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Caso Bisognano: il Tar del Lazio ritiene legittima e giustificata la revoca del programma di protezione all’ex boss di Barcellona: “Condotte incompatibili con lo status di collaboratore”. Naufraga pure davanti ai giudici amministrativi la tesi del complotto del suo legale Fabio Repici

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Carmelo Bisognano

Carmelo Bisognano

La revoca del programma di protezione al collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano?

Per il Tribunale amministrativo del Lazio è legittima e giustificata dalle reiterate e gravi violazioni degli impegni assunti proprio a pena di revoca dall’ex boss di Barcellona Pozzo di Gotto nel 2010, quando divenne collaboratore di giustizia.

L’ordinanza è stata emessa nell’ambito un giudizio cautelare, deciso quindi ad un sommario esame, instaurato da Fabio Repici e Biagio Parmaliana, i legali del collaboratore che con le sue rivelazioni ha consentito di fare luce su una serie di vicende criminose e di disarticolare le cosche del Longano.

Tuttavia, nel caso di specie, la decisione dei giudici è stata più ponderata del solito.

Infatti, in una prima udienza (il 5 dicembre 2017), alla luce delle argomentazioni difensive e della delicatezza della vicenda, l’organo di giustizia amministrativa ha chiesto al ministero degli Interni una documentata relazione.

Dopo averla esaminata, un mese dopo, i giudici amministrativi hanno concluso: “La revoca del programma di protezione risulta fondato su circostanziati pareri delle competenti autorità essendo stata, in particolare modo, ritenuta rilevante la reiterazione di comportamenti contrastanti con lo status di collaboratore di giustizia“.

Per legge la revoca del programma di protezione, che garantisce oltre alla scorta, uno stipendio mensile di 1600 euro, la casa, gli avvocati pagati dallo Stato, è obbligatoria quando il collaboratore incorre in violazioni degli obblighi che si impegna a rispettare al momento in cui è ammesso al programma stesso.

All’ex boss di Barcellona non solo sono state contestate violazioni regolamentari, ma vere e proprie ipotesi di reato.

Altro che scivoloni su bucce di banana….

Bisognano è passato dalla località protetta al carcere di Rebibbia il 18 maggio del 2016 su ordine del Gip del Tribunale di Messina Monica Marino che ha accolto la richiesta dei sostituti della Dda Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, i magistrati che ne hanno curato sin dall’inizio la collaborazione.

Gravi i reati che gli sono stati attribuiti: intestazione fittizia di beni, tentata estorsione, false dichiarazioni al difensore, violazione del segreto d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico.

L’inchiesta Vecchia Maniera, condotta dal commissariato di Barcellona guidato da Mario Ceraolo, aveva evidenziato come il collaboratore, boss della mafia e autore di decine di delitti, mentre girava libero e scortato per i Tribunali della Sicilia e puntava l’indice consentendo una serie di operazioni di polizia, teneva contatti con esponenti dei clan mafiosi impartendo loro istruzioni; svolgeva attività imprenditoriale sotto mentite spoglie; concordava dichiarazioni assolutorie con condannati per mafia o minacciava di fare dichiarazioni che aveva omesso al fine di ottenere vantaggi economici; acquisiva grazie alla complicità degli uomini della scorta notizie riservate dalla Banca dati della polizia; si incontrava con chi voleva  (anche con altri collaboratori di giustizia) nella località protetta.

 

Una prima sentenza

Più specificamente, gli inquirenti avevano scoperto che Bisognano dalla località protetta, usando Angelo Lorisco, aveva costituito una società e aveva iniziato l’attività di imprenditore, sotto mentite spoglie, grazie all’aiuto dell’imprenditore Tindaro Marino, sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale e condannato all’epoca per concorso esterno alla mafia.

Tramite Lorisco aveva – secondo l’ipotesi accusatoria – strumentalizzato il ruolo di collaboratore e tentato di sottoporre a estorsione i membri della famiglia Torre, titolari di un’azienda, minacciando di fare dichiarazioni sul loro conto.

