Medicina, via libera (condizionata) dei giudici al ritorno nelle Università italiane dei bocciati al test. L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato detta i principi

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Studenti in attesa del test in Albania

Studenti italiani in attesa del test in Albania

«Gli studenti di Medicina iscritti nelle Università straniere possono trasferirsi in Italia senza dover superare il test di ammissione». L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, l’equivalente della Cassazione a sezioni unite nel campo amministrativo, chiude una vicenda annosa e detta un principio che pone fine a clamorosi contrasti giurisprudenziali tra gli organi di giustizia amministrativa. La sentenza depositata il 28 gennaio del 2015 tuttavia non spalanca la porta del ritorno in Italia ai 44mila studenti che, bocciati al concorso in Italia, hanno virato verso i più abbordabili atenei stranieri (specie quelli dell’est Europa).

Test no, «rigoroso vaglio» sì

I 15 magistrati guidati dal presidente Giorgio Giovannini, hanno sì «abolito il test» ma nel rispetto di due criteri ben definiti, necessari e sufficienti – secondo i magistrati – per evitare da un lato l’aggiramento del numero chiuso e per garantire dall’altro un’elevata qualità dell’istruzione universitaria nazionale: «Ciascuna università – ha stabilito l’Adunanza plenaria – deve accogliere le istanze degli studenti ma nel rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall’Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso». Ma non è tutto. «L’accoglimento dell’istanza è subordinato a un rigoroso vaglio, in sede di riconoscimento dei crediti formativi acquisiti presso l’università straniera in relazione ad attività di studio compiute, frequenze maturate ed esami sostenuti, della qualificazione dello studente, secondo parametri che ogni ateneo potrà predeterminare», hanno spiegato ancora i supremi giudici amministrativi, sposando la tesi del Consiglio di giustizia amministrativa.

La vicenda giudiziaria

L’organo d’appello siciliano con sentenza del 25 luglio 2014 aveva investito l’Adunanza plenaria del compito di risolvere una volta per tutte i gravi contrasti giurisprudenziali. Alcuni Tribunali amministrativi regionali, infatti, accogliendo la tesi del Ministero dell’Università ritenevano che lo studente desideroso di trasferirsi da una università straniera ad una italiana dovesse sottoporsi al test d’ammissione indipendentemente dal fatto di avere ormai superato presso l’ateneo straniero di frequenza gli esami del primo (o dei successivi) anni. Altri Tar italiani, invece, ritenevano queste prove non fossero necessarie. Ma a distanza di anni venivano smentiti puntualmente dal Consiglio di Stato che, al contrario, su questo tema aveva sempre sposato la tesi restrittiva del Ministero, preoccupato che il numero chiuso potesse essere aggirato in massa con la semplice permanenza all’estero di un anno in atenei di «comodo». Girolamo Rubino, autore del ricorso vincente proposto nell’interesse di due studenti iscritti in Romania che si erano visti accogliere in prima battuta la domanda di trasferimento dall’Università di Messina, poi però tornata sui suoi passi, commenta: «E’ un giudizio storico che dà certezza agli studenti. I giudici hanno contemperato il principio di libera circolazione dei cittadini con le esigenze sottese al numero chiuso».

I 60 dell’Aquila

Pur non aprendo la strada a tutti, la pronuncia alimenta la speranza delle famiglie degli aspiranti medici che hanno affidato il loro sogno di vestire il camice bianco a costose permanenze all’estero, e consente di tirare un sospiro di sollievo a chi è ancora impelagato nel limbo di contrastanti e beffarde pronunce dei giudici. Tra questi un gruppo di 60 studenti dell’ateneo dell’Aquila. Iscritti in Romania, subito dopo il sisma del 2009 ottennero il trasferimento nella facoltà abruzzese in cui erano rimasti liberi posti senza sostenere il test. Il Ministero non gradì. Scrisse una nota al rettore e lo indusse a revocare la loro iscrizione. Gli studenti si rivolsero al Tar del Lazio che accolse le loro ragioni e così continuarono a studiare: alcuni si sono pure laureati e si sono iscritti all’albo professionale. A ottobre del 2014, però, è arrivata la doccia fredda dal Consiglio di Stato: «Non si potevano trasferire senza test: gli esami e le lauree vanno annullate». Il rettore Paola Inverardi, tuttavia, non ha eseguito la pronuncia in attesa dell’Adunanza plenaria. «Questa attesa pronuncia pur bocciando la tesi sostenuta dal Miur e del Consiglio di Stato, non ha alcun effetto giuridico sulla situazione di questi studenti, ma adesso se tutti i loro studi fossero vanificati si tratterebbe di una grave ingiustizia», spiegano i loro legali Santi Delia e Michele Bonetti.

di michele schinella per corriere.it

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