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Rimborso viaggi di 6 euro al giorno, alla “scurdatina” il consigliere dei Dr Carreri attacca Lucy Fenech. La collega aveva pubblicamente denunciato la gettonopoli al Comune di Messina

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Nino Carreri

Nino Carreri

L’ultimo rimborso chiesto e ottenuto risale al giugno del 2014: 120 euro al mese, 6 euro ogni giorno feriale per le spese di viaggio sostenute per raggiungere da Rometta (dov’è residente) Palazzo Zanca (dove dal maggio del 2013 esercita il mandato di consigliere comunale); e per fare il viaggio inverso.

Il 27 maggio del 2015, un anno dopo l’ultimo rimborso, Lucy Fenech consigliera di Cambiamo Messina dal Basso finisce nel mirino del collega Nino Carreri.

L’esponente del Partito dei Democratici Riformisti, pur non facendo il suo nome e cognome, in un’interrogazione al sindaco Renato Accorinti semina dubbi sulla legittimità dei rimborsi: in tutto mille e 500 euro per 12 mesi, liquidate con determina dirigenziale che attesta la verifica delle condizioni dettate dalla legge regionale, identica sul punto a quella nazionale. “Agli amministratori che risiedono fuori del comune ove ha sede il rispettivo ente, spetta il rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente sostenute”, stabilisce la norma.

Da Rometta, Lucy Fenech si è mossa alla volta di Messina con l’auto privata invece che con i mezzi pubblici. “C’è stata l’autorizzazione del presidente del Consiglio a usare l’auto? La Fenech poteva raggiungere Messina con i mezzi pubblici? Sarebbe stato meno dispendioso (dei 6 euro al giorno, ndr)?”.

Queste, in sostanza, le domande del consigliere che di viaggi se ne intende.

DI PROFESSIONE MACCHINISTA E… POLITICO

Di professione è infatti macchinista, dipendente delle Ferrovie dello Stato.

Al secondo mandato, da quando è stato eletto (giugno 2009) Carreri, come quasi tutti i colleghi, raramente si perde un giorno di lavori a Palazzo Zanca: ciò  gli consente totalizzare circa 2mila euro al mese di gettoni di presenza e di guadagnarsi i permessi retribuiti.

Da 7 anni così incassa anche lo stipendio dalla Ferrovie dello Stato come se lavorasse tutti i giorni: 2mila euro lordi di media al mese che, però, alla fine paga, secondo il meccanismo degli oneri riflessi, il Comune di Messina.

In precedenza, dal 1998 al 2009, da consigliere di Quartiere ha sistematicamente fruito di permessi dal lavoro retribuiti.  “Qualche volta al lavoro ci vado perché se no mi scadrebbero le abilitazioni”, puntualizza Carreri.

Anche Lucy Fenech totalizza più o meno la stessa cifra a titolo di gettoni di presenza, ma non ha lavoro dipendente da cui può assentarsi e venire tuttavia pagata.

Nino Carreri mosso –  come sostiene nell’interrogazione – “dal preminente  scopo di scongiurare  eventuali danni economici per il Comune”, in questi 7 anni avrebbe potuto liberare il Comune dal peso di 2mila euro di media al mese ponendosi in aspettativa non retribuita.

STRANE COINCIDENZE … E RITORSIONI 

Tuttavia, che l’interrogazione (tardiva) di Carreri abbia un movente diverso da quello di tutela delle casse del Comune è un’ipotesi che con dietrologia ha poco da spartire.

Nell’interrogazione, infatti, lo stesso esponente politico si “tradisce”: “La discussione sui costi della politica, alimentata  anche dalla crescente onda demagogica dell’antipolitica che sta attraversando l’intero paese, è giunta all’apice con la presentazione di una proposta di delibera che, per stessa ammissione della presentatrice, era stata concepita come un come atto di moralizzazione del civico consesso”, scrive Carreri.

