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Capo dell’Ispettorato del lavoro e consigliere comunale: per la legge le due cariche non si possono cumulare ma Gaetano Sciacca ha dichiarato che non è incompatibile. Ecco cosa rischia l’esponente del Movimento 5 Stelle. La crociata spuntata di “Diventerà bellissima”, dopo il flop nelle urne

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Gaetano Sciacca con accanto il deputato regionale del M5Stelle Valentina Zafarano

Gaetano Sciacca con accanto il deputato regionale del M5Stelle Valentina Zafarana


Al mattino ordina le ispezioni per verificare il rispetto della normativa a tutela dei lavoratori nei luoghi di lavoro e firma eventuali provvedimenti sanzionatori e denunce in Procura per datori di lavoro; al pomeriggio siede tra gli scranni di Palazzo Zanca e guida l’azione politica del Movimento 5 Stelle.

Un giorno, applicando il principio di imparzialità dell’azione amministrativa coordina le decine di dipendenti dell’ufficio di via Ugo Bassi; il giorno successivo si batte per far passare delibere che risolvano i problemi della città secondo la visione della parte politica che rappresenta.

Su Gaetano Sciacca, candidato perdente a sindaco del Movimento 5 Stelle e consigliere comunale in carica, pende un’azione giudiziaria diretta a stabilire se si potesse o meno candidare e a sancirne nel secondo caso la decadenza.

Tuttavia, il capo dell’Ispettorato del Lavoro di Messina – legge alla mano – dovrebbe essere costretto a scegliere tra il suo incarico dirigenziale e quello di rappresentante dei cittadini messinesi molto prima che gli organi della giustizia si pronuncino.

Anzi, doveva esserlo un attimo dopo aver giurato come consigliere comunale.

Sciacca, il 10 luglio del 2018, ha sottoscritto al pari di tutti gli altri 31 colleghi una dichiarazione con cui ha affermato che non versa in alcuna situazione di incompatibilità.

La legge però lo smentisce.

E lo smentisce la giurisprudenza della Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, competente a vigilare  sull’attuazione del decreto legislativo 39 del 2013 che disciplina la materia dell’ “Inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni”.

Il Genio della legalità

La legge all’articolo 12 sul punto è chiarissima: “Gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale sono incompatibili: b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti

L’ex capo del Genio civile è, infatti, un dirigente della regione Sicilia, a cui è stato affidato l’incarico di capo di un ufficio, che peraltro ha competenza anche nel comune in cui svolge le funzioni di consigliere comunale.

Di recente l’Anac (delibera) ha dichiarato incompatibile alla carica di consigliere del comune di Roseto degli abruzzi un dirigente della regione Abruzzo, titolare del Servizio Bilancio del Dipartimento Risorse e Organizzazione, ribadendo un principio più volte enunciato: “Tutti gli incarichi dirigenziali interni ed esterni mediante i quali sia conferita la responsabilità di un servizio/ufficio, sono soggetti alla disciplina del decreto legislativo n. 39 del 2013 in materia di incompatibilità“, ha scritto il presidente Raffaele Cantone.

Una situazione identica a quella in cui versa Sciacca.

L’Ispettorato provinciale del Lavoro di Messina nell’organigramma regionale è configurato come Servizio, precisamente il XVIII del Dipartimento Lavoro dell’Assessorato alle politiche sociali e alla famiglia.

Aut….aut

Secondo la normativa è il Responsabile della prevenzione della corruzione della regione Sicilia, Emanuela Giuliano, a dover contestare l’incompatibilità a Sciacca, diffidandolo ad optare tra i due incarichi entro i 15 giorni successivi alla sua comunicazione.

Se Sciacca non rimuove la situazione di incompatibilità nel termine, allora l’avvocato Giuliano deve risolvere il contratto di responsabile dell’Ispettorato.

In teoria, l’incompatibilità finalizzata alla decadenza da consigliere potrebbe essere anche contestata dal Consiglio comunale, ma come l’esperienza ha anche di recente mostrato le possibilità che accada sono pari allo zero.

 

Dichiarazioni dubbie e sanzioni certe

La rimozione della causa di incompatibilità non salverebbe Sciacca da una sanzione prevista dalla legge per la dichiarazione resa al momento dell”insediamento: “La dichiarazione mendace, accertata dalla stessa amministrazione, nel rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio dell’interessato, comporta la inconferibilità di qualsivoglia incarico dirigenziale per un periodo di 5 anni”, stabilisce la legge.