E’ stato così rinviato a giudizio per intestazione fittizia di beni e tentata estorsione.

Il 28 settembre 2017 è stato condannato in primo grado a 5 anni di reclusione dal Tribunale di Barcellona.

Un proscioglimento controverso

Come hanno disvelato in maniera chiara le intercettazioni, Bisognano in cambio dell’aiuto economico di Tindaro Marino, si era impegnato nell’ambito di indagini difensive a fare nuove e diverse dichiarazioni favorevoli all’imprenditore di Gioiosa Marea, in modo da alleggerirne la posizione in vista del giudizio della Cassazione per concorso esterno alla mafia e di quello diretto al sequestro di tutti i beni nel procedimento di prevenzione patrimoniale pendente in appello.

Dapprima, al momento della richiesta di misura cautelare, i due sostituti Di Giorgio e Cavallo dopo aver confrontato le dichiarazioni rese da Bisognano in precedenza sul conto di Marino con quelle rese il 30 settembre del 2015 al difensore di Marino, Salvatore Silvestro, presenti i difensori del collaboratore Fabio Repici e Mariella Cicero, si erano convinti che questi avesse cambiato effettivamente le dichiarazioni.

Dello stesso avviso il gip Marino.

E’ stato lo stesso collaboratore nell’interrogatorio di garanzia ad ammettere: “Mi sono messo d’accordo per modificare le dichiarazioni, ma poi non l’ho fatto”

Proprio a seguito di questa giustificazione, i due magistrati hanno controllato e hanno cambiato idea chiedendo per questo capo di accusa l’archiviazione.

Il Gip Monica Marino è rimasta della sua idea. Ha rigettato e ordinato l’imputazione coattiva: “Le dichiarazioni sono state cambiate per interessi economici”, ha scritto il Gip Marino dopo aver messo a sua volta a confronto le dichiarazioni.

Tre mesi dopo, il 17 novembre del 2017, un altro Gip del Tribunale di Messina Simona Finocchiaro ha accolto la richiesta di archiviazione ribadita dai due sostituti della Dda.

 

L’ arresto romano abortito… per vizi procedurali

Scarcerato dal Tribunale di Barcellona il 17 maggio del 2017, dopo un anno esatto di carcere, anche sulla base del fatto che il programma di protezione non fosse stato revocato, venerdì 7 luglio 2017 Bisognano è stato nuovamente arrestato su ordine del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Chiara Gallo, che ha accolto la richiesta della Procura, guidata da Giuseppe Pignatone.

Dalle intercettazioni telefoniche era pure emerso che il collaboratore servendosi di due degli agenti (Domenico Tagliente e Enrico Abbina) che dovevano proteggerlo e controllarlo, aveva accesso alla Banca dati della polizia assumendo informazioni riservate.

La Procura di Roma, a cui erano stati trasmessi gli atti perché – secondo Di Giorgio e Cavallo – i fatti erano stati commessi in località protetta, ha declinato l’accusa nei termini di violazione abusiva dei sistemi informatici e violazione del segreto d’ufficio e ritenendo allarmante la condotta del collaboratore all’epoca libero e protetto aveva chiesto e ottenuto la misura cautelare più severa.

Il Tribunale della Libertà aveva condiviso il ragionamento di Gip e Procura.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rilevato dei vizi procedurali: non risultavano infatti dalla motivazione se fossero stati depositati in cancelleria tutti i brogliacci delle intercettazioni e non risultava spiegata la connessione tra i reati commessi a Messina di tentata estorsione e intestazione fittizia di beni con quelli contestati a Roma: detta connessione è necessaria per poter utilizzare le stesse intercettazioni.

Ha così rinviato al Tribunale della Libertà per motivare sui due punti.

Che a quel punto, a novembre del 2017, ha ordinato la scarcerazione di Bisognano.