La Fenech, neofita della politica, sconcertata nel vedere colleghi che firmavano la presenza della seduta in prima convocazione (mai tenuta) e poi non si vedevano per tutta la giornata, propose a settembre del 2013 la modifica del regolamento in modo che gettoni e permessi scattassero solo in caso di effettiva partecipazione. Apriti cielo. I colleghi reagirono a muso duro. E non se ne fece nulla.

Successivamente, nel periodo compreso tra l’ultimo rimborso per spese di viaggio domandato e l’interrogazione di Nino Carreri, Lucy Fenech ha pubblicamente denunciato la “gettonopoli” al Comune di Messina (vedi intervista rilasciata al corriere.it). Un malcostume – secondo la consigliera – continuato anche dopo la visita della digos a Palazzo Zanca.

L’interrogazione non ha il sapore della ritorsione? “Non credo”, risponde Carreri. “Certo la collega su una testata nazionale poteva evitare di fare certe accuse”

Lucy Fenech, commenta: “La sortita del collega è diffamazione allo stato puro”.

 

PRIVILEGI SICILIANI.

La proposta della consigliera mirava a mettere un argine a ciò che la legge regionale consente di fare (vedi servizio su corriere.it).

Ai consiglieri comunali delle città della Sicilia, infatti, per garantirsi lo stipendio mensile senza lavorare neppure un minuto e per raggranellarne un altro fatto di gettoni di presenza è sufficiente apporre il nome e cognome. È la legge a consentirlo. Nel resto d’Italia, infatti, i permessi retribuiti per esercitare il mandato di consigliere comunale sono concessi «per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli». In Sicilia, invece, regione a Statuto speciale, una legge regionale, refrattaria a quella nazionale, prevede che «i consiglieri hanno diritto di assentarsi dal servizio per l’intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli». Nella penisola per legge è essenziale «partecipare», in Sicilia è sufficiente «convocare» e «firmare». Il governatore Crocetta ha proposto di modificare la legge per adeguarla a quella nazionale. Nulla da fare. Uno schieramento bipartisan l’ha impedito. Nella battaglia si è distinto il deputato regionale Beppe Picciolo, leader della formazione di cui fa parte Nino Carreri (ecco l’intervista al corriere.it)

 

 

La gettonopoli dei politici siciliani. Si firma e lo stipendio è garantito. L’intervista alla consigliera comunale di Messina, Fenech. Che denuncia il sistema. E al deputato regionale Beppe Picciolo, contrario alla riforma

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Una firma e via, magari a sbrigare le faccende personali. Ai consiglieri comunali delle città della Sicilia per garantirsi lo stipendio mensile senza lavorare neppure un minuto e per raggranellarle un altro fatto di gettoni di presenza è sufficiente apporre il nome e cognome. È la legge a consentirlo. Nel resto d’Italia, infatti, i permessi retribuiti per esercitare il mandato di consigliere comunale sono concessi «per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli». In Sicilia, invece, regione a Statuto speciale, una legge regionale, refrattaria a quella nazionale, prevede che «i consiglieri hanno diritto di assentarsi dal servizio per l’intera giornata in cui sono convocati i rispettivi consigli». Nella penisola per legge è essenziale «partecipare», in Sicilia è sufficiente «convocare» e «firmare». Ecco perché nella più grande delle isole l’attività politica dei Consigli comunali è fondata sulle convocazioni e quella del consigliere ha un rito quotidiano come bere il caffè: impugnare la penna per un istante. Per dimostrare la partecipazione ai lavori del Consiglio o di una commissione basta varcare il portone del Municipio. Non conta che la seduta non si tiene per mancanza del numero legale o il consigliere va via prima che i lavori terminino: il diritto a non sottoporsi quel giorno alle direttive del proprio datore di lavoro neanche un minuto è salvo comunque. A spese del Comune. Si chiamano oneri riflessi: il consigliere non lavora, il datore di lavoro gli anticipa gli emolumenti, il Comune rimborsa tutto. A dare uno sguardo all’organizzazione dei lavori di comuni grandi e piccoli come Gela, Messina, Siracusa, Agrigento e Palermo, non c’è giorno feriale in cui non sia convocata almeno una seduta. E non c’è consigliere/lavoratore dipendente che non figuri presente. Una sola seduta però vale (in media) solo 60 euro di gettone. Troppo poco per raggiungere l’importo complessivo mensile massimo, fissato in un terzo all’indennità di sindaco. Perché rinunciarvi? Scandagliando ancora i dati raccolti dai deputati regionali del M5Stelle, autori di un’inchiesta ispettiva, emerge che le sedute pullulano come i fiori a primavera.

