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Estorsione ai danni di un lavoratore, il patron di Aicon Lino Siclari nei guai. Il Gup di Barcellona Pugliese rigetta l’archiviazione e ordina l’imputazione

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Lino Siclari

Lino Siclari

Per costringere un dipendente ad accettare una paga più bassa di quella che percepiva da anni ha effettuato una contestazione disciplinare, annullata lo stesso giorno in cui il lavoratore si è piegato.

Lino Siclari, il patron di Aicon, la società di Giammoro specializzata nella costruzione e commercializzazione di yacth di lusso, quotata nel 2007 in Borsa e dichiarata fallita nel 2012, dovrà ora difendersi dal reato di estorsione, che punisce con pene da 5 a 10 anni “chi con violenza o minaccia costringendo taluno a fare o omettere qualche cosa procura a se o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.

Il Giudice dell’udienza preliminare di Barcellona pozzo di Gotto, Salvatore Pugliese, il 6 luglio del 2015, ha ordinato al pubblico ministero Fabio Sozio, di formulare l’imputazione coattiva nei confronti dell’architetto messinese.

Il 28 aprile del 2014, il sostituto procuratore Sozio, infatti, tirando le fila delle indagini cui ha dato il là la querela presentata da Santo Bertè il 18 aprile del 2012, aveva chiesto l’archiviazione. Ma non perché i fatti denunciati non si fossero rilevati veri.

LA DENUNCIA.

Dipendente da anni delle società della galassia Aicon, Bertè aveva denunciato che in data  26 febbraio del 2010, gli era giunta una proposta di riduzione del suo stipendio da 2mila e 200 euro a mille e 600. Non avendovi dato riscontro positivo, in data 9 marzo 2010 gli era giunta una lettera di contestazione di infrazione per omesso controllo di alcune lavorazioni, che era stata annullata qualche giorno dopo, quando Bertè aveva formalmente accettato la riduzione dello stipendio.

LE MOTIVAZIONI DEL PM

“Le indagini hanno riscontrato le dichiarazioni della parte offesa ed è emersa la strumentalità della nota di infrazione” – ha scritto il pm nella richiesta di archiviazione del tanto che “in astratto ricorre il reato di estorsione”. Tuttavia, in concreto – sempre secondo il pm – non si poteva configurare il reato mancando il requisito del “profitto ingiusto” per Aicon: “Bertè secondo l’inquadramento professionale e il Contratto collettivo di lavoro avrebbe avuto diritto a uno stipendio di mille e seicento ero, l’importo che gli voleva applicare Siclari”, ha concluso il pm.

L’OPPOSIZIONE

Alla richiesta di archiviazione si è opposto il lavoratore, assistito dal legale Bonni Candido, il cui fratello Salvatore tra il maggio e il settembre del 2011 è stato amministratore delegato del Gruppo Aicon, incarico lasciato a seguito di gravi divergenze con Siclari che si era rifiutato di sottoscrivere l’aumento di capitale essenziale – secondo l’Ad – per scongiurare il fallimento, che puntualmente arrivò. “Il CCNL stabilisce il minimo del trattamento retributivo: se per anni un lavoratore ha avuto un trattamento migliore poi ne acquisisce il diritto che non può essere conculcato sulla base della minaccia di un provvedimento disciplinare”, ha evidenziato l’avvocato Candido.

PUGLIESE ORDINA

Per il Gup, Salvatore Pugliese “acclarata la veridicità dei fatti denunciati e la strumentalità della contestazione disciplinare, il profitto è ingiusto perché è stato conseguito attraverso uno strumento (la nota disciplinare) legittimo ma usato per un fine ingiusto, diretto cioè a far accettare al lavoratore condizioni nuove e deteriori rispetto a quelle di cui godeva”.

Così, il Gup ha ordinato al pm di formulare l’imputazione per estorsione nei confronti di Lino Siclari, la cui posizione verrà ora vagliata in Udienza preliminare al termine della quale verrà deciso il rinvio a giudizio o il non luogo a procedere.