di bassa lega. La confusione tra “sauri e ope” che ai tempi del terrore (ingiustificato, ma questo è altro tema), diventa verità giuridica.

Il sindaco è altro da un Presidente della regione.

Quest’ultimo può aver conservato (e la cosa sotto il profilo costituzionale è opinabile) il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti con misure più stringenti per contenere la diffusione del Covid 19; al sindaco sicuramente questa prerogativa è stata appositamente sottratta.

La legge,o meglio il decreto legge n° 9 del 2 marzo del 2020, uno dei provvedimenti principali dettati dal Governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus stabilisce in maniera chiara:

coronavirus art 35 legge

 

Il riferimento è solo alle ordinanze sindacali (che diventano inefficaci e non possono essere adottate), e non al caso completamente diverso di quelle del presidente della Regione.

Prima che intervenisse questo decreto legge era stato emanato il decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6:  disponeva che (genericamente) le autorità competenti (quindi in astratto sindaci e presidenti della regione) avessero “facoltà di adottare ulteriori misure (rispetto a quelle fissate nella stessa legge e delegate al capo del Governo) al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Con l’articolo 35 decreto legge successivo questo potere è stato esplicitamente tolto ai sindaci. Che in ogni caso, le ordinanze contingibili e urgenti previste dall’articolo 50 del Testo unico enti locali le possono adottare solo per fare fronte ad “emergenze sanitarie di tipo esclusivamente locale”: tale non è di certo l’emergenza coronavirus.

C’è anche per questo una ragione sostanziale: affrontare un problema nazionale in maniera uniforme, evitando la babele che si verificherebbe se ognuno degli ottomila sindaci d’Italia pensasse di emulare De Luca.

Illegale e inefficace era la prima ordinanza coprifuoco; illegale e inefficace è questa seconda.

Cateno De Luca aveva violato la legge e la Costituzione il 12 marzo, e le ha nuovamente violate ora.

Nessuno può essere tenuto a fare applicare un’ordinanza illegale, nessuno è tenuto a rispettarla, nulle sono le sanzioni eventualmente applicate.

Il prefetto Librizzi, intervenuto 5 giorni fa per bloccare un provvedimento identico a questo, può non intervenire ora?

A fronte dell’ennesima sortita liberticida (e inutile) di De Luca ci si sarebbe aspettata una pronta sollevazione da parte di almeno uno dei membri della classe dirigente di questa città, dei tanti uomini di diritto che annovera, della presa di posizione di qualche parlamentare nazionale o regionale.

Magari di chi, come Pietro Navarra (giusto per fare un esempio), per anni a capo della più importante istituzione culturale di Messina quale rappresentante (in teoria) della parte progressista della città è stato eletto alla Camera dei Deputati e da allora è scomparso. Niente. Il silenzio. Tutti in quarantena: a coltivare il proprio orticello dell’opportunismo. O semplicemente a sciare.

Ordinanza “coprifuoco” e sciacallaggio, il flop di Cateno De Luca. Il provvedimento è palesemente nullo, ma il sindaco insiste e terrorizza ipotizzando scenari apocalittici: ” A Messina pochi posti di Terapia intensiva”.

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Il sindaco in mascherina Cateno de Luca

Il sindaco in mascherina Cateno de Luca

Non occorreva la scienza di un giurista per capire che il sindaco Cateno De Luca non potesse adottare l’ordinanza “coprifuoco” sbandierata con l’orgoglio esibizionista di un podestà nelle trasmissioni Rai di ieri e sui giornali di mezza italia.

Il ministro degli Interni e il Prefetto, rappresentante del Governo a Messina, ci hanno messo poco a rilevarlo..

Bastava avere un minimo di cognizioni giuridiche, quelle elementari della scuola superiore, per comprendere che al sindaco mancava completamente il potere di adottare l’ordinanza con cui ha superato (in senso restrittivo per i cittadini) la legge e i decreti attuativi del presidente del Consiglio dei ministri varati per fronteggiare l’emergenza coronavirus.

