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Donatella Sindoni non è più consigliere comunale, al suo posto subentra Giuseppe Siracusano. Anche per la Corte d’appello non era eleggibile. La sentenza è immediatamente esecutiva. Naufragano le tesi del legale Antonio Catalioto. Il caso sollevato da un servizio giornalistico.

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Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Donatella Sindoni non era eleggibile ed è sostituita da Giuseppe Siracusano.

La corte d’appello di Messina si trova d’accordo con il Tribunale e decreta la decadenza dal Consiglio comunale della biologa prestata alla politica.

Nel contempo, dispone che il suo posto venga ricoperto dal primo dei non eletti della lista cui apparteneva alle elezioni amministrative del 2013.

Non potendo essere Giovanni Cocivera, che nel frattempo è finito prima agli arresti e poi sotto processo per gravi reati connessi alla sua professione di ginecologo, i giudici hanno decretato che temporaneamente il nuovo consigliere comunale sia Giuseppe Siracusano, di professione avvocato.

Dura lex… sed lex

Il provvedimento della Corte d’appello, pubblicato qualche minuto fa, per la legge è immediatamente esecutivo e dunque la Sindoni non è più da considerasi appartenente al civico consesso.

Donatella Sindoni al momento in cui è stata eletta nel giugno del 2013 era ineleggibile, benché avesse dichiarato di non avere alcuna causa di ineleggibilità all’atto della presentazione delle candidature.

Era, infatti, titolare di un laboratorio di analisi convenzionato con l’Asp 5 di Messina: ciò che la legge regionale e nazionale vietavano e vietano.

La stessa consigliera, peraltro, aveva occupato lo scranno di consigliere comunale tra il 2005 e il 2006 pur essendo allo stesso modo ineleggibile.

La Corte d’appello si è trovata d’accordo con il Tribunale, che aveva sancito la ineleggibilità della Sindoni già il 2 febbraio del 2016.

Ancora prima, il 30 giugno del 2016, l’Ufficio legale e legislativo della Regione, massimo organo di consulenza giuridica degli enti locali siciliani, aveva dichiarato la consigliera ineleggibile.

L’ineleggibilità era stata sollevata, un anno prima, il 22 giugno del 2015,  da un servizio giornalistico a firma di Michele Schinella pubblicato sul blog www.micheleschinella.it dal titolo “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”.

Tuttavia, nonostante fosse chiaro e palese che la Sindoni non si potesse candidare alle elezioni del 2013, è rimasta in carica sino a pochi mesi dalla scadenza del mandato  grazie ai ritardi e alle indecisioni del segretario generale del Comune Antonino Le Donne e al comportamento di gran parte dei consiglieri comunali, che all’atto di votare la decadenza non si sono presentati al voto come è accaduto da ultimo hanno ritirato la firma sulla proposta di delibera della decadenza (vedi servizio).

Una difesa…eccezionale

Assistita dal suo legale Antonio Catalioto, le cui tesi sono state spazzate via da due organi giurisdizionali della repubblica italiana e prima ancora dal massimo organo di consulenza giuridica della regione, la consigliera le ha provate tutte (conferenze stampa comprese)  pur di rimanere incollata allo scranno che per legge non poteva occupare, riuscendo a guadagnare mesi e mesi di carica e di gettoni di presenza.

La consigliera infatti pur di impedire al Consiglio comunale di votare sulla sua ineleggibilità a poche ore dal voto denunciò in Procura il segretario generale Le Donne e minacciò di denunciare i colleghi consiglieri.

Tutta la vicenda, dipanatosi per due anni e mezzo, è illustrata nel servizio, sempre a firma di Michele Schinella, dal titolo “Caso Sindoni: “Il segretario generale Le Donne sotto accusa e denunciato in Procura. L’avvocato Scurria ispira il vicesegretario del Comune Interdonato. Ma le tesi del legale non stanno in piedi. Come quelle del collega Catalioto”

 

 

 

 

 

 

 

“Accorinti è il sindaco di Francantonio Genovese. Vergognati”. Il Consiglio non approva la mozione di sfiducia e Pippo Trischitta si scaglia contro l’assessore Daniele Ialacqua. Il video dello show del consigliere di Forza italia. La Sindoni attacca la presidente Barrile e la invita a sgomberare il pubblico. Reo di voltarle le spalle: in silenzio

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“Ventitrè voti favorevoli, 10 contrari, 5 astenuti. Il Consiglio non approva la mozione di sfiducia”.

Il presidente del Consiglio Emilia Barrile ha appena comunicato il responso del voto al termine di 10 ore di dibattito e i sostenitori del sindaco Renato Accorinti intonano “Bella ciao”.

Pippo Trischitta, il consigliere più critico contro l’amministrazione Accorinti,  è furibondo e va via tra i primi.

All’esponente di Forza Italia, “Bella ciao, bella ciao”, proprio non va giù.

All’uscita incrocia l’assessore all’Ambiente Daniele Ialacqua e lo attacca: “Non ti vergogni ad essere l’assessore del sindaco di Genovese”. Ialacqua risponde: “Vattene a casa”.

Trischitta continua il suo show: “E’ stato Francantonio Genovese a ordinare ad alcuni consiglieri di non appoggiare la sfiducia”.

E fa i nomi dei 5 consiglieri che si sono astenuti o sono usciti dall’aula.

Si tratta dei nuovi colleghi di partito, che sulle orme di Genovese sono passati dal Pd, di cui Genovese prima che finisse in carcere (coinvolto nell’inchiesta sulla formazione) era leader, alla stessa formazione di Forza Italia cui fa parte Trischitta: tra questi la presidente del Consiglio Barrile.

Francantonio Genovese e Renato Accorinti

Francantonio Genovese e Renato Accorinti

Trischitta, l’avvocato/showman

Pippo Trischitta durante i lavori si era prodotto in show provocatori che avevano suscitato le proteste e gli sberleffi dei sostenitori di Accorinti assiepati nella tribuna.

“Signor presidente. E’ una vergogna. Deve intervenire. Non è rispetto questo delle Istituzioni. Faccia uscire tutti”.

A pochi minuti dal voto, quando si è accorto che nel corso dell’intervento di Donatella Sindoni tutto il pubblico ha dato le spalle alla consigliera, Trischitta ha arringato il presidente del Consiglio comunale.

Solo in quel momento la stessa consigliera si è accorta che il pubblico, per disapprovare la sua pervicacia a rimanere incollata allo scranno benché dichiarata ineleggibile dall’Ufficio legale e legislativo della Regione e dal Tribunale di Messina, si era messo con le spalle voltate.

Infatti, quello della Sindoni è stato l’intervento meno disturbato dai presenti che sono stati in religioso silenzio finchè Trischitta non si è alzato dal suo posto rivolgendosi al presidente.

La protesta silenziosa e “la porcheria di amministrazione”

Trischitta ha dato un formidabile assist alla consigliera per protestare contro il presidente e dirsi vittima: “Non posso continuare. Il mio intervento è disturbato. Deve sgombrare il pubblico”.

La presidente l’ha invitata a continuare nell’intervento. La Sindoni, da poco transitata anche lei dal Pd a Forza Italia a<l seguito di Genovese, l’ha sfidata: “Se non interviene la invito ad abbandonare il suo ruolo di presidente che non svolge correttamente”.

A quel punto la Barrile ha perso la trebisonda. E si è prodotta, a sua volta, in uno show che non aveva nulla da invidiare a quelli del miglior Trischitta.

Ha ordinato alla polizia municipale di sgomberare il pubblico. Poi ha lasciato il suo posto sbattendo le carte. Dopo qualche secondo è tornata e si è diretta verso Trischitta e ha inveito contro di lui, reo di aver spalleggiato la collega di partito.

La quale Sindoni peraltro qualche secondo prima l’aveva attaccata affermando che il Comune aveva speso 10mila euro per le trasferte della presidente: ciò che aveva innervosito non poco la Barrile.

Intanto, gli uomini della polizia municipale e della Digos sono saliti in Tribuna. “Dovete andare via tutti. E’ un ordine del presidente”.

Nessuno si è mosso.

“Ma perché, è obbligatorio guardare il consigliere mentre parla?”, hanno chiesto in molti. “Qual è il reato?”.

L’ordine era così campato in aria che gli agenti stessi nulla hanno fatto.

Nel frattempo, in tribuna è arrivato il segretario generale Antonio Le Donne che ha convinto i sostenitori di Accorinti a stare nella posizione canonica.

Il presidente è tornato al suo posto e ha dato la parola alla Sindoni. Nel silenzio assoluto la consigliera ha insistito: “Presidente, le chiedo di sgomberare il pubblico”.

Nessuno le ha dato corda.

Ha così ripreso l’intervento e guardando Accorinti e i suo assessori ha concluso: “Voterò la sfiducia perchè questa porcheria di amministrazione se ne vada a casa”.

IL COMMENTO: Caso Sindoni, il segretario generale Le Donne sotto accusa e denunciato in Procura. L’avvocato Scurria ispira il vice presidente del Consiglio Interdonato. Ma le tesi del legale non stanno in piedi. Come quelle del collega Catalioto. Il caso Buzzanca lo dimostra

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Il segretario generale Antonio Le Donne

Il segretario generale Antonio Le Donne

 

Mancanza di imparzialità e predisposizione di un atto illegittimo per fare fuori un consigliere comunale a cui nel frattempo si è abusivamente impedito di esercitare le sue funzioni.

Per un Segretario generale, custode della legalità nell’ambito dell’amministrazione locale, le accuse che gli ha rivolto pubblicamente Nino Interdonato, il vicepresidente del Consiglio comunale, sono le più gravi e indigeste si possano ricevere. Anche perchè dallo stesso consigliere rimesse alla valutazione della Procura.