La norma fa salva la responsabilità penale che passa comunque dalla dimostrazione che Sciacca sapeva di essere incompatibile.

La crociata…. e il buco nell’acqua

 

Su altro rispetto a questa palese causa di incompatibilità si fonda l’azione giudiziaria intentata nelle scorse settimane nei confronti di Sciacca e delle liste a lui collegate alle amministrative di Messina.

I ricorsi amministrativo e civile pendenti, infatti, sono volti a dichiarare l’ineleggibilità di Sciacca: sono stati proposti dagli esponenti della lista “Diventerà Bellissima”, riconducibile all’avvocato Ferdinando Croce, capo di gabinetto dell’assessore regionale alla Sanità.

La lista all’ultima tornata elettorale non raggiunse per poco il quorum del 5% necessario per partecipare alla ripartizione dei seggi e con il ricorso vorrebbe rientrare in lizza.

Infatti, l’azione giudiziaria mira non tanto e non solo all’annullamento dell’ammissione di Sciacca alla tornata elettorale ma soprattutto, come effetto a cascata, al successivo annullamento degli 11 mila voti ottenuti dall’unica lista dei Movimento 5 Stelle collegata a Sciacca, in modo che si abbassi il numero dei voti necessari per superare il 5%.

L’ineleggibilità cui sarebbe incorso Sciacca – secondo il legale di Diventerà bellissima Alberto Pappalardo – è di essere “dipendente della regione Sicilia con qualifica non inferiore a direttore o equiparata”, secondo quanto previsto art. 9 della legge regionale 31 del 1986.

Può sostenersi con successo che Sciacca abbia la qualifica di direttore qualifica ad essa equiparata?

La qualifica di direttore è stata eliminata dall’ordinamento giuridico regionale: precisamente 14 anni dopo l’emanazione della legge sull’ineleggibilità degli amministratori, nel 2000, con la legge n. 10.

Poiché le norme in materia di ineleggibilità sono di strettissima interpretazione ed è dunque vietata ogni interpretazione analogica, estensiva o evolutiva delle stesse, l’esser venuta meno la qualifica di direttore dovrebbe depotenziare la causa di ineleggibilità invocata.

Tuttavia, superando questa obiezione in genere insormontabile, si potrebbe sostenere che benché i direttori non ci siano più, una norma di legge abbia attribuitogli stessi poteri, le funzioni e competenze ad altra figura denominata diversamente.

Di conseguenza, l’ineleggibilità riguarderebbe coloro che hanno preso il posto dei direttori nel rispetto di quella che era la ratio della norma: ovvero impedire e sanzionare l’alterazione della par condicio nella competizione elettorale a vantaggio di chi svolgeva rilevanti ruoli apicali nell’amministrazione regionale.

In effetti è cosi.

La legge 10 ha riordinato la dirigenza regionale istituendo tre fasce e nell’abolire la qualifica di direttore ha stabilito che “accedono alla prima fascia dirigenziale il segretario generale, i direttori regionali ed equiparati“.

La stessa legge ha previsto che i dirigenti generali debbano essere nominati solo tra gli appartenenti alla prima fascia dirigenziale.

Dunque, gli ex direttori ed equiparati altri non sono che gli attuali direttori generali o al più i dirigenti di prima fascia.

Gaetano Sciacca è invece dirigente di terza fascia, a cui è stata affidata la responsabilità di un Servizio, il XVIII, da parte del direttore generale del Dipartimento Lavoro, cui è gerarchicamente sottoposto.

Il consigliere comunale dei 5 Stelle ha dunque una qualifica inferiore (e non equiparata, come dovrebbe essere perché fosse ineleggibile) rispetto a coloro che hanno preso il posto dei dipendenti che al tempo in cui fu emanata la legge in cui confida “Diventerà bellissima” erano chiamati direttori.

Ecco perché, difficilmente il ricorso della lista legata al presidente Nello Musumeci verrà accolto.