Sarebbe stato sufficiente, innanzitutto, conoscere (tanto per citarne uno) l’articolo 16 della Costituzione per il quale la libertà di circolazione può essere limitata solo con legge.

Qualunque fosse il contenuto dell’ordinanza cosiddetta contingibile e urgente, anche se per ipotesi avesse recepito completamente il contenuto dei decreti (e nel caso di specie non è assolutamente così), De Luca non aveva alcun potere di adottarla, punto e basta.

E per due ragioni.

La prima: la legge che prevede la possibilità di limitare le libertà dei cittadini per fronteggiare il coronavirus stabiliva che eventuali ordinanze dei sindaci potessero avere efficacia sino all’entrata in vigore dei decreti del presidente della Repubblica.

La seconda: in ogni caso il Testo unico enti locali, all’art. 50, offre la possibilità di ordinanze contingibili e urgenti per fare fronte a situazioni di emergenza sanitaria ,solo se si tratta di problematiche squisitamente locali, cioè che non è sicuramente l’emergenza coronavirus. C‘è una ragione di fondo di logica e di buon senso. Anche a voler sorvolare su un principio fondamentale dello Stato liberaldemocratico, ovvero che la libertà personale possa essere solo limitata per legge. Qualcuno può immaginare  provvedimenti così delicati con ripercussioni gravi sulle libertà della persona, che a fronte dello stesso problema nazionale a Messina valgono, a Villafranca no e poi a Milazzo assumono altre forme?

Ora, De Luca appresa la bocciatura del Viminale e del prefetto di Messina, insiste e annuncia che andrà avanti, ma è chiaro, lo era già prima, che un provvedimento completamente illegittimo, in carenza assoluta di potere, non obbliga alcun cittadino a rispettarlo e obbliga per contro gli agenti di polizia municipale a non eseguirlo, salvo che non vogliano incorrere in responsabilità penale.

Per il sindaco i provvedimenti del Governo, che limitano come mai nella storia della Repubblica italiana la libertà dei cittadini per fronteggiare una situazione di emergenza ingigantita in maniera ingiustificata a tal punto da farla diventare terrore, sono “acqua fresca”.

Saranno acqua fresca, ma lui il sindaco ha giurato di essere fedele alla Costituzione e di rispettare le leggi della Repubblica e nel caso di specie di questo giuramento pare si sia dimenticato.

Ma la condotta spregiudicata del sindaco è ancora più grave perché se n’è dimenticato in un momento particolarmente delicato, strumentalizzando e aggravando lo stato di paura e ansia in cui tutti gli italiani sono stati piano piano, giorno dopo giorno, portati.

“Se si diffondesse il virus a Messina non ci sono sufficienti posti letto in Rianimazione. Ce ne sono solo 10, 44 in tutta la Regione”, ha affermato in una delle tante dirette facebook e facendo così credere ai suoi amati cittadini che sono particolarmente sfortunati e che se li beccasse il virus non avrebbero scampo.

Si tratta di affermazione fondata su dati non del tutto corretti e su scenari al momento ragionevolmente non ipotizzabili.

Il Policlinico universitario ha 22 posti ordinari di Rianimazione; sono stati già portati a 30 e entro marzo saranno totalmente dedicati al coronavirus.. Altri 20 posti sono al Papardo. Nell’azienda universitaria un intero padiglione, l’H,  è stato già svuotato e sarà dedicato agli eventuali contagiati di coronovirus che non avranno bisogno di terapia intensiva.Senza contare la presenza di un’altra azienda ospedaliera, l’Irccs Neurolesi Piemonte.

In ogni caso, lo scenario apocalittico che rappresenta De Luca non ha alcun appiglio epidemiologico, a Messina e provincia tutt’altro che allarmante se si tiene conto che sono già in atto misure di contenimento del contagio senza precedenti: ci sono solo 8 positivi e 4 di questi non sono neppure ricoverati.