Tra le informazioni che Bisognano chiede e ottiene dagli uomini della scorta ci sono quelle su alcuni mezzi meccanici da adibire all’attività di impresa da svolgere sotto mentite spoglie: ciò che gli è valso la condanna per intestazione fittizia di beni.

 

Tanti incontri vietati e…. imbarazzanti

Le indagini coordinate dal commissario Ceralo aveva evidenziato come Bisognano grazie alla leggerezza degli uomini della scorta si incontrava con esponenti della mafia (tra questi Stefano Rottino) e con persone di sua conoscenza nel Tribunale di Messina in occasione delle udienze.

Stessa libertà d’azione ce l’aveva in località protetta, dove si incontrava con altri collaboratori di giustizia, appartenenti ad altri sodalizi criminali.

Tra gli incontri non proprio in linea, secondo gli inquirenti, con lo status di collaboratore e con le esigenze di sicurezza ce n’è pure uno con gli avvocati Mariella Cicero e Fabio Repici, che viene segnalato all’autorità giudiziaria

E’ l’8 marzo del 2016. Sono le 13 circa. Bisognano viene intercettato mentre dà indicazioni stradali ai due legali che non riescono a trovare il posto dove si erano dati appuntamento. “Il collaboratore si incontra con i suoi legali con cui va a pranzo”, scrive uno degli inquirenti in un allegato all’informativa.

Ma c’è anche di più.

Mario Ceraolo nell’informativa alla Procura di Messina, all’epoca diretta da Guido Lo Forte, aveva anche rilevato: “Bisognano ha avuto la possibilità di accedere ad informazioni, anche coperte dal segreto istruttorio che quasi quotidianamente gli vengono fornite dal suo difensore Maria Rita Cicero con condotte che non rappresentano soltanto una evidente violazione dei doveri deontologici ma configurano precisi reati penali e che consentono al Bisognano di meglio operare nel comprensorio della provincia di Messina”, ha scritto.

“Non mi risulta di essere indagata, non ho ricevuto nulla”, ha dichiarato Mariella Cicero  a giugno del 2017, sentita come teste a difesa di Bisognano tenuto a Barcellona.

A scuola di complottismo

Per i suoi legali Fabio Repici e Mariella Cicero, Bisognano è vittima di un complotto ordito dall’avvocato Ugo Colonna, da Mario Ceraolo, da Saro Cattafi, l’avvocato di Barcellona che Bisognano aveva accusato di essere il capo dei capi della mafia e le cui accuse non sono state ritenute credibili dalla Corte d’appello di Messina, e dal legale di quest’ultimo Salvatore Silvestro.

La tesi del complotto è stata propugnata con forza anche nelle aule giudiziarie, ma non ha incantato il Tribunale di Barcellona, il Gup Monica Marino, la Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone, il Gip di Roma Chiara Gallo e il Tribunale della Libertà di Roma e, infine, i giudici del Tribunale amministrativo regionale.

Le condotte “illecite” di Bisognano sono venute alla luce al momento degli arresti. Il programma di protezione è stato revocato nell’autunno del 2017, un anno e mezzo dopo.

I 5 stelle…rivoluzionari e oscurati

Nel frattempo, a maggio del 2017, uno dei più importanti esponenti del Movimento 5 Stelle, Luigi Gaetti, vicepresidente della Commissione antimafia, aveva presentato un’interrogazione al ministro degli Interni e della Giustizia per chiedere se fossero veri dei fatti che in ipotesi dimostravano che a Bisognano fosse stato riservato un trattamento di favore, compresa la mancata revoca del programma di protezione.

Ma dopo due giorni il senatore ha fatto marcia indietro e l’ha ritirata. Si giustificò “Mi è stato detto che è fondata su dati non completi”.

Da chi? “Non lo posso rivelare”.

Sicurezza garantita

Bisognano, rimasto senza programma di protezione, ha continuato a collaborare.

Il ministero degli Interni a tutela della sua incolumità gli garantisce la scorta..