 

L’OPINIONE. Il sondaggio della discordia: accuse, sospetti e dietrologie, ma nessuno si accorge che quello di Tempostretto è innanzitutto fuorilegge. Il paradosso dell’arbitro che non applica le regole fondamentali ed espelle il candidato Cateno De Luca “entrato a gamba tesa”

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Nei giorni scorsi, un gruppo di sostenitori di Renato Accorinti, pur ritenendo “assolutamente discutibile la scelta editoriale”, si sono affannati a chiedere a tutti i simpatizzanti di partecipare in massa al sondaggio della testata giornalistica on line Tempostretto per far risalire in classifica il sindaco in carica ed evitare che venisse penalizzato alle urne, alle elezioni del prossimo 10 giugno, per l’effetto trascinamento, fenomeno che porta gli indecisi a votare per colui che risulta avanti nei sondaggi.

Il 27 maggio, Cateno De Luca, uno dei sette candidati a sindaco, al termine di un confronto rovente con gli avversari politici organizzato dalla stessa testata, ha accusato la direttrice di Tempostretto, Rosaria Brancato, di non aver pubblicato il risultato finale del sondaggio (ciò che era previsto per il 24 maggio) perché egli stesso sarebbe risultato il primo in classifica.

La direttrice si è giustificata parlando di hackeraggio e accusando nella sostanza il deputato regionale di aver fatto affluire moltissimi voti dalla provincia, cioè dai comuni di Fiumedinisi, Furci, Santa Teresa di Riva, in cui egli gode di maggioranza plebiscitaria, alterando così il risultato del sondaggio (dalla sua stessa testata organizzata). 

Il giurista Marcello Scurria, nel 2005 sostenitore del vittorioso Francantonio Genovese (all’epoca di sinistra, almeno formalmente); nel 2008 di Giuseppe Buzzanca, candidato di destra; nel 2013 vicino a Renato Accorinti , quando il professore di educazione  fisica la spuntò al ballottaggio; e ora – da quel che si capisce – simpatizzante di De Luca, ha sfidato pubblicamente la proprietà di Tempostretto chiedendo che spieghi “come e perché si sia verificato l’attacco di hacker che ha impedito la pubblicazione, essendo comunque ormai entrati negli ultimi quindici giorni dal voto in cui è vietato pubblicare i risultati del sondaggio”.

Nessuno, nessuno dei candidati, nessuno degli esperti di diritto e di politica che ronzano attorno a loro pregustando incarichi di sottogoverno, si è avveduto che il sondaggio della testata on line non è tanto “assolutamente discutibile”, per usare l’espressione degli Accorinti’s boys, ma è innanzitutto fuorilegge.

E’ fuorilegge al pari di un sondaggio fatto e pubblicato negli ultimi 15 giorni precedenti alle elezioni.

Lo stabilisce la stessa norma dell’articolo 8 della medesima legge n° 28 del 2000, quella  che vieta la pubblicazione dei sondaggi nelle ultime 2 settimane prima del voto.

Per la legge, quello di Tempostretto non può essere definito sondaggio e già solo per questo, per l’uso di questa (ingannevole) definizione, al di là del periodo in cui viene pubblicato, si pone in contrasto con legge.

Il “Regolamento in materia di pubblicazione e diffusione dei sondaggi sui mezzi di comunicazione di massa” sul punto (articolo 2, comma 2) è chiarissimo; e lo è proprio per impedire la manipolazione del consenso politico e l’alterazione del risultato della competizione elettorale.

Per questi motivi, il sondaggio per essere presentato come tale ai cittadini/elettori deve rispondere a requisiti dettagliatamente disciplinati dalla normativa ed è soggetto a una serie di procedure e controlli.

Parlare di un sondaggio che è stato truccato “votando da ogni parte d’italia”, come ha accusato la direttrice di Tempostretto, è una contraddizione in termini.

Sarebbe bastata una semplice segnalazione all’Autorità garante della Comunicazione (Agcom) e il sondaggio (o sedicente tale), i cui risultati parziali venivano di giorno in giorno pubblicati, sarebbe stato sanzionato, come è accaduto in passato – basta guardare nella banca dati dell’Agcom – per “manifestazioni di opinioni” spacciate subdolamente per sondaggi da altre testate giornalistiche.

Invece, a Messina, il sondaggio è diventato motivo di discordia, dietrologie, polemiche,  accuse incrociate e sospetti di manipolazione.