De Luca non si è ancora accorto – e forse qualche giurista che circola sempre appresso a lui facendo incetta di incarichi di sottogoverno farebbe bene a ricordarglielo – che sempre secondo Testo unico Enti locali tanto sbandierato ma solo nella parte in cui gli attribuisce poteri, c’è una norma all’articolo 142: “Per atti contrari alla Costituzione e gravi e persistenti violazioni di legge con decreto del presidente del Consiglio il sindaco può essere rimosso”.

Non che ci sia un ministro capace di tanto, specie ai tempi del coronavirus in cui della Carta costituzionale è stata fatta carta straccia.

Qualcuno ieri sera ha scritto che Cateno De Luca non abbia fatto altro che copiare e incollare le misure del Governo o che addirittura le abbia anticipate, con doti di preveggenza formidabili. Poco c’è mancato che tra i suoi adoratori ci fosse qualcuno che affermasse fosse stato lui a dettare il contenuto dell’ultimo decreto di ieri sera al premier Giuseppe Conte.

Nulla di più falso. De Luca nella piena manifestazione di incontrollabile smania di esibizionismo è riuscito ad essere più liberticida di Conte.

E’ sufficiente confrontare l’Ordinanza coprifuoco con i provvedimenti nazionali.

Intanto, quello che per i decreti di Conte è “evitare di circolare se non per comprovate ragioni ecc ecc” è diventato nell’ordinanza di De Luca “divieto di circolare, salve le comprovate ragioni ecc. ecc”, con una differenza di non poco conto sotto il profilo della tassatività del divieto e dell’ eventuale responsabilità penale di chi fosse stato trovato fuori casa magari da solo a fare una passeggiata o anche una corsetta.

Il sindaco sospende tutta l’attività degli studi medici, diagnostiche e laboratori di analisi cliniche, salve comprovate esigenze ecc ecc.

De Luca, ancora, addirittura deroga a quanto stabilisce il presidente Conte nell’ultimo decreto.

Il primo cittadino chiude infatti le attività di front office di banche e uffici postali, per cui chi non possiede l’internet banking o semplicemente una connessione internet non può capire per un mese cosa stia accadendo ai propri conti mentre nel decreto è previsto che “restano garantiti i servizi bancari, finanziari e assicurativi”.

Ancora vieta anche l’attività di consegna a domicilio che per contro per il decreto del presidente del consiglio deve “rimanere consentita”.

Introduce limitazioni non previste dai decreti del premier, sospende tutti gli studi veterinari e le cliniche veterinarie e riduce i giorni e gli orari di apertura dei negozi di prodotti per gli animali. Chiudeva gli ambulatori medici e i laboratori di analisi, tranne di pediatri e medici di famiglia.

Infine, alla sanzione penale in caso di inosservanza ne aggiunge una amministrativa pecuniaria.

Insomma, si tratta di disposizioni peggiorative (rispetto alle libertà dei cittadini) rispetto ai decreti di Conte e dunque da non osservare e non sanzionabili, come gli ha fatto osservare il prefetto di Messina.

Insomma, tanto rumore, per qualche ora di visibilità in più.

Cateno De Luca, il “liberticida illuminato” che sguazza nel clima (ingiustificato) di terrore in cui è stata fatta precipitare l’italia. Il sindaco annuncia di voler violare la Costituzione e il codice penale e ai tempi del coronavirus diventa il “personaggio” del giorno

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Cateno De Luca "in versione "francescano"

Cateno De Luca “in versione “francescano”

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salve le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza”, stabilisce la Carta Costituzionale.

La legge, o meglio il decreto legge, emanato per contrastare l’emergenza sanitaria determinata dal corona virus è di fatto liberticida: chiude, infatti, un intero paese, recinta nella propria casa milioni di persone ma è giustificato da un’ epidemia virale fatta diventare emergenza e soprattutto (ingiustificatamente) terrore, ammesso che il terrore possa essere razionalmente mai giustificato.

