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Vecchia Maniera, la Corte d’appello conferma la condanna a 5 anni per il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. I reati di tentata estorsione e intestazione fittizia di beni commessi mentre era sotto protezione. In corso gli altri processi “figli” dell’inchiesta coordinata dal commissario Mario Ceraolo

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Il vice questore Mario Ceraolo

Il vice questore Mario Ceraolo, artefice dell’inchiesta Vecchia Maniera

 

Tentata estorsione e intestazione fittizia di beni.

La Corte d’appello di Messina conferma la condanna per Carmelo Bisognano a 5 anni di reclusione, inferta dal Tribunale di Barcellona il 27 settembre del 2017.

I giudici di secondo grado hanno confermato anche la pena a due anni irrogata in primo grado all’imprenditore di Gioiosa Marea Tindaro Marino, accusato però solo (in concorso) di intestazione fittizia.

I reati sono stati commessi tra il 2015 e il 2016 mentre Bisognano, collaboratore di giustizia dal 2010, si trovava sotto la protezione dello Stato e i contribuenti italiani gli pagavano la scorta, due avvocati, la casa, i viaggi e un assegno mensile di 1600 euro.

L’ex boss della mafia di Barcellona e l’imprenditore erano stati arrestati il 16 maggio del 2016 nell’ambito dell’inchiesta Vecchia Maniera.

Gli arresti scattarono anche per Angelo Lorisco, uomo fidato di Bisognano.

Lorisco ha scelto il rito abbreviato e per gli stessi reati che hanno portato ora alla condanna dell’ex collaboratore, l’8 gennaio 2017 è stato condannato a tre anni di reclusione dal Tribunale. La Corte d’appello, il 20 ottobre del 2017, ha confermato il verdetto.

 

La strumentalizzazione del ruolo di collaboratore

Gli inquirenti del commissariato di Barcellona guidati da Mario Ceraolo avevano scoperto che Bisognano dalla località protetta, usando Angelo Lorisco, aveva costituito una società e aveva iniziato l’attività di imprenditore, sotto mentite spoglie, grazie all’aiuto dell’imprenditore Tindaro Marino, sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale e condannato all’epoca per concorso esterno alla mafia.

Per tornare operativo, Bisognano tramite Lorisco aveva – secondo l’ipotesi accusatoria provata anche per i giudici di secondo grado – strumentalizzato il ruolo di collaboratore e tentato di sottoporre a estorsione i membri della famiglia Torre, titolari di un’azienda, minacciando di fare dichiarazioni sul loro conto.

I figli di Vecchia Maniera

Sull’ex capomafia, la cui collaborazione è stata molto utile per mettere alla sbarra vari esponenti della mafia del Longano e di fare luce su diversi delitti, pendono altri processi, tutti figli dell’inchiesta Vecchia Maniera. 

Da ultimo è stato rinviato a giudizio per estorsione consumata.

Nel frattempo, un anno e due mesi dopo gli arresti, gli è stato revocato il programma di protezione e Bisognano, non potendo più godere dei benefici riservati a chi collabora, si trova recluso in un carcere.

Lo Stato gli garantisce comunque la tutela.

Per tutti i dettagli dell’intera inchiesta “Vecchia Maniera” e gli ultimi sviluppi si può leggere (cliccando sul link)  l’articolo di Michele Schinella pubblicato il 20 febbraio del 2019 dal titolo : “Estorsione aggravata dal metodo mafioso, Carmelo Bisognano a giudizio per un altro reato commesso mentre era collaboratore di giustizia. Tutti i guai dell’ex capo della mafia di Barcellona, privo della rete del programma di protezione e di recente condannato a 13 anni di reclusione. Mentre il suo avvocato Fabio Repici continua a evocare complotti”.

