Larve di mosche su un paziente in Rianimazione, indagato il manager del Policlinico Pecoraro

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Pecoraro-Policlinico

MESSINA. Se dalle narici di Vincenzo Misuraca, il paziente palermitano che il 18 luglio del 2011 morì a 62 anni nella Rianimazione del Policlinico di Messina, sono spuntate le larve di mosca non è stato per una sfavorevole congiunzione astrale, come pure avevano sostenuto in buona sostanza i due consulenti della Procura, ma perché nel nosocomio universitario guidato da 6 anni dal manager Giuseppe Pecoraro le condizioni igienico sanitarie erano pessime. Il motivo? Le colpevoli omissioni dei vertici della struttura sanitaria.

Francesco Tomasello

E’ questa la clamorosa svolta delle indagini sul caso che nell’estate di 3 anni fa aveva calamitato l’attenzione di tutti i media nazionali. I magistrati della Procura di Messina Vincenzo Barbaro e Maria Grazia Arena hanno recapitato 9 avvisi di garanzia con l’accusa di omissione in atti d’ufficio e omicidio colposo al direttore generale Pecoraro, ai primari di Rianimazione Angelo Sinardi e di Neurochirurgia (dove Misuraca aveva subito un’intervento chirurgico) Franco Tomasello, sino a pochi mesi fa rettore dell’ateneo; a Rosalba Ristagno direttore sanitario di presidio e a Sebastiano Coglitore, direttore di Cardiologia e presidente del Comitato per la lotta alle infezioni ospedaliere.

Rosalba Ristagno

La decisione dei magistrati è frutto di approfonditi accertamenti (fondati su prelievi ed analisi di campioni biologici) ad opera dei carabinieri dei Nas di Catania che hanno tracciato un quadro allarmante delle condizioni igieniche sanitarie della più importante struttura ospedaliera della città, sconfessando l’operato dei due consulenti, Antonino Trunfio e Salvatore Maria Costarella.

Sono stati gli stessi Nas a segnalare ai magistrati inquirenti le anomalie e le discrasie nell’operato dei due medici legali che avevano depositato una perizia assolutoria ritenendo che la morte dell’uomo palermitano non fosse ascrivibile alla responsabilità di alcuno: sono finiti entrambi sul registro degli indagati con l’accusa di falsa perizia.

Secondo l’ipotesi della Procura, invece, Misuraca è morto per un’infezione letale da Candida parapsilosilos e da Klebisiella Pneumonica contratta all’interno della struttura di viale Gazzi.

Il proliferare dei germi è stato possibile – sempre secondo l’accusa – perché Pecoraro, Coglitore, Ristagno, Coglitore, Sinardi e Tomasello nelle corso degli anni precedenti hanno omesso di fare quello che prevedevano i protocolli sanitari per mantenere gli standars minimi di igiene e salubrità degli ambienti ospedalieri necessari imposti dalla legge a tutela della salute dei degenti. Ai cinque  viene pure contestato avere tenute nascoste le infezioni letali che aveva contratto Misuraca omettendo di segnalarle secondo le procedure previste in questi casi. I magistrati hanno recapitato un avviso di garanzia con l’accusa di “Inadempimento di contratti di pubbliche forniture” anche ad Alessandro Caltagirone, ingegnere braccio destro di Pecoraro e direttore del servizio Tecnico e a Pietro D’agostino, direttore dei lavori di una società, la Coflay, che ha in appalto il servizio di manutenzione degli impianti tecnologici. I Nas hanno scoperto che la società benché obbligata secondo l’appalto a manutere gli impianti che servono a mantenere asettica l’aria in Rianimazione non lo faceva, agevolata – secondo i magistrati – dalla distrazione di Caltagirone.