E’ come se, per fare una metafora per nulla poetica, gli allenatori di due squadre di calcio avversarie, a fronte di un arbitro che fischia i calci di rigore per falli avvenuti a centrocampo, invece di far rilevare e protestare perché sta clamorosamente violando un principio basilare del regolamento, consigliassero ai propri calciatori di farsi fare fallo in qualunque zona del rettangolo di gioco, salvo poi accusare l’arbitro di non essere super partes perché talvolta il rigore lo accorda e talvolta no.

In questa vicenda è successo qualcosa di ancora più paradossale: è stato lo stesso arbitro, ovvero, per rimanere alla metafora, chi ha organizzato il sondaggio e ne è il responsabile, a contestare ai calciatori di una squadra di aver cercato di truccare il risultato della partita, tentando di indurlo in errore.

E, infatti, l’arbitro, che per primo ha violato le regole fondamentali del gioco, ha espulso De Luca, reo di essere entrato a gamba tesa, infrazione veniale, a ben vedere, in una partita in cui non si era certi neppure di quale fosse l’area di rigore.

Insomma, uno spettacolo deprimente e un responso oggettivamente (questo si) impietoso.

Se ne è accorto, quasi indignato, il candidato del Movimento 5 Stelle Gaetano Sciacca, presente alla lite tra De Luca e Brancato.

L’ex capo del Genio civile, per anni politicamente vicino al Governatore Raffaele Lombardo che tutto si può dire tranne sia stato l’emblema di un modo di fare politica scevra da logiche di potere clientelare, è impegnato ad accreditarsi come uomo della politica nuova, della politica del fare: “Alla gente non frega nulla di queste discussioni”, ha affermato. 

 

Inchieste del Cas bis, per la Procura e il Gip Salvatore Mastroeni la gara d’appalto per la costruzione della Siracusa Gela era truccata, ma il Consiglio di Giustizia amministrativa un anno prima aveva detto il contrario. Il peso della testimonianza dell’ex capo del genio di Messina Civile Gaetano Sciacca, sconfessato dai giudici amministrativi

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Il gip Salvatore Mastroeni

Il gip Salvatore Mastroeni

L’impianto accusatorio dell’inchiesta condotta dalla Procura di Messina che il 14 marzo del 2018 è deflagrato con sei arresti eccellenti, si fonda su un dato sposato in toto dal Giudice per le indagini preliminari, Salvatore Mastroeni: la gara da 370 milioni di euro bandita nel 2013 dal Consorzio per le autostrade siciliane per la costruzione di un tratto di 20 km dell’autostrada Gela Siracusa è stata truccata a favore del Raggruppamento imprenditoriale Condotte Acque Spa e Cosedil Spa.

La prova?

Le dichiarazioni dell’ex Capo del Genio civile di Messina, Gaetano Sciacca.

Eppure, che le decisive valutazioni di Gaetano Sciacca non fossero giuridicamente corrette e che la gara non fosse truccata, non almeno secondo la modalità ritenuta dalla Procura, l’aveva stabilito in maniera chiara il Consiglio di giustizia amministrativa con una sentenza del 5 maggio del 2017, pubblicata 24 giorni dopo, il 29 maggio del 2017.

La pronuncia del massimo organo di giustizia amministrativa siciliana era arrivata due mesi prima che il procuratore aggiunto Vincenzo Barbaro, e i sostituti Rossana Casabona  e Alessia Giorgianni, il 6 luglio del 2017, chiedessero le misure cautelari per il funzionario Gaspare Sceusa, colui cioè che secondo l’accusa, quale presidente della sub commissione di gara incaricata di valutare un aspetto controverso del progetto esecutivo del gruppo risultato vincitore, aveva truccato la gara.

E sollecitassero analoghe misure cautelari per Nino Gazzara, vicepresidente del Cas; Nicola Armonium, titolare di una società di consulenza legale, Pachira Srl; per il i rappresentanti legali  del gruppo imprenditoriale Condotte Acque, Duccio Astaldi e Antonio D’andrea, per l’avvocato Stefano Polizzotto, accusati di essersi prodigati dopo l’aggiudicazione dell’appalto (insieme allo stesso Sceusa) per favorire l’impresa aggiudicataria nell’esecuzione dell’appalto, anche e soprattutto attraverso la corruzione dell’avvocato Gazzara avvenuta per il tramite di Armonium.

