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Pornografia minorile, il giudice Gaetano Amato torna ai domiciliari dopo 24 ore trascorse nel carcere. Il Gip Vermiglio scioglie il paradosso sorto dopo la pronuncia della Corte di Cassazione: “E’ sufficiente l’affidamento alla comunità di riabilitazione”.

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Il giudice Gaetano Amato

Il giudice Gaetano Amato

 

Ieri è tornato in carcere, su ordine della Procura di Messina. Oggi, agli arresti domiciliari, presso la comunità di recupero cui era stato affidato qualche mese fa dal Giudice per le indagini preliminari.

La permanenza del giudice Gaetano Amato nelle mura del penitenziario di Gazzi dura meno di 24 ore.

Nella giornata di oggi, infatti, il Giudice per le indagini preliminari, Maria Vermiglio, ha accolto l’istanza presentata dal suo legale Salvatore Silvestro e ha ordinato la scarcerazione del giudice accusato di produzione e scambio di materiale pedopornografico e di violenza sessuale.

Per capire cosa sia successo nelle ultime 24 ore bisogna avventurarsi nelle pieghe delle varie decisioni che si sono registrate sulla vicenda e della procedura penale.

Le tappe della vicenda

Amato è stato arrestato il 3 ottobre del 2017 su ordine del Gip Maria Vermiglio.

Il giudice era rimasto coinvolto in un’inchiesta della Procura di Trento ed era stato incastrato dalle intercettazioni della polizia postale che avevano evidenziato come avesse prodotto e scambiato materiale pedopornografico (vedi servizio sulla vicenda).

Per questa condotta Il Gip aveva accolto la richiesta dei sostituti della Procura, Giovannella Scaminaci e Roberto Conte, titolari delle indagini.

I due pm ad Amato contestavano anche il reato di violenza sessuale e anche per questo reato avevano chiesto la misura del carcere.

Le attività di indagine avevano mostrato che il giudice aveva scattato una foto (poi diffusa via chat) a una minore con il seno scoperto mentre dormiva. Secondo l’accusa le aveva sollevato la maglietta e nel farlo le aveva sfiorato il seno, come ha raccontato al suo interlocutore nella stessa chat: da qui specificamente l’accusa di violenza sessuale.

In prima battuta, però, il Giudice per le inddagini preliminari Urbani, aveva ritenuto non vi fossero gravi di indizi di colpevolezza di questa condotta, non considerando sufficienti le ammissioni via chat dello stesso Amato e invece verosimile che la maglietta si fosse alzata da sola nel mentre la bambina dormiva.

I sostituti della Procura,  Scaminaci e Conte, ritenendo errata la valutazione del Gip sulla contestazione della violenza sessuale, hanno subito fatto appello su questo punto al Tribunale del Riesame, ribadendo la richiesta di applicazione della misura cautelare del carcere.

Qualche tempo dopo, il legale di Amato ha avanzato al Gip Vermiglio richiesta di alleviare la misura cautelare del carcere con quella degli arresti domiciliari presso una comunità di recupero e cura per soggetti con problemi di pedofilia.

Quest’ultima istanza di affidamento alla comunità è stata accolta il 27 dicembre del 2017, sulla base della considerazione che per neutralizzare le esigenze cautelari di reiterazioni del reato non fosse necessario il carcere.

Due mesi prima, il 26 ottobre del 2017, il Tribunale del Riesame aveva dato ragione ai due sostituti procuratori.

Aveva ritenuto, infatti, ricorrente anche il reato di violenza sessuale con la precisazione però che andasse inquadrato nella forma di minore gravità: ciò che determina una riduzione della pena base prevista per la violenza sessuale (da 5 a 10 anni) fino a due terzi. .

L’esecuzione di questa pronuncia tuttavia era stata sospesa in attesa che divenisse definitiva con l’eventuale giudizio della Corte Cassazione, cui si è rivolto il legale di Amato.

La sentenza della Cassazione è arrivata l’altro ieri. Ha rigettato il ricorso dell’avvocato Silvestro e ha attribuito efficacia esecutiva all’ordinanza del Tribunale del Riesame.

Ieri la Procura ha conseguentemente ordinato di prelevare Amato nella comunità e di condurlo nel carcere di Gazzi.

Il paradosso

Tuttavia, a seguito della pronuncia dei giudici di legittimità si è determinata una sorta di paradosso.

Il giudice Amato si è ritrovato in carcere per un reato meno grave (la violenza sessuale, nella forma di minore gravità) di quello (la pornografia minorile) per cui era ai domiciliari; e, soprattutto sulla scorta di esigenze cautelari valutate dal Tribunale del Riesame due mesi prima rispetto alla valutazione del Giudice per le indagini Urbani che per il reato più grave aveva ritenuto sufficiente gli arresti domiciliari.

E’ stato così lo stesso Gip Vermiglio a risolvere nella tarda mattinata di oggi il paradosso, ordinando che il giudice Amato torni nella comunità specializzata nella cura e riabilitazione di persone con problemi di pedofilia:”Gli arresti domiciliari con divieto assoluto di comunicazione con persone diverse dagli stretti familiari e degli operatori e ospiti della comunità basta a neutralizzare le esigenze cautelari di pericolo di reiterazione del reato”, ha motivato il Gip.

Nella comunità Amato potrebbe però rimanerci poco.

La Procura infatti  nelle scorse settimane ha presentato appello contro il provvedimento del 28 dicembre del 2017 del Gip Vermiglio che accordava gli arresti domiciliari in comunità: l’udienza si terrà nelle prossime settimane.