Sono indigeste ancor di più se arrivano a qualche ora da quelle della stessa natura che gli ha mosso la consigliera Donatella Sindoni in un esposto in Procura, letto su input del suo legale Antonio Catalioto a pochi minuti del voto fissato sulla delibera che avrebbe sancito la fine della sua lunga avventura da ineleggibile a palazzo Zanca.

L’Ufficio Legale e legislativo della Regione e di recente, a distanza di 8 mesi, una pronuncia del Tribunale di Messina, infatti, hanno stabilito che la biologa prestata alla politica non poteva partecipare alle elezioni di maggio del 2013.

Il consigliere Nino Interdonato con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il consigliere Nino Interdonato (a destra) con il deputato regionale Beppe Picciolo

Il giovane politico, pupillo del deputato regionale Beppe Picciolo, avendo firmato la proposta di delibera predisposta dalla Segreteria generale e messa all’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio si è preoccupato e non poco alla lettura dell’esposto che denunciava abusi: “Segretario, mi conferma che la delibera è legittima?”, ha chiesto un paio di volte, prima di tranquillizzarsi e votare: invano, perché non si è raggiunto il numero legale.

Tuttavia, è bastato che qualche ora dopo un avvocato gli fornisse un parere legale perché  lo spavento di Interdonato diventasse terrore: l’esponente di Sicilia Futura non solo ha preso le distanze dalla delibera di decadenza (con il ritiro della firma), ma è arrivato ad accusare il segretario Le Donne di assenza di imparzialità e disonestà, investendo anche lui del caso la Procura.

 Abusi in decadenza

Secondo l’avvocato/consulente di Interdonato, la proposta di delibera è frutto di abusi. Interdonato ha supinamente sposato la tesi del legale.

L’uscita pubblica di Interdonato, unito all’esposto letto in aula  e alla minacce di denunce per chi avesse votato la delibera mosse ai colleghi dalla stessa Sindoni (vedi articolo), ha paralizzato la decisione del Consiglio comunale sul punto.

 

Corsi e ricorsi storici

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato Marcello Scurria, l’avvocato che con i suoi consigli giuridici permise tra ricorsi, controricorsi ed eccezioni all’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca di mantenere per due anni la carica di sindaco di Messina e consigliere regionale, nonostante la Corte costituzionale (il 23 aprile del 2010) avesse stabilito che non potessero essere cumulati.

Naturalmente, tutto questo fu possibile grazie alla complicità dell’Ars, che pendente il ricorso non ne volle sapere di votare in sede di verifica dei poteri sull’incompatibilità del collega. Fu il Tribunale amministrativo regionale a ordinargli di discutere e deliberare la decadenza di Buzzanca: esattamente il 26 giugno del 2012, due anni e 3 mesi dopo dalla sentenza della Consulta.

A battersi per l’incompatibilità di Buzzanca fu proprio Antonio Catalioto, che assisteva il primo dei non eletti, Antonio D’aquino: il legale si mostrò più volte indignato per la resistenza del sindaco a tenersi entrambe le poltrone.

 

Le tappe della vicenda Sindoni

Il 22 giugno del 2015 nel servizio giornalistico “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”, viene sollevato il caso dell’ineleggibilità.

L’1 dicembre 2015 il Segretario generale Antonio Le Donne chiede un parere legale al Dipartimento enti locali della Regione Sicilia.

Il 30 giugno del 2016 l’Ufficio legale e legislativo della Regione, massimo organo di consulenza giuridica degli enti locali siciliani, dichiara Donatella Sindoni ineleggibile.

Il 4 agosto 2016 il Consiglio comunale discute e si pronucia sulla delibera di decadenza. 11 assenti, 8 favorevoli, 1 contrario, 20 astenuti. Le proposta non viene approvata.

Il 2 febbraio del 2017 il Tribunale di Messina si pronuncia sull’ineleggibilità. E dispone: “Il Tribunale dichiara Donatella Sindoli ineleggibile. Sostituisce la stessa con il primo dei non eletti”. Ordinanza Tribunale Messina Sindoni

Il 3 febbraio 2017 la Sindoni si presenta a palazzo Zanca e partecipa comunque ai lavori.

Il 6 febbraio 2017 la Sindoni torna a Palazzo Zanca ma su disposizione del Segretario generale le viene impedito di partecipare ai lavori

Il 6 febbraio 2017 alle ore 17 e 55 il legale della Sindoni, Antonio Catalioto, comunica al Segretario generale che è stato proposto appello.

Il 6 febbraio 2017 la Segreteria generale predispone una nuova delibera di decadenza, fondata sempre sul parere dell’Ufficio legale della Regione ora però corroborato dalla pronuncia dei giudici. La proposta di delibera, per conto dell’Ufficio di Presidenza è firmata dal vicepresidente Nino Interdonato.

L’8 febbraio 2017 la delibera approda in aula: il legale della Sindoni a pochi minuti dal voto annuncia che è stata presentato esposto in Procura Esposto procura Sindoni, per denunciare gli abusi del Segretario generale e della Presidenza del Consiglio. Scoppia la bagarre, non si raggiunge il numero legale di 16 per poter votare. Solo 15 i presenti, tutti favorevoli. 25 gli assenti su 40 consiglieri.

Il 9 febbraio 2017 il vicepresidente del Consiglio Nino Interdonato ritira la firma sulla proposta di delibera, si dimette, e attacca il segretario generale accusandolo di mancanza di imparzialità e di illegalità. Trasmette la nota alla Procura della Repubblica, cui chiede di verificarne la condotta.Nota di Interdonato

 

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

La confusione di Catalioto

Antonio Catalioto, subito dopo la pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale, aveva sostenuto in dichiarazioni al giornale on line Tempostretto che l’ordinanza non fosse immediatamente esecutiva citando la norma del codice di procedura civile che disciplina gli effetti in caso di mancato appello, ovvero il divenire della stessa cosa giudicata: “L’art.702 quater dispone che l’ordinanza emessa ai sensi dell’art.702 ter produce gli effetti esecutivi dell’articolo 2909 codice civile se non è appellata entro i 30 giorni dalla sua comunicazione”, ha detto Catalioto al giornalista.

Invece, la norma che disciplina l’efficacia dell’ordinanza è il comma 8 dell’articolo 22 della Dlgs 150/2011 che stabilisce. “L’efficacia esecutiva dell’ordinanza pronunciata dal Tribunale è sospesa in pendenza di appello”articolo 22 dlgs 150-2011.

La lettera della norma è chiara. L’ordinanza è esecutiva; nel momento in cui viene incardinato l’appello (che quindi da quel momento pende) l’efficacia è sospesa.  

L’avvocato Catalioto, così, dopo aver letto la norma giusta e dopo averla interpretata, ha cambiato rotta, e per sostenere che Le Donne ha commesso un abuso nell’impedire a Donatella Sindoni di partecipare ai lavori prima della proposizione dell’appello si è inventato un’altra teoria.

Nella nota di diffida inviata al Segretario generale (Diffida di Catalioto a Le Donne)  poi ripresa nell’esposto inviato in Procura, ha sostenuto che l’ordinanza del Tribunale non potesse impedire alla Sindoni di svolgere sino al momento della proposizione dell’appello la sua attività di consigliere “perché sancisce l’ineleggibilità e non dichiara la decadenza che spetta al Consiglio comunale”.

Ripasso di diritto amministrativo

Tuttavia, le argomentazione del legale si scontrano con un principio elementare per gli studenti di giurisprudenza che hanno sostenuto l’esame di diritto amministrativo. In presenza di un’ordinanza che dichiara l’ineleggibilità (e porta alla nullità con effetto retroattivo dell’elezione come se mai ci fosse stata) non impugnata in appello (appello nel caso di specie che appunto non c’è sino alla sera del 6 febbraio) al Consiglio comunale spetta la sola mera presa atto dell’ineleggibilità dichiarata dai giudici e la sostituzione con il primo dei non eletti. Null’altro. La decadenza non c’entra nulla.

Marcello Scurria su questa conclusione  è concorde.

L'avvocato Marcello Scurria

L’avvocato Marcello Scurria

L’interpretazione Scurresca nostalgica del passato

Ma per il legale/consulente di Interdonato il segretario generale ha commesso comunque un abuso a impedire alla Sindoni di partecipare ai lavori perché l’ordinanza non era immediatamente esecutiva.

“E’ vero la lettera della norma sembra dire che l’efficacia è esecutiva”, dice Scurria. “Ma la norma va interpretata. In passato era principio pacifico che la pronuncia non avesse efficacia immediata”.

La norma infatti (abrogata nel 2011) stabiliva: “L’ esecuzione delle sentenze emesse dal tribunale civile resta sospesa in pendenza di ricorso alla corte d’appello”.

“Il legislatore del 2011 non ha saputo copiare”, conclude Scurria.

Marcello Scurria è molto affezionato al passato e allergico alle innovazioni legislative.

Dimentica, infatti, che il Dlgs 150 è stato fatto per unificare i vari procedimenti civili speciali, ben 33 per la precisione, che pullulavano nell’ordinamento creando lungaggini e difficoltà interpretative, e ricondundurli ai tre principali: quello ordinario di cognizione, quello del lavoro e quello sommario di cognizione (cui viene ricondotto quello elettorale).

Basta leggere la relazione illustrativa della legge delega (sfociata poi nel dlgs del 2011) e i lavori della dottrina sul punto.