Pur limitando fortemente la libertà sancita dalla nostra Costituzione all’art. 16, una delle libertà fondamentali della persona, il decreto legge del 26 febbraio scorso poi convertito in legge dal Parlamento e attuato con due Decreti del presidente del Consiglio non si era certo spinto a ordinare il coprifuoco, tipico dello stato di guerra o meglio dei regimi dittatoriali.

Quello che il Governo nazionale non si è neppure sognato di fare a Messina diventa realtà.

Cateno De Luca, il sindaco della città, è andato su una delle reti Rai e davanti a milioni di Italiani ha ribadito che a Messina da domani nessuno potrà più uscire di casa: ha già pronta l’ordinanza.

Ma attenzione l’ adotterà nell’interesse dei cittadini, perché li ama, tiene alla loro salute.

E’ insomma un liberticida illuminato e amorevole.

Non bisogna aver frequentato l’Università per capire che un provvedimento del genere, qualora fosse emanato, sarebbe palesemente illegale e nessun pubblico ufficiale potrebbe applicarlo senza andare incontro a responsabilità penale in concorso con lo stesso sindaco.

De Luca ha l’aggravante di aver conseguito – pare – la  laurea in Giurisprudenza. Parafrasando Pier Paolo Pasolini, si potrebbe dire che non c’è nulla di peggio di un laureato in legge che non ha cultura giuridica.

Ma il sindaco che da alcuni giorni fa la ronda per la città in versione “francescano” non è uno sprovveduto e sa benissimo che simile provvedimento (se eseguito) può solo creargli guai giudiziari (per la prima volta probabilmente fondati su prove inconfutabili).

Il suo vero obiettivo De Luca l’ha già raggiunto: è diventato ancora una volta un personaggio pubblico di rilievo nazionale. Questa volta per un’altra emergenza, più precisamente una possibile emergenza.

Dopo l’emergenza baracche, De Luca è entrato nelle case di tutti gli italiani, impauriti da un virus che li bracca ferocemente. Vuole fare ciò che a nessun politico di Italia, a nessun sindaco, neppure quelli delle località dove ci sono centinaia di contagiati, è venuto in mente: violare la Costituzione per evitare l’emergenza sanitaria dovuta alla carenza di posti di rianimazione in città.

Ora se un qualunque cittadino italiano annunciasse che domani ha intenzione di commettere un reato verrebbe fatto visitare da uno psichiatra o tenuto sotto controllo dagli agenti di polizia.

Invece nel paese del terrore che è diventato l’italia è stato ospitato dalla rete del servizio pubblico (pubblico, si fa per dire) .

De Luca ha così soddisfatto la sua smania irrefrenabile di apparire, il bisogno dare un senso al suo ego smisurato.

Ama i suoi cittadini ma si è arruolato (lo aveva già fatto 20 giorni fa,ordinando l’inutile disinfezione delle scuole) tra i tanti, troppi spargitori di terrore e paura: gli unici che hanno spazio sui media e annullano le voci di chi con razionalità e con i dati in mano cerca di spiegare il problema coronavirus senza atterrire le persone.

Vuole proteggere la loro salute, ma aumenta lo stato d’ansia in cui la gente è stata fatta precipitare. I messinesi dopo la sua iniziativa non avranno solo paura del virus, avranno paura che se lo beccano non potranno contare sui posti di Rianimazione e quindi non avranno scampo: sicché più che di posti in Rianimazione ci sarà sempre più bisogno di spazio nei reparti di salute mentale. 

Fa riflettere che il suo annuncio non abbia suscitato reazioni forti di indignazione o protesta nessuna forza politica,di destra o di sinistra che sia (salvo qualche voce isolata); di nessun sindacato confederale; di nessuna associazione. Tutti allineati.Tutti silenziosi.

E questo è molto preoccupante seppur prevedibile.