 

 

 

Caso Bisognano, il Gip Monica Marino boccia i sostituti Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo e ordina l’imputazione coattiva per il collaboratore di giustizia: “Per interessi economici ha cambiato le dichiarazioni su Tindaro Marino”. Tutti i guai dell’ex boss, arrestato dalla Procura di Roma il 7 luglio scorso e sotto processo a Barcellona

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I sostituti della Dda Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio

I sostituti della Dda Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio

 

I sostituti della Direzione distrettuale antimafia, Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, avevano cambiato idea e chiesto l’archiviazione.

Il Giudice per le indagini preliminari invece è rimasto fermo sulla sua convinzione.

Per il magistrato Monica Marino il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, ex capo della mafia di Barcellona, non solo ha intavolato trattative con l’imprenditore Tindaro Marino per rilasciare nuove e diverse dichiarazioni che ne alleggerissero la posizione in vista del giudizio della Cassazione per concorso esterno alla mafia e di quello della Corte d’appello diretto al sequestro di tutti i beni, ma queste dichiarazioni di favore il 30 settembre del 2015, in presenza dei suoi difensori, Mariella Cicero e Fabio Repici, e del difensore di Marino, Salvatore Silvestro, le ha pure rese.

Il giudice Marino ha così ordinato alla Procura di disporre l’imputazione coattiva nei confronti di Carmelo Bisognano, di Tindaro Marino e di Angelo Lorisco, ovvero colui che teneva i rapporti tra Bisognano, in località protetta dal momento dell’inizio della collaborazione avvenuta nel 2010, e Marino, all’epoca agli arresti domiciliari.

Il reato contestato è di False dichiarazioni al difensore rilasciate nell’ambito delle investigazioni difensive.

 

La strumentalizzazione del ruolo di collaboratore

 

Era stata proprio il Gip Marino il 18 maggio del 2016 a ordinare gli arresti del collaboratore di giustizia per una serie di ipotesi di reato emerse nell’ambito dell’inchiesta “Vecchia Maniera”, condotta dal commissariato di Barcellona pozzo di Gotto diretto da Mario Ceraolo.

Nell’ordinanza di custodia cautelare, a Bisognano veniva contestata l’intestazione fittizia di beni, la tentata estorsione e soprattutto di aver stretto, tramite il suo uomo di fiducia Lorisco, un vero e proprio pactum sceleris con Tindaro Marino, in forza del quale il collaboratore avrebbe dovuto fare dichiarazioni di favore e Marino lo avrebbe aiutato a rilanciare l’attività di un’azienda, la Ldm Costruzioni Srl che Bisognano attraverso dei prestanome aveva costituito già nel 2013.

La richiesta di misura cautelare era stata avanzata qualche giorno prima proprio da Cavallo e Di Giorgio, i due sostituti che ne avevano gestito sin dall’inizio la collaborazione, determinante per mandare in carcere e a processo una serie di esponenti della mafia di Barcellona.

I due pm si erano fatti delle convinzioni salde sull’esistenza del pactum sceleris e sull’attuazione dello stesso e avevano convinto il Gip Marino.

C’erano infatti molteplici intercettazioni telefoniche e ambientali che attestavano le trattative tra Bisognano e Marino.

E c’era la diversità tra il verbale riassuntivo delle dichiarazioni rese il 30 settembre del 2015 e i verbali di quelle rese negli precedenti da Bisognano e che avevano contribuito alla condanna in appello di Marino (vedi ampio servizio sulla vicenda).

 

La ammissioni di Bisognano….e la tesi difensiva

 

Il collaboratore di giustizia, un mese dopo gli arresti, ha chiesto e ottenuto di essere interrogato dai due pm Di Giorgio e Cavallo: “Ammetto di aver fatto il patto con Marino e che questi in cambio ha acconsentito entrare come socio occulto nella società Ldm Costruzioni Srl dietro la condizione che facessi nuove dichiarazioni sul suo conto. E’ stato un grave errore e una violazione delle regole che mi imponeva il programma di protezione. Tuttavia, non ho detto il falso né ho cambiato versione rispetto a quanto avessi dichiarato prima“, ha dichiarato in sintesi ai due pm.