La sentenza del Cga era di nove mesi prima che il Gip Salvatore Mastroeni il 14 marzo del 2018 disponesse gli arresti domiciliari per Sceusa, Astaldi, D’andrea e Polizzotto e il carcere per Armonium e Gazzara, fidandosi ciecamente del materiale probatorio presentatogli dalla Procura.

Il giudice Mastroeni, in specie, per quanto riguarda il reato di alterazione del risultato della gara d’appalto che a Sceusa è costato la privazione della libertà, ha preso per oro colato quanto aveva detto Gaetano Sciacca.

La gara truccata secondo la Procura

Il gruppo Condotte Spa Cosedil Spa si era aggiudicata la gara presentando un progetto migliorativo rispetto a quello definitivo proposto dalla stazione appaltante e già approvato dal Genio civile di Ragusa.

Questo progetto migliorativo prevedeva che i conci dei viadotti “Salvia” e “Scardina” che attraversavano il tratto di autostrada oggetto di appalto fossero di dimensioni diverse da quelle contenute nel progetto definitivo: più grandi, e quindi in misura minore rispetto al progetto he costituiva termine di riferimento della gara.

La commissione ministeriale formata da tecnici nominati dal ministro alle Infrastrutture, dopo aver formulato la graduatoria finale che vedeva al primo posto il Raggruppamento Condotte acqua spa Cosedil spa, aveva chiesto alla sub commissione presieduta da Sceusa  proprio di verificare se questa miglioria non fosse in contrasto con la legge o con il disciplinare di gara e quindi la società risultata vittoriosa non andasse esclusa.

Più precisamente, i commissari nazionali chiedevano se in virtù proprio di queste modifiche non fosse necessaria la preventiva approvazione del progetto esecutivo proposto dall’impresa vincitrice da parte del Genio civile.

Dopo alcune sedute la sub commissione anche sulla base delle dichiarazioni rassicuranti dei legali dell’impresa aggiudicataria si pronuncia nel senso che non c’era bisogno di questa approvazione preventiva. Cosi si arriva all’aggiudicazione definitiva.

Gli inquirenti ipotizzano che questa decisione della sub commissione fosse illegale e di conseguenza la gara truccata. Iscrivono sul registro degli indagati oltre a Sceusa gli altri componenti la commissione.

Ma prove dell’illegalità non ne hanno. Non hanno intercettazioni, testimonianze. documenti che lo attestino. Nulla di nulla.

L’assist dell’ex Genio Gaetano Sciacca

E’ Gaetano Sciacca a fornire linfa alla tesi degli inquirenti.

Il 13 febbraio del 2016 infatti, al pubblico ministero che lo convoca in Procura, spiega con sicurezza: “Il progetto dell’offerta progettuale del raggruppamento Condotte Cosedil, avrebbe comportato la necessità di una nuova approvazione da parte del Genio civile, proprio perché era prevista una modifica dimensionale dei conci e una loro riduzione numerica”.

Sciacca va oltre: “Mi pare dubbio il comportamento della sub commissione che non si sia attivata per richiedere un parere al Genio civile sul progetto migliorativo”.

L’ex capo del Genio civile conclude, rincarando la dose: “Le modifiche tecniche contenute nell’offerta costituiscono una variazione tale da determinare non solo una nuova approvazione da parte del Genio civile ma una nuova approvazione in linea tecnica-amministrativa da parte dell’Anas”. Di più. Sciacca dichiara: “Il progetto andava approvato da un organo interno al Cas denominato Rina, e lo stesso Responsabile unico del procedimento avrebbe dovuto validare di nuovo il progetto”

Insomma, secondo Sciacca l’operato della sub commissione era stato completamente fuori legge.

Il giudice Mastroeni d’accordo con i i tre pubblici ministeri Barbaro, Casabona e Giogianni, sulla scorta di questa valutazione, conclude: “Vi è un’evidente turbativa della gara”.

Se Sciacca è smentito dal Cga e i giudici non se ne avvedono

La gara d’appalto arriva all’attenzione degli organi di giustizia amministrativa regionale cui si erano rivolti le società perdenti, immediatamente dopo l’aggiudicazione.