Principio comune da decenni dei tre riti è che tutte le pronunce di primo grado sono immediatamente esecutive: la parte soccombente può però a certe condizioni fare istanza di sospensione della provvisoria esecutività.

La dottrina così è unanime, partendo dalla lettera della norma e dalla ratio del legislatore, nel dire che la nuova formulazione è da intendere nel senso che l’ordinanza ha efficacia esecutiva immediata come tutte gli altri (vedi, ad esempio, lavoro sul punto di Luca Andreassi)

L’eccezione sancita dall’articolo 22, comma 8,  rispetto alla regola generale sta ne fatto che l’appello sospende automaticamente l’efficacia esecutiva della pronuncia senza che sia necessario apposita istanza di sospensione ai giudici, come prevede la regola generale.

Il primo abuso di Le Donne non c’è

Dunque anche la tesi di Scurria sull’efficacia dell’ordinanza presa per oro colato da Interdonato, è una mera opinione di Scurria, smentita dall’interpretazione unanime della dottrina. Così come quella di Catalioto.

Le Donne dunque ha fatto bene a impedire alla Sindoni di prendere parte ai lavori del 6 febbraio.

La Sindoni, dal canto suo, abusivamente ha partecipato ai lavori del 3 febbraio e illegalmente voleva partecipare a quelli del 6 febbraio.

 

La consigliera torna in carica: il secondo abuso di Le Donne secondo i due legali

A partire dalla serata del 6 febbraio la Sindoni è tornata nella pienezza delle sue funzioni.

Per i due legali il Consiglio comunale non poteva pronunciarsi sulla delibera di decadenza della Sindoni preparata dalla segreteria generale, votando favorevolmente o in senso contrario. Dunque, Le Donne ha fatto un altro abuso.

Il motivo?

Scurria (nella nota di Interdonato)  e Catalioto (nella diffida e nell’esposto) sostengno, senza citare né norma giuridica né precedente, né dottrina, che siccome c’è una causa pendente davanti ai giudici al Consiglio è precluso pronunciarsi contemporanemante sulla stessa vicenda finchè pende il giudizio.

Smentiti dalla Corte costituzionale

Questa tesi non solo non è fondata su nessuna norma giuridica né precedente né lavoro dottrinale. Ma è stata smentita più volte dalla Corte costituzionale (vedi, ad esempio, sentenza 357 del 1996), a sua volta più volte richiamata dai giudici amministrativi e dalla Cassazione, che ha stabilito esattamente il contrario.

E cioè che i due porocedimenti scorrono su binari diversi e che l’uno è autonomo rispetto all’altro.

Ha infatti stabilito la Corte Costituzionale: “La procedura di verifica dei poteri davanti al Consiglio e il giudizio di fronte al Tribunale – per quanto attivabili entrambi per iniziativa di cittadini elettori, estranei al Consiglio stesso, e orientati in definitiva allo scopo comune dell’eliminazione delle situazioni di incompatibilità e di ineleggibilità previste dal legislatore, in cui versino i consiglieri – si svolgono su piani diversi, mirando a finalità immediate anch’esse diverse: la verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione, la prima; la garanzia del rispetto delle cause di ineleggibilità e incompatibilità nell’interesse della generalità dei cittadini elettori e a opera della Autorità giudiziaria, la seconda”.

La Consulta ha ancora precisato: “Questo spiega la concorrenza delle due distinte garanzie in ordine alle cause di incompatibilità e di ineleggibilità, concorrenza ormai pacificamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte di cassazione e giudicata conforme alla Costituzione da questa stessa Corte”.

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

Giuseppe Buzzanca e Marcello Scurria

A proposito di …. memoria coerenza e imparzialità

Marcello Scurria, il principio della concorrenza e autonomia del procedimento amministrativo di verifica dei poteri dal giudizio davanti al Tribunale lo conosce molto bene.

Come lo conosce molto bene l’avvocato Antonio Catalioto.

Lo conoscono bene entrambi perché lo hanno sperimentato nella vicenda che ha portato alla decadenza del sindaco Buzzanca. Ma forse se ne sono dimenticati,

Scurria tentò di usare l’argomentazione dell’efficacia preclusiva del giudizio pendente davanti al Tribunale per evitare che l’Assemblea regionale siciliana, cui si era rivolto Antonio Catalioto (che allora sosteneva il contrario e adesso ha cambiato opinione), si pronunciasse sulla decadenza di Buzzanca.

Il Tar di Palermo, richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, fu netto ad ordinare all’Ars di pronunciarsi riaffermando il principio che la circostanza che ci fosse un giudizio ordinario pendente non avesse rilevanza (vedi sentenza Tar di Palermo)

 

Se Scurria supera Catalioto

L’avvocato Marcello Scurria va oltre le argomentazioni di Catalioto. Sostiene infatti, sempre per fondare l’accusa di abuso a Le Donee, che nel caso di specie il Consiglio comunale si è già pronunciato sulla sua ineleggibilità e, dunque, secondo il legale una volta che ha già votato ha consumato il potere di farlo, ovvero di pronunciarsi nuovamente.:

Questa conclusione dell’avvocato Marcello Scurria non è sostenuta da nessuna norma giuridica, da nessun precedente giurisprudenziale, da nessuna opionine della dottrina.

E’ semplicemente una tesi (rispettabilissima) dell’avvocato Scurria che, a precisa e ripetuta domanda, infatti, non sa indicare né un precedente, né una norma né tantomeno un lavoro della dottrina.

Scurria si rifiugia “nei principi”. Ma quali sono questi principi?, chiede il giornalista all’avvocato Scurria. Nessuna risposta.

In realtà, basterebbe questo per giungere a conclusioni opposte a quelle che Scurria ha suggerito a Interdonato.

Ma c’è di più. In realtà, i principi che informano la Costituzione liberal democratica italiana sono di segno contrario e portano a conseguenze opposte a quelle che vorrebbe Scurria.

 

Il secondo abuso di Le Donne non c’è

Basterebbe allora osservare che secondo un principio generalissimo dell’ordinamento giuridico tutto ciò che non è vietato è permesso.

L’attività amministrativa, poi, in generale è fondata sul principio che l’amministrazione possa sempre rivalutare gli atti compiuti.

C’è una norma dello stesso Regolamento del Consiglio comunale di Messina, l’articolo 32, che infatti prevede il potere del Consiglio di modificare, revocare, integrare e sostituire le proprie deliberazioni (vedi regolamento).

In questo caso, tra l’altro, non si tratta neppure di sostituire una delibera precedente.

La delibera neppure c’è.

Il Consiglio non ha votato contro l’ineleggibilità e quindi per l’eleggibilità della Sindoni: il 4 agosto 2016, infatti, 11 consiglieri erano assenti e 20 si sono astenuti. Otto dei 9 consiglieri superstiti hanno votato per la decadenza.

Come ha precisato la Corte costituzionale in più occasioni la verifica dei poteri è attività amministrativa “volta alla verifica del titolo di partecipazione all’organo collegiale a opera e nell’interesse dell’organo stesso alla propria regolare composizione”.

Ora se c’è il sospetto, in questo caso è fondato persino su una decisione dei giudici, che un l’organo non è regolarmente costituito è mai sostenibile che l’organo rimanga irregolarmente costituito per anni (perché nessuno si rivolge ai giudici) in presenza di un’evidente causa di ineleggibilità e solo perchè il Consiglio si è pronunciato?

E’ mai sostenibile che il consigliere ineleggibile determini per anni con il proprio voto l’approvazione di atti solo perchè il Consiglio non ha deliberato la sua decadenza perché il giorno fissato per il voto magari la maggior parte dei consiglieri colpita, ad esempio, da un’influenza virale o bloccata nel traffico nato da un ‘incidente, era assente? Oppure perchè si era astenuta non avendo avuto il tempo di esaminare bene la questione?

E’ ovvio che queste conclusioni sono assurde e in contrasto con i principi costituzionali, i quali impongono che un organo che rappresenta i cittadini deve essere formato da chi poteva partecipare alle elezioni.

Il Consiglio incontra solo un limite nel potere di potersi pronunciare sulla decadenza di un consigliere: un provvedimento passato in giudicato della magistratura.

Il consigliere dichiarato decaduto dai colleghi ha sempre uno strumento di tutela: rivolgersi ai giudici impugnando la delibera di decadenza.

 

Ineleggibilità di Donatella Sindoni, la consigliera per rimanere incollata allo scranno agita lo spauracchio delle denunce in Procura contro i colleghi. Il suo legale Catalioto impone la lettura in aula di un esposto a pochi minuti dalla votazione sulla decadenza. L’avvocato Scurria ci mette lo zampino. Il Consiglio comunale, già sotto inchiesta, va in tilt

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Donatella Sindoni

Donatella Sindoni

“Si comunica che la mia assistita ha presentato esposto in Procura. Conseguentemente, all’apertura dei lavori d’aula si diffidano il segretario generale e il presidente del Consiglio a darne pubblica lettura per la conoscenza di ogni singolo consigliere che parteciperà alla votazione sulla proposta di decadenza”.

E’ stata dichiarata ineleggibile due volte: il 24 giugno del 2016 dall’Ufficio legale e legislativo della Regione Sicilia, il 2 febbraio del 2017 dal Tribunale di Messina (sulla  scorta peraltro di un precedente della Corte di cassazione); e ha firmato la mozione diretta a mandare a casa il sindaco Renato Accorinti (e di conseguenza se stessa e l’intero Consiglio comunale).

Tuttavia, pur di rimanere appiccicata alla sua poltrona le prova tutte.