Sul clima di terrore si costruiscono le dittature o le si consolidano (non è neppure necessario scomodare Hannah Arendt): non è un caso che la propaganda dei regimi totalitari è stata sempre tesa, attraverso la manipolazione della realtà, a creare il terrore. In nome del nemico, rappresentato in forme mostruose, che mette a rischio la salute o la sicurezza, si limitano le libertà. Oppure si muovono guerre. O si sterminano delle etnie.

Facendo leva sulla paura (quella della morte è la meno controllabile) nelle democrazie si ottiene il consenso.

In pochi si sono accorti che quello che sta vivendo l’Italia è il momento più delicato della sua storia repubblicana: oltre al benessere economico (irrimediabilmente compromesso per anni ormai, specie al sud), sono infatti in gioco la democrazia e la libertà, le vere vittime di un virus descritto come terribile da sciacalli (che diffondono fake di tutti i tipi), personaggi in cerca notorietà e posti di potere e politici inetti o opportunisti, con la complicità determinante e criminale delle testate giornalistiche e dei giornalisti, attirati dall’aspettativa di qualche punto in più di audience o di copie vendute.

Quello che accaduto nelle carceri nei giorni scorsi, con rivolte dei detenuti e 13 morti, è il chiaro segnale di ciò che quando si semina terrore si sa come la storia inizia ma non si può prevedere a quali conseguenze possa portare.

Un virus che crea si dei problemi (a una parte limitata di coloro che lo contraggono) ma che terribile non è, come pure tentano invano di spiegare intimiditi dal clima ostile alcuni scienziati, la cui voce è soffocata dalle urla di colleghi che la pensano in maniera diversa e hanno già da mesi libri pronti da pubblicare in cui si parla giustappunto di virus terrificanti.

Un virus così “terribile” che pur circolando nel paese dal dicembre del 2019, quindi da 4 mesi, ha contagiato (nel senso che hanno manifestato dei sintomi) – secondo i dati diffusi dal quotidiano bollettino della protezione civile – 11 mila persone (su 60 milioni di abitanti, ovvero in termini percentuali lo 0,18%  della popolazione). Il virus ne ha (o avrebbe) uccise 823, il 90% dei quali con età superiore ai 70 anni; il 60% con età superiore agli 80 anni, quasi tutti con due o tre patologie.

Avrebbe, perché in realtà nello stesso bollettino si precisa che “il numero potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso”. E allora se il numero deve essere confermato, e se deve essere stabilita la causa effettiva del decesso, perché viene diffuso nel corso della drammatica conferenza stampa di ogni giorno alle 18 e propinato alla gente in angosciante attesa come numero certo? 

Comunque, sinora, “sarebbero” decedute neppure un decimo delle persone che ogni anno muoiono (l’80% nel periodo invernale) – secondo i dati dell’Istat – per l’influenza virale stagionale (10 mila persone a cui vanno aggiunte 4 mila per setticemia).

Nel 2009 si affacciò in Italia un virus nuovo come questo, l’N1H1, noto come suina. Descritto come molto virulento e diffusivo mise in allarme le autorità sanitarie. Si temeva una pandemia. Ma nessuno se ne andò in televisione al primo morto a seminare terrore. Non si terrorizzò la gente, non si gettò il paese nel caos, non lo si chiuse.

Si gestì in via ordinaria la problematica sanitaria, che poi si rivelò meno grave di come si fosse paventato perché il sistema immunitario di ciascun individuo si adattò al nuovo virus e lo tenne a bada,secondo quelle che sono le regole della natura e della lotta per la sopravvivenza tra gli essere viventi.

I contagiati furono un milione e mezzo, in molti morirono (sempre tuttavia nella stessa percentuale di ogni anno e sempre tra le persone più anziane e già debilitate).

L’N1H1 ancora oggi fa morti, anche tra persone giovani, come le decine di virus che circolano e circoleranno sempre: salvo che qualche “sindaco scienziato” non sia capace di imporre loro il coprifuoco.