Insomma – seguendo il ragionamento di Bisognano – Marino  in cambio del suo aiuto economico voleva dal collaboratore delle dichiarazioni di favore; Bisognano ha acceatto la proposta “scellerata”; Marino ha chiesto al suo difensore di sentire Bisognano; questi però poi queste dichiarazioni di favore non le ha fatte; tuttavia, il legale di Marino le ha depositate in Cassazione e in Corte d’appello e Marino stesso è entrato lo stesso in società con Bisognano, offrendo il suo apporto economico per l’attività di Ldm Costruzioni Srl.

In conclusione, Marino – a seguire la tesi difensiva – è stato in qualche modo raggirato da Bisognano.

 

Folgorati sulla via di Damasco

 

Di Giorgio e Cavallo dopo aver confrontato la registrazione integrale delle dichiarazioni rese il 30 settembre del 2015 con quelle rese in precedenza, hanno sposato la tesi di Bisognano: “Nelle linee essenziali, le dichiarazioni di Bisognano su Marino non sono cambiate”, hanno scritto nella richiesta di archiviazione.

 

Se il Gip studia…. e non condivide

 

Lo stesso lavoro di confronto tra le dichiarazioni del 30 settembre del 2015 e quelle precedenti lo ha fatto il Gip Marino, che è giunto senza esitazioni a conclusioni invece diametralmente opposte a quelle dei due pm.

“Conclusivamente, può senz’altro sostenersi che Carmelo Bisognano, in ossequio ad accordi presi in precedenza con Tindaro Marino, abbia rilasciato false dichiarazioni sullo stesso Marino, in quanto oggettivamente diverse da quelle rese in precedenza, assolutamente più favorevoli in quanto ne attenuano non poco la sua responsabilità penale e ciò al fine di conseguire un’utilità e un vantaggio di non poco rilievo: poter iniziare a svolgere una nuova e lucrosa attività imprenditoriale al riparo da occhi indiscreti”, ha scritto il Gip Marino.

 

I guai non finiscono mai

 

Per la costituzione della società LDM Costruzioni srl, intestata a teste di legno, Bisognano è sotto processo davanti al Tribunale di Barcellona per il reato di intestazione fittizia di beni.

Di fronte allo stesso Tribunale sta rispondendo anche del reato di Tentata estorsione commessa  i confronti di Giuseppe Torre, titolare della società Torre Srl, che – secondo l’accusa – Bisognano voleva costringere a cedergli dei lavori prospettando la possibilità di fare dichiarazioni accusatorie che coinvolgessero esponenti della famiglia Torre.

Nell’inchiesta Vecchia Maniera è emerso che il collaboratore non solo tesseva la sua trama volta a tornare a operare economicamente, ma grazie alla complicità degli uomini della scorta si muoveva a suo piacimento in località protetta, incontrando persone di Barcellona e altri collaboratori di giustizia. E soprattutto aveva accesso alla banca data della polizia.

La Procura di Roma per quest’ultima condotta, declinata in termini di Violazione del segreto d’ufficio venerdì 7 luglio 2017 ha chiesto e ottenuto gli arresti in carcere per Bisognano. Ai domiciliari sono finiti due carabinieri della scorta (vedi articolo)

Solo un mese e mezzo prima, a distanza di un anno esatto dagli arresti, il Tribunale di Barcellona aveva ordinato la scarcerazione del collaboratore, rilevando tra i motivi per per cui non ci fossero più esigenze cautelari, il fatto che “al collaboratore non fosse stato mai revocato il programma di protezione” (leggi articolo).

Bisognano infatti è rimasto nel programma di protezione benché – come hanno mostrato le indagini del commissariato di Barcellona e come lui stesso ha ammesso – si sia reso protagonista di gravi violazione del regolamento imposto ai collaboratori, a pena di revoca in caso di violazioni.