Secondo i ricorrenti la società aggiudicataria andava esclusa proprio perché il progetto migliorativo richiedeva nuova e  preventiva autorizzazione da parte del Genio civile.

E’ stato il Tar di Catania nel 2014 semplicemente in base a quanto sostenuto nel ricorso sul punto e senza alcun giudizio di merito a chiedere alla Procura di Messina di controllare l’andamento della gara.

In sede di merito, tuttavia sia il Tar che, in appello, il Cga danno ragione al Cas e al Raggruppamento vittorioso.

Sul dato su cui si incentra l’inchiesta penale, già il Consiglio di giustizia amministrativa si era pronunciato l’1 dicembre del 2014, un anno e mezzo prima che Sciacca venisse sentito dalla Procura.

I giudici d’appello avevano rigettato il ricorso sottolineando che “la sub commissione aveva approfondito la questione della necessità dell’approvazione preventiva del progetto del Genio civile e che comunque questa rientrava nella valutazione discrezionale della commissione, aggredibile solo se irragionevole: cosa che non ricorreva nel caso di specie”.

Una motivazione che ha permesso ai pm ministeri e al Gip di ritenere che questa decisione del Cga non ostasse sotto il profilo penale alla configurazione del reato di turbativa d’asta

Tuttavia, il Cga nel 2017 torna specificamente sulla questione nel giudizio revocatorio, rimedio straordinario (per fare un parallelismo una sorta di revisione di sentenza penale passata in giudicato), instaurato dalle società perdenti.

E vi torna non solo in punto di diritto giustificando tutto attraverso il ricorso alla categoria della discrezionalità amministrativa, ma avvalendosi della consulenza tecnica del capo del Genio civile di Ragusa, ovvero di colui che guida l’ufficio competente a esprimersi sul progetto dell’appalto.

Il giudizio tranciante del consulente del CGA

Sulla base di questa consulenza il Cga aveva concluso che “la relazione non lascia adito a dubbi sulla natura dell’intervento autorizzatorio del Genio civile e sul carattere non essenziale delle modifiche proposte dalla società aggiudicataria riguardo le dimensioni dei conci dell’impalcato dei viadotti Salvia e Scardino”.

Il Capo del Genio civile di Ragusa, smentendo Gaetano Sciacca, nella sua relazione aveva spiegato: “Le società concorrenti erano libere di presentare progetti migliorativi. L’ unica condizione è che prima della realizzazione delle opere (e non prima dell’aggiudicazione e della presentazione dell’offerta da parte delle ditte concorrenti, ndr) vengano depositati gli esecutivi e le verifiche delle opere provvisionali per la preventiva autorizzazione del Genio civile”.

Ciò che ha sempre ritenuto la sub commissione presieduta da Sceusa e ciò che è stato fatto dopo l’aggiudicazione e prima dell’inizio dei lavori.

In altre parole, secondo il Cga, la sub commissione presieduta da Sceusa ha operato correttamente secondo quelle che sono le regole tecniche in materia giuridico ingegneristica.

Esattamente il contrario dell’idea che si è fatta la Procura.

Di questa sentenza del 2017 nella richiesta di misure cautelari e nell’ordinanza firmata da Mastroeni non c’è traccia

Che “c’azzecca” l’ex capo del Genio civile…

Le prove regina che la gara fosse truccata è la testimonianza di Gaetano Sciacca.

Questi è stato sentito a sommarie informazioni testimoniali, benché in realtà gli inquirenti gli abbiano chiesto una valutazione tecnica, da veri e propri esperti: ciò che per legge si fa attraverso la nomina di un consulente. E solo questa d’altronde gli potevano chiedere.

Sciacca non solo non è testimone: non si è mai occupato del progetto dell’autostrada che rientrava nella competenza del Genio civile di Ragusa, quindi nulla sa dell’opera.

Ma quando viene sentito non è più da due anni ormai (dal 14 settembre del 2014) a capo del Genio civile di Messina: è infatti a capo di ufficio con tutt’altre competenze, l’Ispettorato del Lavoro.

Non solo. Tra il 2011 e il 2012, per oltre un anno, Gaetano Sciacca, per volere dell’allora Governatore Raffaele Lombardo, ha rivestito, contemporaneamente alle funzioni di capo del Genio civile, anche quelle di vertice del Consorzio per le autostrade siciliane: dei cui funzionari anni dopo ha bocciato l’operato.