Festival delle convocazioni
A Gela, comune di 75mila abitanti, nel 2014 si sono tenute 1.274 sedute di commissioni e 76 di Consiglio: una media di 3 sedute al giorno, festivi compresi. Stessi ritmi, più o meno, a Misterbianco. A Siracusa, nello stesso anno, i consiglieri sono stati affannati da 1.257 sedute. A Messina, si è viaggiato intorno a 45 sedute al mese. Cento chilometri a sud, ad Acireale, in 7 mesi si sono svolte 853 sedute, alcune giustificate da improbabili visite a presepi viventi o ad aziende agricole; 19 sedute sono servite per leggere i verbali delle precedenti sedute e organizzare le future. «Salve delle eccezioni, come Ragusa o Enna, c’è una lievitazione di sedute inutili la cui unica logica è percepire quanti più gettoni possibile», commenta Stefano Zito, deputato del M5stelle all’Ars. «Dalla lettura dei verbali – aggiunge il deputato che sulla vicenda ha condotto un’indagine ispettiva – si evince che la partecipazione è spesso fantasma come, talvolta, le stesse sedute». Virtuali sono state – secondo l’ipotesi della Procura di Agrigento – una buona parte delle 1.185 sedute in cui tra gennaio e ottobre del 2014 si sono cimentati i consiglieri comunali della città della valle dei Templi. Beccati con le mani nella marmellata, sono stati costretti alle dimissioni dalle proteste di piazza.

Caso Messina
Non che tutti i consiglieri si limitino a firmare. Ce ne sono che lavorano alacremente nell’interesse della cosa pubblica. C’è chi, indignato dall’andazzo, tenta di porvi rimedio. Lucy Fenech, neofita della politica, eletta a giugno 2013 al Consiglio comunale di Messina, rimase sconcertata nel vedere colleghi che firmavano la presenza della seduta in prima convocazione (mai tenuta) e poi non si vedevano per tutta la giornata. Propose la modifica del regolamento in modo che gettoni e permessi scattassero solo in caso di effettiva partecipazione. Apriti cielo. I colleghi reagirono a muso duro. Nel frattempo, si sono attrezzati per massimizzare gli effetti di una sentenza della Corte costituzionale che da dicembre del 2013 aveva portato da 1.500 euro a 2mila e 200 mensili l’ammontare massimo dei gettoni. D’incanto, le 29 presenze mensili sino a quel momento sufficienti a totalizzare il massimo, sono diventate 39. L’utilità concreta di tutte queste sedute? «Obiettivamente le commissioni producono davvero poco», ammette la Fenech. A marzo del 2015 gli agenti la Digos hanno sequestrato tutti i verbali.

Fantassunzioni
C’è chi al momento dell’elezione è disoccupato, ma riesce a trovare un imprenditore «compiacente» che li assume. Tanto non costa nulla, visto che il consigliere in azienda non ci metterà piede. «Fantassunzioni», le hanno definite gli esponenti del Movimento5 stelle. A Siracusa, 6 consiglieri comunali e 7 imprenditori sono finiti sotto inchiesta per truffa. A Messina, sotto processo ce ne sono due. Nel corso passata legislatura, non contenti di arrotondare i loro guadagni con 2mila e 200 euro di gettoni di presenza mensili (uno di questi ha la pensione e l’altro il reddito di dentista), hanno trovato la cooperativa giusta che li assumesse come dirigenti a 4mila euro al mese. Inutile dire che la coop non ha sborsato neppure un centesimo dei 130mila euro (65mila a testa) corrisposti dal Comune. «Tanto è facile il giochetto che se s’indagasse, si scoprirebbero decine di casi simili», sottolinea il grillino Zito.