Assistita dal suo legale Antonio Catalioto, la consigliera comunale Donatella Sindoni non si è limitata a proporre l’ appello (più che legittimo) avverso l’ordinanza che la dichiara ineleggibile emessa dai giudici, riacquistando così il diritto di tornare a palazzo Zanca.

Ha infatti agitato con veemenza lo spettro delle denunce già presentate o da presentare alla Procura della Repubblica, che già solo perché sono presentate determinano l’apertura di un procedimento penale con iscrizione sul registro degli indagati e la scocciatura di nominare un legale e di finire sui giornali.

Destinatari delle minacce i suoi colleghi consiglieri, ovvero coloro che dovevano e dovrebbero pronunciarsi sulla sua sorte politica e che hanno già non pochi guai con la giustizia.

Gran parte di loro infatti sono sotto procedimento penale o lo sono stati sino alla scorsa settimana. Alcuni sono ancora sottoposti a misura cautelare dell’obbligo di firma all’entrata e all’uscita di Palazzo Zanca.

Antonio Catalioto

Antonio Catalioto

 

Questa delibera… non s’ha da votare

All’ordine del giorno di mercoledì 8 febbraio 2016 c’era la delibera, istruita dalla segreteria generale e fatta sua, come per prassi, dal vicepresidente del Consiglio comunale Nino Interdonato, che sanciva la decadenza di Donatella Sindoni.

Qualche ora prima era arrivata a palazzo Zanca la nota di diffida dell’avvocato Catalioto con allegato esposto.

Il presidente del Consiglio e il segretario generale si sono piegati al diktat dell’avvocato.

E’ stata la stessa consigliera Sindoni a leggere l’esposto ai colleghi.

Votare sulla decadenza della consigliera per il legale, Antonio Catalioto, è frutto di abusi. Come – per lo stesso legale – lo era stato chiedere il parere all’Ufficio legale della Regione dopo la pubblicazione a maggio del 2015 del servizio giornalistico che sollevava il caso.

E’ un abuso – a leggere l’esposto – perché l’appello contro l’ordinanza di ineleggibilità ne aveva sospeso l’efficacia esecutiva.

Nel mirino della Sindoni il segretario generale Le Donne che la vuole fare fuori perché il suo voto può essere decisivo per la sfiducia al sindaco Accorinti.

In realtà, la proposta di delibera non era basata sull’ordinanza del Tribunale ma sul fatto che la Sindoni è ineleggibile per come aveva scritto un anno prima il massimo organo di consulenza giuridica della Regione. L’ordinanza del Tribunale è considerata solo un’ ulteriore prova.

Ne è nata una bagarre. Durante la discussione Il consigliere Interdonato preoccupato per l’esposto ha chiesto più volte al segretario generale Le Donne se confermasse o meno la piena legittimità delle delibera.

La consigliera Lucy Fenech ha affermato: “Questo della Sindoni e del suo avvocato è un atto di intimidazione al Consiglio”.

Alla fine è caduto il numero legale. Alcuni consiglieri per non votare hanno lasciato l’aula.

Per votare era necessaria la presenza di 16 consiglieri, ne sono rimasti in aula 15 (su 40): l’ultimo ad abbandonare l’aula Fabrizio Sottile. Non è andato via per mettersi al riparo dall’esposto, né per motivi politici, bensì a seguito di uno screzio con la capogruppo del Pd Antonella Russo: insomma per un dispetto di quelli che si fanno i bambini alla scuole materne.

 

L’intimidazione non è mai troppa

Giovedì 9 febbraio, la scena si è ripetuta, con toni più aspri.

Durante i lavori nella Commissione Sport e Spettacolo presieduta da Piero Adamo, in cui si è aperto un dibattito su come dovesse procedere nei lavori, la Sindoni – secondo quanto hanno riferito i presenti – ha ammonito i colleghi affermando che avrebbe denunciato i colleghi che avrebbero votato la sua decadenza. Nuova bagarre. Scambio di accuse. E di insulti.

Risultato: il Consiglio comunale non si è pronunciato sulla sua decadenza, nè sipronuncerà. Non a breve almeno.

Se la paura te la mettono gli avvocati

Il vicepresidente del Consiglio comunale, Nino Interdonato, infatti, già preoccupato dopo la lettura dell’esposto della Sindoni, si è messo al riparo da ogni possibile conseguenza penale e ha ritirato la firma prendendo le distanze da chi la delibera l’ha istruita.

Con una nota (scritta evidentemente da un legale), Interdonato ha condiviso la tesi sostenuta dal legale della Sindoni. Anzi, è andato anche oltre individuando più abusi di quelli lamentati dallo stesso Catalioto.

Ha accusato di mancanza di imparzialità il Segretario generale, evocando a sua volta l’intervento della Procura e si è dimesso dall’Ufficio di presidenza.

Interdonato, da perfetto ignorante della materia – come lui stesso ha ammesso – ha preso per oro colato quanto gli ha confezionato un legale.

Scurria, il legale che non ti aspetti

A fornire il parere a Nino Interdonato è stato infatti Marcello Scurria, ex segretario dei Democratici di sinistra e consulente giuridico nonché avvocato personale dell’ex sindaco di destra Giuseppe Buzzanca.

Quest’ultimo, oltre che primo cittadino di Messina era al tempo stesso consigliere regionale, quando ad aprile del 2010, una sentenza della Corte costituzionale stabilì che il cumulo delle due cariche fosse fuorilegge.

Tuttavia, assistito da Scurria, solo dopo due anni e mezzo, Buzzanca fu dichiarato decaduto dall’Ars.

Ironia della sorte, a battersi perché fosse prima sancita l’illegalità del cumulo delle cariche e poi la decadenza di Buzzanca fu Antonio Catalioto, legale oggi della Sindoni ed ex socio e collega di studio di Scurria.

Catalioto all’epoca non nascondeva la sua indignazione per come Buzzanca le provasse tutte per mantenere le due cariche, in spregio alla legge.

Operazione compiuta

La proposta di delibera per tornare ora in votazione deve essere firmata da un consigliere. In genere, per prassi se arriva dagli uffici la firma il presidente del Consiglio o qualcuno dell’Ufficio di presidenza.

La presidente Emilia Barrile, nell’occhio del ciclone dell’esposto della Sindoni e della nota di Interdonato, ha già dichiarato che lei non lo farà. L’altro componente, Nicola Crisafi, ha seguito Interdonato sulla scia delle dimissioni.

Effetto boomerang

Donatella Sindoni minaccia di presentare denunce. Ma la minaccia delle denunce e l’ostentanzione di quelle già fatte allo scopo di influire sull’andamento dei lavori di un organo elettivo le potrebbero costare l’attenzione della stessa Procura che evoca:

a lei e al suo legale, che a poche ore dal voto di un organo democratico ha fatto pervenire una nota di diffida che non ha precedenti.

Infatti, la loro condotta, inserita in un contesto in cui tutti sono scottati da procedimenti penali e temono di finire in altri, potrebbe integrare il reato dell’articolo 338 del codice penale che punisce “chi usa minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autoritità, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività”.

 

IL CORSIVO: Decadenza della Sindoni, il Tribunale offre al Segretario generale Antonio Le Donne e al Consiglio comunale la possibilità di uscire dall’ambiguità lunga due anni. La consigliera decaduta, assistita dal legale Catalioto, partecipa ancora ai lavori

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Antonio Le Donne

Antonio Le Donne

Non c’era bisogno della pronuncia del Tribunale di Messina. Ma ora c’è pure quella. Eppure, Donatella Sindoni, consigliata dal suo legale Antonio Catalioto, non si rassegna e va allo sbaraglio.

Venerdì scorso la consigliera decaduta ha regolarmente partecipato ai lavori della Commissione Patrimonio, presieduta da Daniele Zuccarello, come se nulla fosse. E nessuno dei suoi colleghi ha avuto nulla da ridire, men che mai il segretario di commissione o lo stesso presidente. Eppure, la sentenza emessa il giorno prima – per disposizione di legge – è immediatamente esecutiva: un secondo dopo che è stata pubblicata la Sindoni è diventata una privata cittadina (il comma 8 dell’articolo 22 della legge 150 del 2011 stabilisce che “L’efficacia esecutiva dell’ordinanza pronunciata dal tribunale e’ sospesa in pendenza di appello”).

Dunque, i lavori della commissione sono stati viziati (a pena di nullità) dalla presenza abusiva (e a rischio rilevanza penale) di un ex consigliere.

Stamattina la scena si è ripetuta ma questa volta i colleghi consiglieri, forti di una nota che nel frattempo il segretario generale Antonio Le Donne aveva inviato al presidente del Consiglio comunale, hanno “coraggiosamente” ma non troppo abbandonato la colpevole complicità che da un due anni mantengono sulla vicenda. 

La Sindoni così è stata costretta a tornarsene a casa. Ma prima la presidente della Commissione Viabilità, Simona Contestabile, le ha dato comunque la parola e il tempo di affermare che è una “perseguitata politica”.

Se a palazzo Zanca si rispettano così le decisioni dei giudici e le norme di legge, da domani, qualsiasi cittadino è autorizzato a partecipare ai lavori del Consiglio e a votare.

Ad ogni modo, il legale Catalioto, che in questa vicenda ha dato il meglio della sua sapienza giuridica, nella tarda mattinata ha presentato appello, per cui da domani la Sindoni potrà tornare regolarmente in carica e starvi finché l’appello non verrà deciso.

Tuttavia, ora il segretario generale Antonio Le Donne ha la possibilità di rimediare alle sue condotte omissive che hanno permesso quella che è una grave violazione della democrazia.