 

 

 

L’OPINIONE (dell’uomo della campagna): Coronavirus, letale solo per una classe dirigente inetta e per il giornalismo delle sciagure inventate. Il contributo (minimo) del sindaco De Luca alla follia ipocondriaca collettiva in cui è precipitata l’Italia

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coronavirus foto

Non ci sono casi di contagio in città e i virus, tutti i virus, resistono fuori dal corpo umano al massimo, se ci sono condizioni favorevoli, per poche ore.

Ma le scuole di Messina sono state chiuse per tre giorni, dal 29 febbraio al 3 marzo, per effettuare la disinfestazione.

E per le stesse finalità è stato disposta la chiusura a scoppio ritardato, cioè la settimana successiva e in prossimità della festa della donna dell’8 marzo, dei pubblici uffici comunali.

Poteva desistere il sindaco Cateno De Luca, maestro di propaganda politica, dall’unirsi a governanti inetti, scienziati in cerca di notorietà e giornalisti (disutili) idioti e dare così il suo contribuito per alimentare la follia ipocondriaca collettiva e autolesionistica in cui è precipitata l’Italia per effetto dell’emergenza corona virus?

E’ sufficiente leggere le due ordinanze (che De Luca formalmente non firma) e consultare un qualunque virologo per capire come detti provvedimenti siano scientificamente inutili e quindi giuridicamente immotivati.

A Messina chi dovrebbe infettare chi e cosa?

Ma facciamo pure finta che i casi contagio ci fossero stati  e che qualche bambino o docente avesse lasciato il virus sui banchi della scuola.

Il virus non avrebbe superato la notte.

Tant’è che la disinfestazione non è stata disposta neppure in Liguria dove le scuole sono chiuse da una settimana e le lezioni riprenderanno dopo 2 settimane lunedì prossimo.

La chiusura con relativa sanificazione degli uffici comunali aperti al pubblico è ancora più curiosa: il 28 febbraio c’è pericolo di contagio a scuola, ma quello negli uffici comunali è previsto si concretizzi una settimana dopo.

La disinfezione non serve a nulla (uno dei rinomati blitz del primo cittadino a caccia di virus avrebbe avuto lo stesso effetto), se non alle ditte che la effettuano a spese delle istituzioni scolastiche. Ma ha fatto la gioia di insegnanti, di studenti e impiegati comunali, per l’inattesa vacanza e la percezione che qualcuno fintamente si occupi della loro salute, o meglio della paura di una minaccia grave e incombente per la vita, aumentandone i consensi.

Che però non c’è.

De Luca arriva da buon ultimo a dare il suo apporto e le misure adottate dimostrano in quale oscuro tunnel di irrazionalità si è finiti.

Scriveva Leonardo Sciascia, ne Il Cavaliere e la morte, che se non ci fosse il diavolo non servirebbe l’acqua santa.

Il diavolo non l’ha mai visto nessuno, ma grazie al diavolo milioni di persone hanno dato un senso alla loro vita o costruito una professione o carriera.

Se non ci fosse la “diabolica” emergenza coronavirus, i vari “santi” scienziati (o presunti tali) che troneggiano con la faccia preoccupata e l’aria di chi non può dire tutto 24 ore al giorno in televisione, su tutte le reti, come potrebbero dare manifestazione del loro smisurato ego? Quando mai sarebbero divenuti personaggi pubblici?

E i giornalisti che per aumentare l’audience o vendere qualche copia di giornale in più parlano in termini apocalittici di ciò che non conoscono, non dovrebbero occuparsi di cose reali e più difficili da raccontare?

E, ancora, gli uomini di governo invece di bucare perennemente  lo schermo televisivo, facendo finta di proteggere la gente dalla minaccia di una pandemia, non dovrebbero dimostrare di essere in grado di risolvere problemi molto più concreti?

“Chi verrà a contatto con il virus morirà”: è questo il messaggio che tutti questi signori hanno veicolato per giorni, gettando nel terrore gli italiani.