Il perché un procuratore della Repubblica senta la necessità di convocare Sciacca, che nella vicenda non ha avuto alcun ruolo, è un mistero che la lettura degli atti non permette di disvelare.

Gravi indizi…. di equivoci

Che la gara d’appalto non si possa dire truccata non significa che le altre ipotesi di reato contestate dalla Procura e accolte dal Gip (che ha disposto una serie di arresti), relativamente al periodo successivo all’aggiudicazione poggino di conseguenza solo per questo sulla sabbia.

Tuttavia, la lettura delle carte consente di dire che una serie di fatti per come sono stati ricostruiti dalla Procura non hanno pieno riscontro nella realtà o sono smentiti.

Di certo c’è che Nino Gazzara, ex onorevole della repubblica italiana, ha ottenuto il 20 gennaio del 2015 un contratto di consulenza legale per attività professionale di avvocato della durata di un anno dalla società Pachira di Nicola Armonium, a sua volta legata da contratto con il gruppo imprenditoriale che si era aggiudicato l’appalto. E che ha incassato 31 mila euro.

 

Viadotto Ritiro, il capo del Genio civile, Leonardo Santoro le “spara” grosse: “Il mio predecessore Sciacca aveva dato il via libera all’allaccio dello svincolo di Giostra”. Ma carte non ne mostra

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santoro leonardo

“L’ex capo del Genio civile di Messina Gaetano Sciacca in dichiarazioni pubbliche si diceva contrario, ma aveva dato il via libera ad attaccare il giunto sul viadotto Ritiro che avrebbe consentito di aprire nel 2012 in entrambi i sensi lo svincolo di Giostra. Ho chiesto all’Anas, titolare della direzione lavori, di spiegarmi perché non hanno autorizzato la ditta a  farlo ma non ho avuto nessuna risposta. Nella migliore delle ipotesi c’è stato un danno erariale”.

L’ultima rivelazione del capo del Genio civile di Messina, Leonardo Santoro, è di quelle clamorose.

Politicamente vicino al presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone,  Santoro nella serata di mercoledì 20 maggio 2015, a supporto delle sue dichiarazioni si dice pronto a mostrare le carte. “Venga domani al Genio civile”, invita. Il giorno dopo, però, carte non ne mostra. Anzi, benché nei giorni precedenti abbia rilasciato su questa tematica dichiarazioni che hanno scatenato lo stupore degli addetti ai lavori e violente polemiche, per rispondere alle domande ritiene bisogna chiedere l’autorizzazione all’assessore regionale alle Infrastrutture. Non solo: “L’intervista si configura come l’accesso gli atti amministrativi: dunque, è necessario fare un versamento sul conto corrente della regione Sicilia”, spiega Santoro, introducendo un principio ignoto al diritto e al giornalismo di ogni latitudine.

MILLANTERIE DI UN GENIO.

Ma le carte che Santoro non mostra ci sono?

E’ proprio l’ex Capo del genio civile, Gaetano Sciacca, a rispondere: “E’ falso. Non ho mai dato il via libera ad appoggiare il giunto sul viadotto, né mai potevo farlo. C’è una relazione di alcuni docenti dell’Università di Messina, ci sono le norme tecniche e ci sono i principi di logica e buon senso che me lo hanno impedito. Ma non voglio fare polemiche. I documenti parlano chiaro. Di più non voglio aggiungere”.

La relazione firmata dai docenti universitari Nino D’andrea e Nino Recupero ha lanciato l’allarme sulla tenuta del Viadotto di 200 metri costruito nel 1968. “Il viadotto va al più presto messo in sicurezza. I calcoli mostrano che non verifica né da un punto di vista statico né dinamico. C’è un rischio di collasso. Soprattutto nella parte esterna, che presenta segni molto gravi di ammaloramento del cemento armato a causa di infiltrazioni e conseguenti fenomeni ossidativi dell’armatura”, questo in sintesi il responso dei tecnici.

Il responso ha indotto il Consorzio autostrade siciliane proprietario del “Ritiro” a ridurre da due ad una la carreggiata percorribile per alleggerire il carico e progettare la messa in sicurezza del viadotto per la quale sono stati stanziati 60 milioni di euro

I RIMEDI.