Prima, infatti, dopo la pubblicazione del servizio giornalistico del maggio del 2015 che sollevava il caso, il custode della legalità a palazzo Zanca a fronte di una situazione di solare ineleggibilità in capo alla proprietaria dell’omonimo laboratorio di analisi, non si è assunto le sue responsabilità e ha atteso per un anno un parere dell’Ufficio legale della Regione Sicilia dalle conclusioni inequivocabili.

Successivamente, dopo che il Consiglio comunale si è astenuto sulla decadenza, ai primi di agosto 2016 ha mandato una nota ai consiglieri per dire loro che a fronte del parere “non avevano margini per non votare la decadenza”, dimenticandosi tuttavia nei giorni a seguire di avanzare e far mettere all’ordine del giorno una nuova proposta di decadenza per come gli imponeva la legge.

La stessa possibilità di rispettare la legge e la democrazia ce l’ha pure Consiglio comunale, che nella sua quasi totalità dei suoi componenti ha dribblato il parere dato dal massimo organo giuridico consultivo dell’ente locale.

In Consiglio comunale siede dal 2013 e rappresenta i cittadini di Messina chi non lo può fare: non perché abbia chissà quali colpe ma perché secondo la legge al momento dell’elezione aveva un ruolo che la avvantaggiava nella competizione elettorale.

Per la legittimazione dell’organo rappresentativo Consiglio comunale non si tratta di cosa di poco conto.

La verifica dei poteri, che per legge può essere fatto in ogni tempo in cui emergono fatti rilevanti e non solo al momento della proclamazione degli eletti, infatti, non è come pensa qualche sprovveduto consigliere comunale un giochetto di natura politica fondato sulla simpatia per questo o quel consigliere, ma un atto giuridico amministrativo che legittima l’operato dell’organo nella sua interezza e si basa sulla valutazione giuridica di presupposti di fatto.

Il voto della Sindoni, solo per fare l’esempio più clamoroso, nei prossimi giorni potrà essere decisivo per consegnare la città a un commissario nominato dalla Regione. E nei mesi scorsi è stato decisiva per far approvare o non approvare provvedimenti che riguardano il bene della città.

Bastano queste elementari osservazioni, al di là del giudizio negativo o positivo sull’operato di Renato Accorinti, sempre più vittima del suo narcisismo autoreferenziale, per comprendere come la questione dell’ineleggibilità di Donatella Sindoni merita di essere affrontata in maniera radicale, come andava affrontata sin dall’inizio, evitando il balletto dell’efficacia sospensiva dell’appello, che fa tornare in carica la Sindoni, che poi tra sei mesi finirà molto probabilmente per decadere di nuovo.

Al Segretario generale basta predisporre e sottoporre all’approvazione del Consiglio comunale una nuova proposta di delibera che sancisca la decadenza di Donatella Sindoni sic et simpliciter, ma non perché c’è stata  una pronuncia del Tribunale: se fosse fondata solo su questo, se anche fosse approvata dal Consiglio, un minuto dopo la delibera di decadenza non avrebbe più valore.

La pronuncia del Tribunale è il sigillo finale a dati chiari e lampanti che imponevano già da due anni di dichiarare Donatella Sindoni decaduta: la norma regionale, la norma nazionale nell’identica formulazione, il precedente della Corte di Cassazione che ha deciso un caso identico a quello della Sindoni. E poi il parere firmato dall’avvocato generale dell’Ufficio legale della Presidenza della regione Sicilia, Romeo Palma. Quello che secondo il segretario generale non consentiva valutazioni discrezionali ai consiglieri, che pi. Non le consentiva allora, figurarsi oggi che c’è pure una pronuncia dei giudici.

Ma ai consiglieri comunali di Messina se manca la capacità di fare proposte per risolvere i problemi della gente non difetta certo la fantasia, specie quella giuridica, già mostrata nella seduta in cui fu già votata la decadenza della Sindoni, dai consiglieri giuristi Pippo Trischitta e Carmelo Santalco: se nell’occasione pensarono di poter sfuggire al parere della Regione senza assumersi responsabilità astenendosi con motivazioni ridicole, ora potrebbero decidere di disertare l’aula, dando ulteriore prova di quanto hanno a cuore il bene comune. In questo caso, almeno i contribuenti risparmierebbero gettoni di presenza e oneri riflessi .

 

 

 

 

 

Decadenza di Donatella Sindoni: anche i giudici si trovano d’accordo con la Legge. La figuraccia del Consiglio comunale “astenuto” e dei consiglieri “giuristi” Trischitta e Santalco. Il Tribunale di Messina spazza via le tesi ballerine del legale Antonio Catalioto

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Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

 

“Donatella Sindoni era ineleggibile e deve decadere da cosnigliere comunale”. E’ questo il responso del Tribunale di Messina. Il responso era tanto atteso quanto scontato.

Ad uscire con le ossa rotte da Palazzo Piacentini prima ancora che la biologa prestata alla politica e il suo avvocato Antonio Catalioto, è stato il Consiglio comunale che da due anni sulla vicenda si comporta come Ponzio Pilato, benchè la legge gli imponesse di pronunciarsi in punto di diritto e non di politica.

C’era una norma regionale che ne sanciva l’ineleggibilità. C’era, vigente, la norma nazionale nell’identica formulazione. C’era una sentenza della Corte di Cassazione che aveva dichiarato legittima la decadenza di un consigliere comunale del Comune di Guidonia Montecelio che si era trovato nella stessa identica situazione.

Il tutto era stato prima raccontato prima in un servizio giornalistico pubblicato il 22 giugno del 2015: “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”, che indusse il primo dei non eletti a rivolgersi al Segretario generale del Comune.

Successivamente in un secondo servizio del 2 luglio del 2015: “La consigliera Sindoni grida al complotto e si vanta di scoprire e denunciare il malaffare. Ma sulla sua ineleggibilità scmabia lucciole per lanterne. E il suo legale Catalioto le dà una mano” , erano stati precisati tutti i termini tecnico giuridici della questione.

Era pure arrivato un anno dopo, a giugno del 2016, un parere netto e chiaro dell’Ufficio legale e legislativo della regione Sicilia.

 

Ponzio pilato a palazzo Zanca

Eppure, chiamati a decidere sulla decadenza di Donatella Sindoni la stragrande maggioranza dei consiglieri comunali di Messina (con l’eccezione di otto) accodandosi alle argomentazioni giuridiche dei loro colleghi Pippo Trischitta e Carmelo Santalco, avvocati di professione, si erano astenuti.

Il 4 agosto del 2016 hanno scelto nella sostanza in violazione della legge e della democrazia di mantenere in sella un loro collega, consentendole così di rappresentare cittadini che non poteva rappresentare e di incassare gettoni di presenza che non le sarebbero dovute toccare.

Lo hanno fatto senza assumersi la responsabilità di un voto contrario alla decadenza. In 11 non si sono neppure presentati in aula (solo due giustificati).

A votare per la decadenza erano stati, Cecilia Caccamo, Claudio Cardile, Fabrizio Sottile, Ivana Risitano, Gaetano Gennaro, Lucy Fenech, Antonella Russo, Maurizio Rella.

 

I giudici decidono al posto dei sedicenti politici

Ci hanno pensato così, 6 mesi dopo, il 2 febbraio del 2016, i giudici del Tribunale di Messina a decidere ciò che per chi ha un minimo di dimestichezza con il diritto era scontato.

Donatella Sindoni al momento in cui è stata eletta nel giugno del 2013 era ineleggibile, benché avesse dichiarato di non avere alcuna causa di ineleggibilità all’atto della presentazione delle candidature.

Era, infatti, titolare di un laboratorio di analisi convenzionato con l’asp 5 di Messina: ciò che la legge regionale e nazionale vietano.

La stessa consigliera, peraltro, aveva occupato lo scranno di consigliere comunale tra il 2005 e il 2006 pur essendo allo stesso modo ineleggibile.

 

Le argomentazioni dei giudici

Il Tribunale presieduto da Giuseppe Minutoli non ha avuto nessun dubbio: “La legge regionale che sancisce l’ineleggibilità della Sindoni è pienamente vigente, così come quella nazionale”, hanno scritto in sintesi i giudici citando la sentenza della Cassazione del 2001 che aveva  ritenuto legittima la decadenza del primo degli eletti al Consiglio del comune di Guidonia Montecelio perché legale rappresentante di 4 laboratori di analisi convenzionati con la locale Asp.

Nell’occasione la Cassazione aveva stabilito che la ratio della norma è “la captatio voti da parte del titolare di strutture sanitarie private (che trattano un bene delicato come la salute e incassano soldi pubblici, ndr), che la condizione di ineleggibilità in esame tende ad evitare”. Ratio che i giudici messinesi hanno fatto propria.

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Trischitta e Santalco: la coppia delle meraviglie e l’obbrobrio giuridico

I giudici hanno ridicolizzato le argomentazioni giuridiche di Pippo Trischitta, consigliere comunale di lungo corso e avvocato di professione: “La norma che sancisce l’inelegibilità della Sindoni esiste solo in Sicilia. E’ mai possibile che esiste in Sicilia una norma che non esiste nel resto d’Italia?”, disse l’avvocato, ignaro evidentemente dell’articolo 30 del Testo unico degli enti locali, quello che si applica in tutto il territorio nazionale, nel corso del consiglio comunale in cui si doveva votare la decadenza della Sindoni.

Nell’occasione Trischitta aveva definito la proposta di delibera di decadenza della Sindoni “un obbrobbrio giuridico”. Tanto che dopo aver annunciato l’astensione, ha votato contro la decadenza stessa.

Dello stesso tenore erano state le dichiarazioni del collega Carmelo Santalco.

