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Vecchia maniera, condannato in primo grado a 5 anni di reclusione il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano per estorsione e intestazione fittizia di beni, reati commessi sotto protezione. Due anni a Tindaro Marino. Tutti i guai dell’ex boss di Barcellona

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Carmelo Bisognano

Carmelo Bisognano

Cinque anni di reclusione per Carmelo Bisognano e due anni a Tindaro Marino.

Finisce con una sentenza di condanna il processo di primo grado a carico dell’ex boss di Barcellona, dal 2010 collaboratore di giustizia, e per l’imprenditore di Gioiosa marea.

Il Tribunale di Barcellona al termine di una camera di consiglio durata sino alle 23 e 20 ha ritenuto Bisognano colpevole del reato di intestazione fittizia di beni e di tentata estorsione ai danni dell’imprenditore Giuseppe Torre e della stessa società Torre srl.

I reati sono stati commessi tra il 2015 e il 2016 mentre Bisognano si trovava sotto la protezione dello Stato e i contribuenti italiani gli pagavano la scorta, due avvocati, la casa, i viaggi e un assegno mensile di 1600 euro.

Tindaro Marino è stato invece ritenuto colpevole del reato di intestazione fittizia di beni.

Entrambi erano stati arrestati il 16 maggio del 2016, nell’ambito dell’inchiesta Vecchia Maniera.

Gli arresti scattarono anche per Angelo Lorisco, uomo fidato di Bisognano, che ha scelto il rito abbreviato e per gli stessi reati che hanno portato ora alla condanna del collaboratore, l’8 gennaio 2017. è stato condannato a tre anni di reclusione.

La strumentalizzazione del ruolo di collaboratore

Gli inquirenti del commissariato di Barcellona guidati da Mario Ceraolo avevano scoperto che Bisognano dalla località protetta, usando Angelo Lorisco, aveva costituito una società e aveva iniziato l’attività di imprenditore, sotto mentite spoglie, grazie all’aiuto dell’imprenditore Tindaro Marino, sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale e condannato all’epoca per concorso esterno alla mafia.

Per tornare operativo, Bisognano tramite Lorisco aveva – secondo l’ipotesi accusatoria che ha trovato un primo positivo riscontro – strumentalizzato il ruolo di collaboratore e tentato di sottoporre a estorsione i membri della famiglia Torre, titolari di un’azienda, minacciando di fare dichiarazioni sul loro conto.

Le dichiarazione di favore e l’imputazione coattiva

A Bisognano, la cui colaborazione ha permesso di mettere alla sbarra vari esponenti della mafia del Longano, e Marino fu contestato al momento degli arresti anche un altro reato.

In cambio dell’aiuto economico di Tindaro Marino, Bisognano, come hanno disvelato in maniera chiara le intercettazioni si era impegnato a fare nuove e diverse dichiarazioni, nell’ambito di indagini difensive, favorevoli a Marino, che ne alleggerissero la posizione in vista del giudizio della Cassazione per concorso esterno alla mafia e di quello diretto al sequestro di tutti i beni nel procedimento di prevenzione patrimoniale pendente in appello.

Per quest’ultimo capo di accusa, i sostituti della Direzione distrettuale antimafia di Messina,  Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, gli stessi che hanno gestito la collaborazione di Bisognano e avevano chiesto gli arresti, hanno domandato l’archiviazione.

Ma il giudice per l’udienza preliminare Monica Marino, il 28 giugno del 2017 ha rigettato la richiesta ordinando l’imputazione coattiva per il reato di  False dichiarazioni al difensore rilasciate nell’ambito delle investigazioni difensive.

Per i due pm, Cavallo e Di Giorgio, che hanno totalmente rivisto la valutazione fatta sul punto nella richiesta di misure cautelari, Bisognano si era si impegnato a fare dichiarazioni di favore ma poi non le aveva fatte.

Diametralmente opposta la valutazione del giudice Monica Marino.

Secondo quest’ultima, Bisognano le dichiarazioni di favore e diverse da quelle che aveva reso in precedenza, il 30 settembre del 2015, in presenza dei suoi difensori, Mariella Cicero e Fabio Repici, e del difensore di Marino, Salvatore Silvestro, le ha rese.

Il ritorno in carcere

Da venerdì 7 luglio 2017 Bisognano è nel carcere di Rebibbia.

E’ stato nuovamente arrestato su ordine del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Chiara Gallo, che ha accolto la richiesta della Procura, guidata da Giuseppe Pignatone.

Il Tribunale di Barcellona, lo stesso che oggi lo ha condannato, il 17 maggio del 2017, dopo un anno esatto di carcere, ne aveva ordinato la scarcerazione anche sulla base del fatto che il programma di protezione non fosse stato revocato.

Dalle indagini del commissario di Barcellona era pure emerso che due degli agenti (Domenico Tagliente e Enrico Abbina) che dovevano proteggerlo e controllarlo, avevano intessuto con il collaboratore un rapporto di complicità che consentiva a quest’ultimo di muoversi e incontrarsi a suo piacimento, anche con altri collaboratori di giustizia, in violazione di ogni norma regolamentare e, soprattutto, di avere libero accesso al sistema informatico della polizia.

La procura di Roma, a cui erano stati trasmessi gli atti per competenza territoriale ha declinato l’accusa in termini di violazione abusiva dei sistemi informatici e del segreto d’ufficio.

La difesa strenua e i complotti

Carmelo Bisognano durante la collaborazione e sino agli arresti del maggio del 2016 era assistito da Fabio Repici e Mariella Cicero, colleghi da anni di studio.

Mariella Cicero subito dopo gli arresti ha rimesso il mandato essendo emerse delle intercettazioni tra il legale e il collaboratore suscettibili – secondo gli inquirenti – di rilevanza penale. Repici ha continuato a difendere Bisognano e nel processo in corso a Barcellona ha citato la Cicero come teste a difesa di Bisognano.

Stando agli atti processuali, secondo il legale Repici l’incriminazione di Bisognano è stata frutto di un complotto che ha visto come protagonisti il commissario Ceraolo, l’avvocato Ugo Colonna, l’avvocato di Barcellona Saro Cattafi (condannato per calunnia nei confronti di Bisognano e Repici e assolto dalla Cassazione dall’accusa di essere il capo della mafia mafia di Barcellona e dal 2000 in poi anche un semplice affiliato mentre per il periodo precedente è necessario un nuovo giudizio d’appello), e il legale di quest’ultimo Salvatore Silvestro.

Di “scivolone su una buccia di banana” aveva parlato nel corso della sua deposizione  Mariella Cicero, minimizzando la gravità dei fatti contestati a Bisognano

Il Tribunale di Barcellona,presieduto da Fabio Processo, non si è fatto incantare né dai complotti, né dalla metafora delle bucce di banana.