L’OPINIONE: Navigator, a 20 mila persone impedito di partecipare al concorso in base al voto di laurea e… alla fortuna. Il buon senso, la legge e la giurisprudenza però lo vietano

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E’ giusto e legittimo che a migliaia di persone sia impedito di partecipare a un pubblico concorso, cioè di mostrare quanto siano bravi e preparati, in base al voto di laurea?

Chiunque, uomo della strada, a lume di buon senso e di logica, risponderebbe d’istinto “no”.

E risponderebbe di no, perché il voto di laurea non è un criterio oggettivo e, soprattutto, sicuro della preparazione del candidato, né delle sue capacità e competenze e quindi non assicura alla pubblica amministrazione di selezionare davvero i migliori (scopo questo del concorso).

Non è metro oggettivo ed affidabile per diverse ragioni: perché, ad esempio, i parametri di valutazione delle commissioni di esami variano da ateneo ad ateneo, variano da facoltà a facoltà, variano da periodo storico a periodo storico, variano dalle università pubbliche alle (decine ormai) di Università private, le quali più generosamente rilasciano lauree e più facilmente attirano clienti e denaro.

Non lo è anche per altri motivi che riguardano specificamente la storia umana e professionale di ciascun candidato: ad esempio, si può sostenere che uno che è laureato in Economia con 90/110 e ha alle spalle 10 anni di esperienza come manager in un’azienda privata e voglia passare al settore pubblico, sia meno preparato rispetto a un neolaureato con 110 e lode in un’Università telematica?

Eppure, ciò che per l’uomo della strada avrebbe una soluzione scontata per chi governa l’Italia e per la classe dirigente cui è stato affidato il compito di fare gli interessi collettivi, la domanda ha una risposta opposta.

Il voto di laurea, infatti, è stato usato per impedire a 20 mila persone di partecipare al pubblico concorso che si terrà il prossimo 18, 19 e 20 giugno a Roma a 3 mila posti di navigator, figura ideata e voluta dal Movimento 5 Stelle e dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio per aiutare i destinatari del reddito di cittadinanza a cercare e trovare il lavoro (che non c’è).

Trenta mila euro all’anno lordi per due anni, avevano indotto 80 mila muniti di laurea in diverse specialità (unico titolo richiesto dal bando) ad avanzare domanda di partecipazione al concorso organizzato e gestito dall’ Anpal, Agenzia nazionale politiche del lavoro, ente di diritto pubblico dello Stato italiano.

Circa ventimila aspiranti navigator, però, sono stati privati della possibilità di cimentarsi nelle prove e di mostrare il loro valore, proprio in base al voto di laurea.

La ragione? Limitare il numero dei partecipanti all’unica prova selettiva e velocizzare la procedura, che già di per sè per come è stata strutturata è velocissima: un test a risposta multipla di 100 domande, chi totalizza i punteggi più alti vince. 

A Messina e provincia, ad esempio,  sono stati esclusi 600. In tutta la Sicilia, più o meno 3 mila.

L’uomo della strada però subito dopo aver risposto d’istinto “no”, sarebbe comunque stato assalito dai dubbi: “La legge magari lo consente, per i giudici è giusto così. Se è stato previsto vuol dire che si può fare”, penserebbe.

 

Cosa dicono i giudici

Non avrebbe alcuna incertezza a rispondere allo stesso modo chi, invece, ha un minimo di competenza giuridica.

Che l’esclusione da un pubblico concorso in base al voto di laurea, si ponga fuori dalle regole non solo dell’ordinamento italiano ma ancor prima di quello comunitario è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza.

Da ultimo, con sentenza del 15 febbraio del 2019, il Tribunale amministrativo del Lazio ha annullato la procedura selettiva bandita dall’Enac, Ente nazionale aviazione civile, per reclutare ingegneri, proprio perché era stato previsto il voto di laurea come sbarramento alla partecipazione al concorso.

I giudici amministrativi, ribadendo altre pronunce precedenti, hanno stabilito che: “la previsione di un ulteriore requisito di accesso alla relativa procedura selettiva (oltre alla laurea, ndr), non può dunque fondarsi sulla semplice volontà dell’ente di limitare preventivamente il numero dei partecipanti al concorso. E’, infatti, evidente che l’ENAC abbia inteso introdurre un illegittimo indice selettivo, correlato ad un predeterminato obiettivo di preparazione culturale degli aspiranti concorrenti, con il fine precipuo di escludere dalla partecipazione al concorso i soggetti che abbiano ottenuto risultati meno brillanti nel corso degli studi universitari, per di più adottando un parametro (il voto di laurea) che, a ben vedere, potrebbe non rappresentare un indice attendibile di preparazione del candidato, dipendendo esso da un rilevante numero di variabili (tra gli altri, il tipo di laurea conseguito e presso quale Università)”.

Esattamente quello che è accaduto per buttare fuori 20 mila laureati dalle prova per navigator.

I paradossi non finiscono mai

 

Ma nel concorso per navigator è successo qualcosa di ancora più paradossale.

La possibilità della partecipazione al concorso, oltre che al voto di laurea, è stata pure affidata al caso, alla fortuna.

Poiché ciascun candidato all’atto della domanda poteva concorrere solo per una provincia e gli ammessi al concorso sono stati definiti a livello provinciale in proporzione al numero dei posti messi in palio, è accaduto che azzeccando la provincia “giusta”, alcuni candidati sono stati ammessi pur con un voto di laurea più basso di altri che invece potevano vantare su un voto di laurea più alto, ma che avendo beccato la provincia sbagliata sono rimasti tagliati fuori.

In conclusione, se anche il voto di laurea per assurdo (così infatti non è) potesse essere usato come criterio per filtrare la partecipazione alle prove di un pubblico concorso, per come è stato applicato si è risolto nella violazione del principio di uguaglianza.

Insomma, un capolavoro. Realizzato, e qui c’è anche l’ulteriore paradosso, per “risparmiare” una sola sessione di prove di una giornata, da aggiungere alle tre già previste.

 

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