 

Catalioto, un avvocato (mai domo) in cerca di autore…

I giudici hanno spazzato via le argomentazioni del legale della Sindoni, Antonio Catalioto, che in tutta la vicenda ha dato il meglio della sua sapienza giuridica, come è stato illustrato nel seguente servizio pubblicato il 20 luglio del 2016: “Ineleggibilità della Consigliera Sindoni: le acrobazie pseudo giuridiche del legale Catalioto nel circo politico mediatico messinese sguarnito di specchi. I ritardi annosi del segretario Le Donne”.

Quest’ultimo, infatti, all’indomani della pubblicazione dell’articolo che sollevava la questione dell’ineleggibilità aveva definito lo stesso “una bufala”. Poi aveva sostenuto che la legge non era vigente. Successivamente, convocando apposita conferenza stampa, ha sostenuto che c’erano delle circolari che dicevano che la legge non fosse applicabile, come se le circolari potessero mettere nel nulla una legge. Poi ancora  nel corso del giudizio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ammettendo così che la norma c’era ed era vigente.

Arrivata la decisione di decadenza, Catalioto ha continuato sulla scia della raffinatezza giuridica già sciorinata attraverso il suo ufficio stampa preferito: “La decadenza opera dopo 30 giorni della pronuncia e solo se la consigliera decaduta nel frattempo non  fa appello”, ha sotenuto citando una norma del codice di procedura civile.

Tuttavia, la norma (generale) non si applica al caso di specie, come gli ha dovuto spiegare Antonio Saitta, il legale di chi ha proposto l’azione popolare sfociata nella pronuncia di decadenza. “La decadenza opera subito. Lo dice la norma (speciale) sui procedimenti elettorali. L’appello sospende l’efficacia della decadenza nel momento in cui verrà proposta”.

Ineleggibilità della consigliera Sindoni: le acrobazie pseudo giuridiche del legale Catalioto nel circo politico mediatico messinese, sguarnito di specchi. I ritardi annosi del segretario generale Le Donne

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Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Le circolari di un assessore possono abrogare, derogare o mettere nel nulla una legge emanata dal Parlamento o dall’Assemblea regionale siciliana?

La domanda, tanto è semplice la risposta, non viene posta neppure agli studenti degli istituti tecnici che si vuole aiutare a raggiungere una sufficienza striminzita in diritto.

Eppure, l’avvocato Antonio Catalioto, ex assessore tra il 2005 e il 2007 della Giunta del sindaco Francantonio Genovese, ha convocato una conferenza stampa per sostenere che la consigliera del comune di Messina Donatella Sindoni, da lui patrocinata, era perfettamente eleggibile.

Il motivo? “Ci sono due circolari assessoriali che dicono che la legge che stabilisce l’ineleggibilità della Sindoni non si applica”, ha detto il legale con il pallino per la politica davanti a una decina di giornalisti che prendevano appunti come gli alunni di scuola elementare davanti al maestro che racconta che “il ciuccio vola”.

L’avvocato, alla presenza di un nutrito gruppo di colleghi della Sindoni, appositamente convocati, se l’è presa così con il segretario generale del Comune di Messina.

Antonio Le Donne – secondo Catalioto – è   colpevole di non aver subito detto che c’erano queste circolari e di non avere così stoppato sul nascere il lungo procedimento, nato dal un servizio giornalistico a firma di Michele Schinella  (vedi servizio del 22 giugno del 2015), sfociato nel parere dell’Ufficio legale della Regione, che un anno dopo si è trovato d’accordo con le argomentazioni giuridiche persino dell’ultimo dei giornalisti, dichiarando l’ineleggibilità della Sindoni.

GLI SCIVOLONI DI CATALIOTO

“Le Donne guadagna 200mila euro all’anno e anche per il ruolo che riveste non poteva non sapere che c’erano le circolari”, accusa Catalioto raggiunto telefonicamente.

Il legale, però, vacilla non appena il giornalista, non presente alla conferenza stampa, gli pone due domande.

La prima: “Ma le circolari – secondo lei – derogano o possono dichiarare inapplicabile la legge?” “No, assolutamente no”, precisa Catalioto.

La seconda domanda, conseguente: “Il segretario generale – domanda ancora il solito giornalista – è obbligato ad applicare la legge oppure le circolari assessorali”.

A questa domanda, il legale si attorciglia: “La legge”. Poi, però, nel tentativo di risolvere le contraddizioni rispetto a quanto detto in conferenza stampa, aggiunge: “Il segretario generale se ne deve fregare delle circolari, ma se ne deve fregare sempre”, conclude mostrando la fragilità delle sue argomentazioni.

Come dire, siccome Le Donne di solito applica le circolari, in questo caso doveva farlo egualmente senza porsi neppure il problema che le circolari, come spesso capita, possano essere illegittime.

LE ELUCUBRAZIONI ANTIGIURICHE DELL’AVVOCATO

Non che ci fosse la necessità di porgli due domande per capire quanto le (mutevoli, peraltro) tesi del legale, destinatario di una serie di incarichi da parte di enti pubblici e di esponenti politici in materia elettorale, siano fondate su un vacuo arzigogolare antigiuridico finalizzato, al massimo, a un po’ di pubblicità gratuita.

Infatti, le circolari – come sanno tutti e come la Corte di Cassazione ha sempre precisato – non hanno alcuna efficacia normativa. Non possono innovare l’ordinamento giuridico. Non possono stabilire se una norma vigente dell’ordinamento non si applichi.

I pubblici funzionari come i giudici sono tenuti ad applicare la Legge.

Ebbene, la Legge che stabilisce che Donatella Sindoni non poteva essere eletta è vigente, tanto nell’ordinamento nazionale quanto in quello regionale, nell’identica formulazione: “Non è eleggibile il legale rappresentante delle strutture convenzionate per il Consiglio del comune il cui territorio coincide in tutto o in parte con quello dell’ Azienda sanitaria provinciale con cui sono convenzionate”, stabiliscono l’articolo 9 della legge regionale 31 del 1986 e l’articolo 30 del Testo unico Enti locali.

La norma parla di “legale rappresentante”, non di direttore sanitario o direttore generale, come sostiene, o per ignoranza o in mala fede, tertium non datur, la consigliera gridando alla persecuzione, quasi fosse Berlusconi.

Donatella Sindoni era azionista di maggioranza (95% delle quote), legale rappresentante e direttore del laboratorio di analisi “Studio diagnostico Sindoni di Donatella Sindoni Snc” accreditato e convenzionato con l’Asp 5. E non solo nel 2013, al momento dell’ultima tornata elettorale, ma anche tra il 2005 e il 2008, quando occupò la poltrona a palazzo Zanca benché fosse egualmente ineleggibile.

Il legislatore e la Corte costituzionale sono più volte intervenute negli ultimi anni sulla materia e mai hanno modificato o abrogato l’indigesta norma che la sapienza giuridica di Catalioto vorrebbe inapplicabile, come avrebbero fatto se l’avessero ritenuta incostituzionale o priva di ragion d’essere.

Dunque, la presenza formale di questa norma nell’ordinamento giuridico ne impone l’applicazione, come il legale sa bene.

Questo dato da solo sarebbe stato sufficiente a non perdere altro tempo con una vicenda divenuta penosa.

Tuttavia, Catalioto si è superato arrampicandosi sugli specchi. A ben pensarci, la presenza di qualche specchio nella sala della conferenza stampa forse avrebbe consentito alla consigliera e al suo avvocato di tenere a freno la lingua e a non avventurarsi in argomentazioni e dietrologie false quanto ridicole.

Se Catalioto lo scorso anno è arrivato a sostenere che “la norma nazionale era stata abrogata dalla Corte costituzionale (circostanza falsa) e quindi a cascata anche la norma regionale che l’aveva recepita doveva ritenersi abrogata (non si è mai capito in base a quale principio giuridico), durante la conferenza stampa ha (ri) spiegato alla platea perché la norma non si applica, spiegando non senza enfasi la ratio che l’aveva ispirata.

Dice, in sintesi, Catalioto: “La norma fu dettata nel 1986 quando le ausl erano dirette da un comitato di gestione i cui componenti erano in parte nominati dal Consiglio comunale e aveva come ratio evitare i conflitti di interesse in capo ai consiglieri/titolari di strutture sanitarie convenzionati con le stesse aziende sanitarie. Duqnue, non ha più ragione d’essere da quando le Asp hanno cambiato forma giuridica e nulla hanno a che fare con i Comuni, ma sono emanazione delle Regioni”.

Ora, il venir meno della ratio originaria di una norma non può essere mai motivo per stabilire che una norma non si applichi, perché se così fosse si dovrebbe sostenere che migliaia di norme dettate decenni fa non siano applicabili, perché all’avvocato di turno magari non piacciono.

Ma c’è di più. Sulla ratio della norma, che – è bene ribadire – il legislatore e la Corte costituzionale non hanno mai toccato, si è pronunciata la Corte di Cassazione nel 2001, in un caso identico a quello che riguarda Donatella Sindoni.

La Corte di cassazione con sentenza 13878 del 2001 (sentenza ineleggibilità) ha ritenuto legittima la decadenza del primo degli eletti al Consiglio del comune di Guidonia Montecelio perché legale rappresentante di 4 laboratori di analisi convenzionati con la locale Asp.

Nell’occasione la Cassazione ha stabilito che la ratio della norma è “la captatio voti da parte del titolare di strutture sanitarie private (che trattano un bene delicato come la salute e incassano soldi pubblici, ndr), che la condizione di ineleggibilità in esame tende ad evitare”.