L’italia è finita in un vortice psicotico senza precedenti nella storia del secondo dopoguerra.

Scuole chiuse, assalto ai supermercati, scorte di mascherine, economia sospesa con danni incalcolabili all’immagine dell’Italia.

Erano e sono i numeri ad attestare che l’emergenza corona virus non esiste nei termini apocalittici in cui è rappresentata.

Si tratta di una normale epidemia da virus, una tra quelle con cui l’umanità ha avuto e avrà a che fare da sempre. Ogni anno.

In Italia, dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, oltre un mese fa, 2500 persone hanno contratto il virus, ovvero lo 0,041 % della popolazione residente o stabilmente dimorante in Italia. Percentuale in linea con quella che si ottiene analizzando i dati di contagiati e morti in Cina, da dove l’epidemia sarebbe partita due mesi fa.

Ma attenzione la metà di questi non ha alcun sintomo, neppure un mal di gola. Altro che virus letale.

I morti? 79, ovvero il 3% dei contagiati censiti: non si può non ritenere infatti che ci siano in giro per l’Italia migliaia di persone contagiati e non censiti (proprio perché asintomatici). Ma non sono morti per il virus, no. Semmai perché il virus è andato ad aggravare un quadro clinico già compromesso,in persone per lo più anziane.

Esattamente quello che accade ogni anno, in coincidenza con il ciclico virus influenzale. Non c’è famiglia che non possa piangere un morto a causa anche del virus.

Le organizzazioni sanitarie calcolano che tra i 5 e i 6 milioni di persone finiscono a letto ogni anno per l’influenza in Italia. I più vulnerabili, affetti da malattie pregresse, stimati nell’ordine di 10000, ma la stima è per difetto, muoiono.

E’ questo il motivo per cui si procede alla vaccinazione autunnale.

Mai nessuno si è sognato negli anni scorsi di adottare le misure di prevenzione del terrore (chiusura scuola, uffici, negozi, stadi ecc), mettendo in ginocchio un paese.

Neppure nel 2009, quando circolava un virus quello sì letale, l’N1H1, che infatti colpì portandole alla morte persone giovani e sane.

Se questi sono i dati, si capisce benissimo che il clima di terrore non è giustificato, e attiene a voler essere prudenti più al mondo della psichiatria che a quello dell’infettivologia, sempre che non  si voglia scomodare dietrologiche ipotesi economiche.

Erano e sono gli stessi super esperti incaricati di fronteggiare l’emergenza a contraddirsi e ad ammettere che di loro stessi si poteva benissimo fare a meno.

Vittorio De Micheli, responsabile dell’unità di crisi della Lombardia, uno tra coloro che il coronavirus ha fatto diventare protagonista, ha dichiarato a “Il corriere della sera” di qualche giorno fa: «Il virus clinicamente non dà problemi, o comunque è facilmente risolvibile, nel 90% dei pazienti. Ma in oltre il 10%, soprattutto se anziani, comporta problemi gravi che richiedono un ricovero in Terapia intensiva».

Precisamente quello che accade ogni anno, senza però – e qui sta un altro degli effetti disastrosi generato dal clima di terrore – che i reparti di Terapia intensiva fossero presi d’assalto.

Si è mai sognato qualche medico di famiglia di mandare al pronto soccorso un anziano allettato da anni che viene beccato dall’influenza?

Si è mai azzardato il medico del Pronto soccorso di disporre il ricovero in terapia intensiva, che ha posti limitati, un malato terminale di tumore che prenda l’influenza?

Quello che è contro il buon senso e la scienza quest’anno nel clima di terrore è accaduto.

Se domani qualcuno facesse passare l’idea che la candida fosse mortale, gli ospedali sarebbero presi d’assalto da almeno il 50% della popolazione italiana. E non basterebbero tutti i laboratori d’ Italia a smaltire le richieste di tamponi.