Furono la figlia Valentina e la moglie dell’uomo palermitano a scoprire e denunciare che mentre il congiunto lottava tra la vita e la morte nel reparto di Rianimazione e, dunque, doveva essere al massimo garantita la cura, in realtà il suo fisico debilitato si doveva difendersi  finanche dalle mosche. Dopo la denuncia scoppiò il putiferio. I familiari assistiti dal legale Maurizio Germanà si sono rivolti dapprima alla Procura e hanno contestato poi le conclusioni cui erano giunti in prima battuta i due consulenti.

PROVVEDIMENTI DI PARATA. Il manager Giuseppe Pecoraro gonfiò il petto e assunse provvedimenti drastici. “Consigliò” al primario Angelo Sinardi di prendersi un periodo di ferie che sboccò poi direttamente nel pensionamento del docente. In una conferenza stampa scaricò tutte le responsabilità sul direttore medico di presidio Rosalba Ristagno che sospese dall’incarico. Mise sotto procedimento disciplinare dieci infermieri del reparto di Rianimazione accusati di negligenze nella pulizia del malato Misuraca. Tutti però furono successivamente scagionati dalla Commissione di disciplina: sostennero con successo che la scarsità delle condizioni igieniche era dovuta a motivi strutturali e non a loro responsabilità.

Nell’occasione la Rianimazione fu chiusa per lavori urgenti che mostrarono le condizioni di degrado in cui il reparto era tenuto da anni.

Che, però, si trattava di un semplice operazione di facciata si capì qualche mese dopo. In una sera di marzo del 2012, infatti, i Nas avvertiti da una segnalazione anonima, arrivarono al Policlinico e scoprirono che l’acqua che usciva dai rubinetti, usata dai pazienti per l’igiene personale e dai chirurghi per lavarsi le mani prima di prendere il bisturi, era inquinata da pseudomonas aeruginosa, un batterio killer. L’allora direttore sanitario, Manlio Magistri, ordinò la chiusura della sale operatorie, rimaste vuote per alcuni giorni.

FALSITA’ E MINACCE. La vicenda fu raccontata con tanto di riferimenti documentali dal settimanale Centonove di Messina. Pecoraro reagì promettendo denunce per procurato allarme nei confronti del giornale. Tuttavia, qualche mese dopo al Policlinico apparvero dei cartelli di “Acqua non potabile” su tutti i rubinetti e i pazienti vennero invitati a usare l’acqua delle bottiglie per lavarsi le parti intime. I Nas hanno segnalato più volte alla Procura che in un ospedale, dove i pazienti si recano per curasi, l’acqua non può essere non potabile. Mentre a Messina i cartelli mettevano paura ai pazienti e ai loro familiari, per i dirigenti dell’assessorato alla Sanità guidato prima da Massimo Russo e poi da Lucia Borsellino, “non c’era alcun problema”

Nonostante queste gravi disfunzioni, Pecoraro è stato di recente giudicato dall’Agenas (Agenzia servizi sanitari) come il miglior manager della sanità regionale.

INCARICHI SPERICOLATI. Tra i periti ora incriminati nell’inchiesta sulla larve c’è Antonino Trunfio. Il medico aveva ottenuto questo ed una serie di delicati incarichi dalle Procure di Messina e Reggio Calabria benché sul suo capo pendesse un processo per violenza sessuale nei confronti di una paziente. Il medico legale riconosciuto colpevole e condannato in via definitiva è finito in carcere agli inizi del 2013 è finito in carcere, qualche mese il deposito della perizia ritenuta ora falsa dagli stessi pm che gli conferirono l’incarico.

One comment

  1. anna misuraca ha detto:

    questo articolo del degrado della sala rianimazione di messina è stato scritto con molta verità, mio fratello è morto per la lurida sporcizia di questo posto,ma la cosa più orrenda e che alla fine nessuno mai sarà punito, perchè tanto i potenti l’avranno sempre vinta. I giudici non gliene importa nulla, rimarrà sempre un caso svanito nel nulla.Grazie per scrivere queste notizie, almeno servissero a qualcuno…..

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