Donatella Sindoni e il suo legale Antonio Catalioto, hanno sicuramente letto la sentenza che è stata loro segnalata (vedi corsivo del 2 luglio 2015) e fanno finta di non sapere.

Tuttavia, hanno ragione.

LE COLPE DI LE DONNE.

Il segretario generale è colpevole. Colpevole di aver perso tempo chiedendo pareri a destra e manca e di non aver messo rapidamente all’ordine del giorno del Consiglio comunale la decadenza della consigliera. Indugia ancora adesso che ha dal primo luglio 2016 sul tavolo il parere richiesto il primo dicembre del 2015, a sei mesi dalla pubblicazione dell’articolo che sollevava il caso.

La questione da un punto di vista giuridico è di una semplicità solare.

Da un punto di vista del rispetto della democrazia e della legge anche penale, si va facendo sempre più grave.

Sugli scranni del Consiglio comunale siede un consigliere ineleggibile che da tre anni percepisce indennità di funzioni e rappresenta i cittadini pur non avendone titolo.

La stessa consigliera sugli stessi scranni c’è stata seduta pure in passato, tra il 2005 e il 2008, pur egualmente ineleggibile.

LE DICHIARAZIONI FALSE

Donatella Sindoni al momento delle elezioni ha dichiarato, come tutti i candidati, di non trovarsi in condizioni di ineleggibilità: dichiarazione che se è falsa potrebbe integrare gli estremi del reato di falso ideologico in atti pubblici e truffa.

Eppure, intervistata nell’ambito del servizio che sollevava il caso, ha dichiarato di essere a conoscenza della norma sull’ineleggibilità ma di non essere stata sfiorata dal dubbio, salvo poi un attimo dopo chiedere al giornalista se “a sto punto arrivati” si dovesse dimettere (vedi video/intervista).

 

Il consigliere comunale Donatella Sindoni era ineleggibile. E’ arrivato il responso dell’Ufficio legale della Regione. Un anno prima un servizio giornalistico aveva denunciato il caso

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Donatella Sindoni

Donatella Sindoni

C’ è voluto un anno, ma alla fine l’Ufficio legale e legislativo della Presidenza della regione Sicilia si è trovato d’accordo con la legge e la giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Donatella Sindoni non poteva ricoprire la carica di consigliera comunale. Al momento delle ultime elezioni di maggio del 2013 era infatti ineleggibile. Per l’esponente politico eletto sotto le insegne del Pd, promotrice subito dopo le lezioni, insieme al collega Santi Zuccarello del gruppo Missione Messina e passata di recente a Grande sud, adesso dovrebbe scattare la decadenza.

Il tema della sua ineleggibilità fu sollevato da un’inchiesta giornalistica pubblicata sul blog www.micheleschinella.it il 22 giugno del 2015, in cui ne venivano spiegati i motivi di fatto e di diritto.

A seguito della pubblicazione del servizio, Giovanni Cocivera, il primo dei non eletti del Pd, inviò, due giorni dopo, il 24 giugno del 2015 una lettera al presidente del Consiglio comunale, Emilia Barrile, chiedendo di “verificare il fondamento del fatto denunciato nell’articolo di stampa”.

Il presidente Barrile girò la patata bollente al segretario generale Antonino Le Donne; questi, dopo aver acquisito le deduzioni del legale di Donatella Sindoni, Antonio Catalioto, non se la sentì di decidere e, a sua volta, passò la palla, in data 1 dicembre del 2015, al Dipartimento regionale Autonomie locali. Tre mesi e 20 giorni dopo, il 21 marzo del 2016, della questione fu investito l’Ufficio legale della Presidente della Regione che alla fine ha deciso per l’ineleggibilità.

Donatella Sindoni reagì al servizio giornalistico con una nota stampa diffusa dal suo collega Santi Zuccarello che ipotizzava complotti a suoi danni e sprizzava la tranquillità che le aveva trasmesso il suo legale Catalioto, per il quale l’articolo era fondato sul nulla: “Una bufala”, la definì. La nota fu ripresa acriticamente da giornalisti avvezzi al ruolo di addetti stampa.

L’autore del servizio giornalistico fu così costretto a tornare sulla vicenda con un corsivo  (vedi servizio) del 2 luglio del 2015.

Donatella Sindoni non era eleggibile perché all’epoca delle lezioni era (proprietaria) e rappresentante legale di una struttura sanitaria (laboratorio di analisi) convenzionato con l’Azienda sanitaria provinciale di Messina.

Infatti, l‘articolo 9 della legge regionale 31 del 1986 (articolo 9) stabilisce “l’ineleggibilità del rappresentate legale della struttura convenzionata con l’Asp”. 

In realtà, Donatella Sindoni, già in precedenza (tra il 2005 e il 2008) ha esercitato le funzioni di consigliere comunale pur trovandosi nella stessa identica situazione di ineleggibilità.

Nel frattempo, Giovanni Cocivera, l’aspirante consigliere comunale, ginecologo dell’azienda “Papardo” è finito sotto inchiesta penale e agli arresti domiciliari con l’accusa di aver praticato aborti illegali.

IL CORSIVO: La consigliera Sindoni grida al complotto e si vanta di scoprire e denunciare il malaffare, ma sulla sua ineleggibilità scambia lucciole per lanterne. E il suo legale Antonio Catalioto le dà una mano

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Donatella Sindoni e Santi Zuccarello

Donatella Sindoni e Santi Zuccarello

L’ineleggibilità di Donatella Sindoni? E’ frutto di un complotto teso a zittire una consigliera comunale che dà troppo fastidio. Di più, è opera dei suoi avversari politici all’interno del Pd (e del primo dei non eletti Giovanni Cocivera ridestatosi  a distanza di due anni dalle elezioni), che per toglierla di mezzo usano “comportamenti discutibili”. A sostenerlo è la stessa biologa prestata alla politica, in una nota inviata a tutta la stampa dal collega Santi Zuccarello.

I comportamenti “discutibili” – pare di capire – coinvolgono come attore il giornalista autore del servizio “ad orologeria” – per usare le parole della consigliera del gruppo Missione Messina – con cui è stato sollevato il tema della sua ineleggibilità (vedi articolo), inducendo Cocivera a chiedere al presidente del Consiglio comunale di verificare se quanto raccontato nell’articolo sia vero.

Volendo semplificare, secondo la consigliera il giornalista è stato imbeccato e ha scritto per fare una cortesia a suoi avversari: come se per chiedere la decadenza ci fosse bisogno di un articolo di giornale.

Simile insinuazione, perché di questo di tratta, aggravata dall’essere espressa in maniera indiretta e subdola, è smentita dalla logica e non meriterebbe neppure un rigo di commento, tanto è penosa.

Ma poiché più che il giornalista chiama in causa l’intera professione giornalistica (o quel che ne rimane) qualche rigo è bene sprecarlo. Almeno per rassicurare e i lettori.

Donatella Sindoni e i signori che la (mal) consigliano possono stare tranquilli.

L’autore del servizio indigesto non conosce le dinamiche interne al Pd; non è informato dei giochetti  di corrente; non frequenta nessun esponente politico (di nessuna formazione); non ha nemmeno i loro numeri di cellulare. Non l’ha mai avuto neppure del signore che sul Pd ha regnato incontrastato per un decennio, nella cui segreteria non ha mai fatto anticamera. Non sapeva neppure chi si sarebbe avvantaggiato dell’ eventuale decadenza della Sindoni. Non ha mai avuto rapporti di nessun tipo, né diretti né indiretti, con Giovanni Cocivera, che per puro caso ha incrociato per qualche secondo a Palazzo Zanca, l’ultima volta non meno di 4 anni fa.

Si può capire che tutto questo, visti gli esempi mirabili di giornalismo che ogni giorno toccano con mano, per la consigliera comunale e per i suoi accoliti, sia molto difficile da credere. Ma, purtroppo per loro, è la pura e semplice verità.

Il giornalista aveva avuto l’intuizione dell’ineleggibilità al momento delle amministrative ma non fu lui ad occuparsene per il giornale per cui scriveva e quindi non approfondì la vicenda; gli tornò in mente occupandosi del contenzioso tra la Regione e i laboratori di analisi; controllò l’intuizione almeno 8 mesi fa e, libero da mesi da impegni di lavoratore dipendente, l’ha scritta sul suo blog 10 dieci giorni fa, giusto perché è riuscito a concentrarsi per due giornate di fila. Con un unico obiettivo, il solo che ha sempre avuto: informare i pochissimi che lo leggono.

Donatella Sindoni grida ai complotti e perde tempo in vacue elucubrazioni, pensando così di eludere la sostanza del tema che rimane sul tappetto.

Era o non era ineleggibile?

La biologa si dice serena perché il suo legale le ha detto che “era perfettamente eleggibile”.

Chi è il suo legale? Lei non lo vuole dire, ma scoprirlo è un gioco da ragazzi: Antonio Catalioto, l’avvocato che sollevò con successo l’illegittimità costituzionale del cumulo di incarichi di sindaco e deputato regionale di Giuseppe Buzzanca. 

Più precisamente, la Sindoni scrive che la norma ostativa alla sua elezione è stata dichiarata incostituzionale, quindi non esiste nell’ordinamento giuridico.

Se è così, dunque, il giornalista ha preso una cantonata e il problema è risolto. Di cosa si deve ancora discutere?

Fatta da chi si vanta di andare spesso in Procura (in compagnia del collega Zuccarello) a denunciare il malaffare, questa affermazione preoccupa. E non poco.