I dati impietosi
Il confronto tra quanto si spende in Sicilia e quanto nel resto d’Italia sotto la voce Indennità e rimborsi degli organi istituzionali è impietoso. Secondo i dati trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ad esempio, nel 2014 la città di Messina ha speso 3milioni e 700mila euro per indennità e rimborsi; Verona, città con un numero equivalente di abitanti, neppure la metà: un milione e 457mila euro; Bologna con un numero di abitanti una volta e mezzo quelle di Messina, ha speso 2milione e 450mila euro. A Catania, gli organi di amministrazione sono costati 3 milioni e 300mila euro, quasi un milione in più della città emiliana, che conta 60mila abitanti in più. Palermo ha sborsato 5 milioni e mezzo di euro, contro 4milioni e 353mila di Torino: un milione e 200mila euro in meno e 250mila abitanti in più.

Sforbiciata mancata
Tra coloro che percepiscono gettoni e oneri riflessi in terra siciliana ci sono mille e 600 consiglieri e assessori in più di quanti ce ne dovrebbero essere se fossero applicati gli standard nazionale. Il legislatore isolano, infatti, non ha voluto saperne sinora di recepire la norma della Finanziaria del 2009, che ordinò una sforbiciata del numero dei consiglieri e dei membri delle Giunte innalzando il rapporto tra cittadini e rappresentanti. Una semplice norma se approvata farebbe risparmiare 48 milioni di euro all’anno. Sparirebbero così 1.600 poltrone di assessori e consiglieri comunali in più rispetto al resto d’Italia.

Riforme stralciate
Al suo arrivo in Sicilia a ottobre del 2014 Alessandro Baccei, il supertecnico nominato assessore all’Economia dal Governatore Rosario Crocetta, si rese conto che la normativa regionale fosse molto permissiva: «Va cambiata» disse, raccogliendo mugugni a destra e sinistra. Sei mesi dopo sull’onda dell’indignazione della gente e delle inchieste della magistratura Crocetta ha presentato un emendamento alla Finanziaria per ridurre il numero dei consiglieri e degli assessori, le indennità e per fare in modo che «convocare» e «firmare» non fossero più sinonimi di «partecipare». Il mondo politico, grillini a parte, è insorto. Beppe Picciolo, deputato dei Democratici per le riforme, è netto: «Crocetta sbaglia». Il presidente dell’Anci Sicilia, Leoluca Orlando (sindaco di Palermo) ha sottolineato: «È’ populismo. Non si può pensare di risolvere i problemi della Sicilia tagliando le indennità degli amministratori pubblici locali. Giusto, invece, adeguare la normativa regionale a quella nazionale». Il primo aprile l’emendamento è stato stralciato.

 

Dal corriere.it

Calunnia, il deputato regionale Beppe Picciolo condannato a 2 anni e 6 mesi. I retroscena dell’inchiesta sul corvo che spaccò l’Udeur

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Il deputato regionale e leader dei DR, Beppe Picciolo, è stato condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione per calunnia nei confronti dell’avvocato Antonio Catalioto, ex assessore all’Urbanistica e di Nino Dalmazio, avvocato ex presidente di Messinambiente. La sentenza è stata emessa dal Tribunale di Messina nella tarda mattinata di oggi e chiude, almeno in primo grado, una vicenda che ha avvelenato a colpi di lettere diffamatorie anonime il gruppo politico dell’Udeur e la vita politica messinese tra il 2006 e il 2008. Read more