C’è voluto un po’ di tempo ma alla fine il Cas è riuscito a portare a termine la gara d’appalto da 60 milioni di euro per la demolizione e successiva ricostruzione del viadotto Ritiro. C’è un progetto preliminare. C’è una società che a dicembre del 2014 si è aggiudicata la gara, la Toto Costruzioni Spa, che sta preparando il progetto definitivo. Ma c’è pure un ricorso amministrativo pendente: il Tar ha rigettato il ricorso cautelare della seconda classificata. Il 28 maggio davanti al Cga è previsto l’appello.

A 15 giorni dall’udienza con una ditta aggiudicataria che ha inviato a Messina tecnici ed ingegneri, Leonardo Santoro, che in qualità di Capo del Genio civile non ha alcuna competenza sull’opera,  si è prodotto in esternazioni che hanno suscitato reazioni critiche da parte di tutti gli addetti ai lavori: “Il giunto si poteva mettere. La collocazione dei giunti migliorerebbe la situazione di stabilità del viadotto”, ha affermato Santoro secondo quanto riportato dagli organi di informazione.

Ma che senso ha fare queste dichiarazioni pubbliche, che gettano ombre sull’operato dello stesso organismo che Santoro dirige, ora che i giochi sono fatti?

IL DANNO “IPOTETICO” DI SANTORO

Leonardo Santoro spiega: “Questo è vero, ma in questi due anni lo svincolo poteva essere usato a pieno regime e invece non lo si è fatto colpevolmente”, insiste il capo del Genio civile.

Santino Trovato, presidente dell’Ordine dell’ingegneri di Messina, commenta: “Santoro dice cose molto gravi. Fare proclami pubblici è di nessuna utilità. Se è convinto di ciò che dice dovrebbe tirare fuori le carte, portarsi alla Procura della Corte dei conti e della Repubblica e depositare una bella denuncia”.

Santoro l’ha fatto? La risposta è di quelle che lasciano sconcertati. La tesi di Santoro esposta pubblicamente, infatti, diventa una semplice ipotesi: “Ho sottoposto la mia ipotesi alla Commissione regionale sulla viabilità di cui sono membro. Sarà questo organismo a stabilire se è o meno fondata”.

LE REAZIONI.

L’unico a esultare è stato l’ex sindaco Peppino Buzzanca, commissario straordinario per l’emergenza traffico e stazione appaltante dello svincolo rimasto “a metà”. Il “giunto” fu motivo di duro scontro tra il sindaco, che riteneva si dovesse procedere subito con l’allaccio dello svincolo al viadotto Ritiro, e il capo del Genio civile Sciacca, che ritenendo invece fosse necessario verificare prima le condizioni del viadotto Ritiro non ne ha voluto sapere di dare il suo nulla osta. “Santoro ha fatto giustizia alle falsità e alle fandonie tre anni dopo”, ha tuonato Buzzanca.

L’assessore comunale ai lavori pubblici Sergio De Cola, invece, non ha approvato: “La sortita di Santoro è incomprensibile”. Come i vertici del Consorzio autostrade siciliane: “Parlerò solo dopo il 28 maggio”, taglia corto Salvatore Pirrone, direttore generale del Cas.

Ma il più imbufalito di tutti – secondo alcune indiscrezioni – per l’uscita a freddo di Santoro è il prefetto Stefano Trotta, preoccupato per lo stato del Ritiro e per gli effetti che le dichiarazioni possono determinare sull’iter dei lavori. Subentrato a Sciacca a settembre del 2014, Santoro non ha digerito che il suo predecessore abbia tentato di ostacolarne l’insediamento (avvenuto a settembre del 2014) con un ricorso al Tribunale del Lavoro e da subito ha cercato di rubargli la scena mediatica che anche Sciacca ha sempre amato.

L’ira del Prefetto non ha preoccupato Santoro. Il dirigente regionale ha rincarato la dose accusando ora Sciacca di essere stato ambiguo sull’autorizzazione e ha convocato una conferenza stampa per venerdì 22 maggio. “Lei ci verrà?”, chiede dopo aver negato le carte e l’intervista promesse la sera prima. “Non ho tempo da perdere”, si sente rispondere.