Leggere e comprendere una norma e, soprattutto, verificare se la Corte costituzionale l’abbia annullata per un esponente politico normodotato e abituato come la Sindoni a studiare atti amministrativi con tale perizia da trovarvi il marcio, non dovrebbe essere così difficile.

Eppure, la Sindoni non è riuscita nell’impresa di fare questa cosa semplicissima (a dispetto della straordinaria attività ispettiva quotidiana). E non ci sono riusciti neppure i giornalisti (o meglio, addetti stampa) che hanno portato-voce a simile sciocchezza senza controllarne la fondatezza, come pure richiede (rebbe) la legge professionale.

La norma della legge regionale 31 del 1986 (articolo 9), che stabilisce “l’ineleggibilità del rappresentate legale della struttura (non della responsabile, come scrive la Sindoni) convenzionata con l’Asp” è assolutamente vigente come un qualunque studente delle scuole medie può verificare (vedi norma).

Non c’è stata nessuna sentenza della Corte costituzionale che l’abbia annullata.

Antonio Catalioto, invece, da quanto riferisce lo stesso avvocato telefonicamente, ha tranquillizzato la Sindoni con argomentazioni diverse. Ad essere annullata nel 2009 dalla Corte Costituzionale è stata la norma nazionale, recepita integralmente da quella regionale; dunque, quest’ultima, egualmente in contrasto con la Carta costituzionale, a cascata – secondo il legale – finirebbe per essere caducata. Non solo: la norma, emanata negli anni 80′, quando i Consigli comunali nominavano i componenti del comitato di gestione delle Ausl, avendo come ratio evitare i conflitti di interesse in capo ai consiglieri/titolari di strutture sanitarie convenzionati con le stesse aziende sanitarie,  non ha più ragione d’essere da quando quest’ultime hanno cambiato forma giuridica e nulla hanno a che fare con i Comuni.

Tuttavia, se la tesi tranquillizzante è questa, la Sindoni ha molto da agitarsi.

La norma nazionale (articolo 60,co 1,n°9 Testo unico Enti locali ) che disciplina l’ineleggibilità dei consiglieri comunali nel resto d’Italia, infatti, è perfettamente vigente.

Una pronuncia della Corte costituzionale, in effetti, nel 2009 c’è stata. La sentenza numero 27 , però, ha soltanto dichiarato la norma nazionale (articolo 60, appunto) incostituzionale nella parte in cui era prevista l’ineleggibilità anche “del direttore sanitario delle strutture sanitarie convenzionate con l’Asp”. Causa di ineleggibilità questa, che la norma regionale mai ha previsto.

Ma c’è di più. Secondo l’ultima giurisprudenza della Cassazione la ratio della norma non è quella declinata dal legale Catalioto. Come scrivono gli ermellini nella sentenza 13878 del 2001, che ha ritenuto legittima la decadenza del primo degli eletti al Consiglio del comune di Guidonia Montecelio titolare di 4 laboratori di analisi convenzionati, la ratio è ” la captatio voti da parte del titolare di strutture private, che la condizione di ineleggibilità in esame tende ad evitare”. Scrivono ancora i giudici, rendendo ancora più fragile la tesi del legale della Sindoni: “(….) è stato del resto già sottolineato come l’ineleggibilità dei rappresentanti delle strutture private convenzionate trovi precipua ragione nel fatto in sè della operatività territoriale della concessione, in correlazione alla operatività “locale” della struttura sanitaria (che è rimasta, a sua volta, immutata anche nel quadro della nuova organizzazione delle U.S.L., che le ha convertite in aziende che agiscono come entità strumentali della Regione (…)”.

Donatella Sindoni era azionista di maggioranza (95% delle quote), legale rappresentante e direttore del laboratorio di analisi “Studio diagnostico Sindoni di Donatella Sindoni Snc” convenzionato con l’Asp 5. E non solo nel 2013, al momento dell’ultima tornata elettorale, ma anche tra il 2005 e il 2008, quando occupò la poltrona a palazzo Zanca benché fosse egualmente ineleggibile.

Forse la Sindoni ha fatto confusione, forse ha fatto confusione il suo legale. Quello che è certo è che i cittadini, da coloro che hanno eletto e retribuiscono, più che denunce in Procura, conferenze e comunicati stampa veicolati acriticamente da (pseudo) giornalisti più o meno amici e videoreportage populistici, si aspettano fatti concreti e comportamenti coerenti.   

Occupa lo scranno del Consiglio comunale, ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni, titolare di un laboratorio di analisi convenzionato con l’Asp 5 di Messina

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Dei 40 consiglieri comunali della città di Messina è tra le più attive e le meno costose per le casse pubbliche.

Proposte per risolvere i problemi della città ne ha avanzate poco e niente, ma in coppia fissa e stabile con il collega Santi Zuccarello, insieme al quale ha formato il gruppo Missione Messina, è autrice quotidiana di rumorose denunce, ognuna delle quali è veicolata al pubblico con apposita conferenza stampa.

Donatella Sindoni, di professione biologa, gli scranni di consigliere comunale però – a leggere la normativa – non avrebbe mai potuto occuparli.

Eppure, siede sulla poltrona di Palazzo Zanca dal maggio del 2013, mese in cui si tennero le ultime elezioni amministrative che hanno donato alla città il sindaco Renato Accorinti.

Nonostante sia stata tra le più votate all’ultima tornata elettorale (1417 preferenze), la sua elezione e la carica che conseguentemente ricopre, infatti, si pone in contrasto con la norma regionale (sul punto identica a quella nazionale) che disciplina l’ineleggibilità a consigliere comunale.

INELEGGIBILITA’… NASCOSTA

Non è eleggibile il legale rappresentante delle strutture convenzionate per il Consiglio del comune il cui territorio coincide in tutto o in parte con quello dell’ Azienda sanitaria provinciale con cui sono convenzionate”, stabilisce l’articolo 9 della legge regionale  31 del 1986.

Azionista (al 95% delle quote) e direttore sanitario dello “Studio diagnostico Sindoni di Donatella Sindoni Snc”, la consigliera comunale sino ad aprile del 2014 è stata anche legale rappresentante del laboratorio di analisi di Provinciale, struttura sanitaria convenzionata con l’Azienda provinciale 5 di Messina. Esattamente ciò che vieta la legge.

Nella veste di rappresentante legale del laboratorio di analisi, alla fine di gennaio del 2014, ha chiesto all’Asp l’autorizzazione a consorziare il suo laboratorio con “La Diagnostica”, società che da quel momento è divenuta titolare della convenzione con l’Asp 5.

L’operazione, imposta dalla legge regionale di razionalizzazione della rete regionale dei laboratori, si è perfezionata nell’aprile 2014, un anno dopo la sua elezione.

L’ineleggibilità, al contrario dell’incompatibilità, non può essere sanata con la rimozione della causa e determina la decadenza dalla carica.

Di questa situazione nessuno si è accorto né prima né dopo gli scrutini, neppure in sede di convalida dell’elezione.

Donatella Sindoni risulta fosse stata ininterrottamente legale rappresentate della società convenzionata con l’Asp sin dal 2001: quindi, sin da questa data era ineleggibile al Consiglio comunale di Messina.

STORIA POLITICA

Nel 2013 per lei è stato un ritorno a Palazzo Zanca: era stata consigliere tra il 2005 e il 2008, all’epoca del sindaco Francantonio Genovese, alla cui area politica del Pd apparteneva.

Nel periodo in cui era consigliera era anche direttore sanitario del suo laboratorio ma non ha mai chiesto gli oneri riflessi cui avrebbe potuto avuto avere diritto: non ha mai domandato, cioè, che il Comune rimborsasse alla sua società lo stipendio, come accade per tutti i consiglieri che per adempiere al loro mandato si assentano dal lavoro.

Nel 2008 invece pur candidata sempre nelle fila del centrosinistra, nella lista capeggiata da Elio Sauta, che 5 anni dopo ha patito la stessa sorte giudiziaria di Genovese, non fu eletta.

Nell’ultima tornata si è ricandidata nel Pd ancora governato da Genovese, ma dopo l’elezione e i guai giudiziari del leader politico si è defilata: con lei, Santi Zuccarello, sino a quel momento fedele a Genovese che qualche anno prima l’ aveva designato amministratore di Feluca Spa, società partecipata dal Comune.

SOSTIENE L’INTERESSATA

“Non sapevo di questa causa di ineleggibilità. Nessuno ha mai sollevato il problema”, dice la biologa prestata alla politica.

Che poi precisa e si contraddice: “Conosco le norme sull’ineleggibilità, le ho controllate certo: io non lo ero”. E poi ancora aggiunge: “Non so, mi informerò”.

IN PUNTO DI DIRITTO… AMATORIALE

L’ articolo 9 legge 31 del 1986, la cui ratio è impedire che taluni candidati si avvantaggino nella competizione elettorale del potere derivante dal gestire strutture che fanno sanità con fondi pubblici, è stata oggetto nel 1995 di una sentenza della Corte costituzionale.

La Consulta con questa pronuncia ha adeguato la legge regionale alla disciplina nazionale del 1981, che a sua volta nel 1991 aveva eliminato l’ineleggibilità per i titolari di farmacie.

La giurisprudenza della Corte Cassazione sul punto è ferma nel sancire l’ineleggibilità e quindi la decadenza del consigliere comunale che è rappresentate legale di uno o più laboratori di analisi: è del 11 luglio del 2001, ad esempio, una sentenza della Cassazione che ha ritenuto in linea con la legge la dichiarazione di decadenza del primo degli eletti al consiglio comunale di Guidonia Montecelio in quanto titolare di 4 laboratori di analisi convenzionati con la locale Asp.