Se l’appello fosse accolto, per il magistrato si riaprirebbero nuovamente le porte di Gazzi.

 

Pornografia minorile, tre foto a un unico “amico” della rete. Ecco nel dettaglio l’ accusa al giudice Gaetano Maria Amato: qualche settimana prima degli arresti aveva ammesso le chat e l’invio di immagini. Sequestrati personal computer e cellulare, gli inquirenti a caccia di nuove prove e di (eventuali) altri “appassionati” di bambini

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Tre foto di due persone minorenni seminude (due) e nude (una), tutte carpite all’insaputa delle vittime e inviate tra il 2014 e il 2015 a un solo utente della rete con dei commenti a corredo.

Sono questi i fatti per cui il giudice della Corte d’appello di Reggio calabria Gaetano Maria Amato, su richiesta della Procura di Messina accolta dal Giudice per le indagini preliminari Maria Vermiglio, è stato arrestato e condotto nel carcere di Gazzi il 3 ottobre scorso.

L’accusa per il cinquantottenne è di Pornografia minorile, reato per cui è prevista una pena da 6 a 12 anni di reclusione.

Tuttavia, le indagini sul magistrato sono tutt’altro che chiuse.

Da quanto si è riuscito a sapere da ambienti vicini agli inquirenti, pochi giorni prima che scattassero gli arresti,  a casa del giudice residente a Messina si sono presentati gli agenti della polizia con in mano un provvedimento di perquisizione e di sequestro di supporti telematici e informatici.

Nell’occasione della perquisizione, lo stesso giudice ha fatto dichiarazioni spontanee, minimizzando i fatti e ammettendo che in passato aveva intrattenuto delle chat con un pedofilo a cui aveva inviato tre o 4 foto: in sostanza, ciò che gli inquirenti sapevano già e che gli è stato contestato al momento dell’esecuzione della misura cautelare.

Gli inquirenti al termine della perquisizione hanno sequestrato e portato via personal computer e telefoni cellulari .

La perizia sui supporti informatici permetterà di stabilire se il magistrato ha raccontato la verità e, quindi lo scambio di materiale pedo pornografico è stato occasionale e limitato a quello già accertato, oppure le foto prodotte e inviate sono molto di più e l’interlocutore del giudice non è stato uno solo ma diversi.

In quest’ultimo caso, altri interlocutori con la “passione” per le immagine pedo pornografiche potrebbero finire nel mirino della Procura.

Nella rete…della perizia informatica

E’ con lo strumento della consulenza tecnica su strumentazione informatica che – secondo quanto si è riuscito a sapere dagli inquirenti della squadra mobile della polizia di Stato di Bolzano – ci è si imbattuti nel giudice di Messina.

Le indagini infatti erano concentrate su un pedofilo che, a tempo pieno, usando  diversi account e nick name, navigava sulla rete alla ricerca di materiale pedo pornografico.

E’ stata l’accertamento tecnico sul materiale sequestrato a quest’ultimo che ha consentito di individuare tra la miriade di chat e scambio di materiale scottante, le comunicazioni e, soprattutto, le foto che il giudice gli ha inviato.

Le carte sono state così trasmesse per competenza territoriale alla Procura di Messina.

La partita giuridica

La normativa che il legislatore ha dettato dal 1998 in poi contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minore, prevede diverse fattispecie di reato, di gravità diversa e quindi punite con pena diversa, i cui confini sono stati oggetto di interpretazioni non sempre univoche da parte della giurisprudenza.

Al magistrato Amato, in attesa degli esiti degli ulteriori accertamenti tecnici sul pc e sul cellulare, è contestata la fattispecie più grave (art. 600 ter, primo comma): quella che incrimina chi “utilizzando minori di anni 18, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico”.

Per quanto le foto inviate dal giudice sono state realizzate all’insaputa delle vittime (e, ovviamente, senza la loro minima collaborazione), e sono state inviate a un solo utente, i fatti accertati sembrano rispondere appieno alla interpretazione che la Cassazione (a Sezioni unite) ha offerto della norma.

La cassazione nel 2000 (numero 13) ha, infatti, stabilito che la norma “offre una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte prodromiche che mettono a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e immettendolo nel circuito perverso della pedofilia. Per conseguenza il reato è integrato quando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto”.

Non sarà semplice, ma ciò dipenderà anche dal tipo e dalla natura delle chat, per il giudice Amato difendersi sostenendo che l’aver trasmesso le foto a uno sconosciuto (che quindi non dava alcuna garanzia di riservatezza) non abbia determinato il concreto pericolo di diffusione delle stesse e quindi il rischio di pregiudicare il libero sviluppo personale dei minori raffigurati.

Primi provvedimenti

In applicazione della legge, che sul punto non ammette deroghe e riguarda tutti i pubblici funzionari senza che via la necessità di alcuna richiesta specifica di alcuno, il magistrato in conseguenza degli arresti e sin dal giorno successivo è stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio.

Allo stesso modo, è stato avviato nei suoi confronti procedimento disciplinare: si tratta, allo stato delle cose, di un grave illecito disciplinare, rientrante nella categoria degli “Illeciti conseguenti a reato” (e dunque diverso da quello compiuto nell’esercizio delle funzioni o fuori dalle stesse, ma sempre facendo pesare il ruolo di magistrato).

Questo tipo di illeciti possono portare alla sanzione (anche della rimozione dalla magistratura) solo dopo la condanna irrevocabile.