Le dichiarazioni “di favore” del collaboratore di Giustizia Carmelo Bisognano, la Procura insiste per il proscioglimento e il gip Simona Finocchiaro accoglie. Revocato il programma di protezione un anno e mezzo dopo gli arresti

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Carmelo Bisognano

Carmelo Bisognano

 

Da collaboratore di giustizia si era impegnato a fare nuove dichiarazioni in cambio dell’aiuto economico necessario ad iniziare l’attività imprenditoriale sotto mentite spoglie, ma poi in sede di indagini difensive il 30 settembre del 2015 non ha cambiato la sua versione fornita in precedenza sulla caratura criminale dell’imprenditore Tindaro Marino, a cui le dichiarazioni servivano per tentare di sfuggire alla condanna per concorso esterno e al sequestro di tutti i beni.

E’ questa la conclusione cui è giunto il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Messina, Simona Finocchiaro, disponendo il proscioglimento di Carmelo Bisognano, ex boss di Barcellona Pozzo di Gotto, dal 2010 collaboratore di giustizia.

Arrestato il 18 maggio del 2016 nell’ambito dell’inchiesta Vecchia Maniera anche per Tentata estorsione e Intestazione fittizia di beni, reati per cui è stato condannato in primo grado, Bisognano era imputato del reato di False dichiarazioni al difensore rilasciate nell’ambito di investigazioni difensive.

 

Stesse dichiarazioni, valutazioni diametralmente opposte

Il giudice Finocchiaro l’ha pensata in modo diametralmente opposto alla collega Monica Marino e ha aderito all’assunto dei sostituti della direzione distrettuale antimafia, Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio, che hanno insistito per il proscioglimento del collaboratore di giustizia.

Il giudice per le indagini preliminari Marino, infatti, il 26 giugno del 2017, aveva rigettato la prima richiesta di archiviazione avanzata dagli stessi magistrati Cavallo e Di Giorgio e  aveva ordinato loro di disporre l’imputazione coattiva nei confronti di Bisognano, di Tindaro Marino e di Angelo Lorisco, ovvero colui che teneva i rapporti tra Bisognano, in località protetta dal momento dell’inizio della collaborazione avvenuta nel 2010, e Marino, all’epoca agli arresti domiciliari.

Le dichiarazioni della discordia

I due pm Cavallo e Di Giorgio, che hanno gestito sin dall’inizio la collaborazione grazie alla quale sono stati arrestati vari esponenti della mafia del Longano e hanno chiesto nel 2016 gli arresti per Bisognano, non si sono discostati dalla prima richiesta di archiviazione che avevano motivato aderendo a quella che sin da subito era stata la tesi difensiva di Bisognano e del suo avvocato Fabio Repici.

E da questa tesi, nonostante la bocciatura della Marino, non si sono mossi.

Il collaboratore di giustizia, un mese dopo gli arresti, ha chiesto e ottenuto di essere interrogato dai due pm Di Giorgio e Cavallo: “Ammetto di aver fatto il patto con Marino e che questi in cambio ha acconsentito entrare come socio occulto nella società Ldm Costruzioni Srl dietro la condizione che facessi nuove dichiarazioni sul suo conto. E’ stato un grave errore e una violazione delle regole che mi imponeva il programma di protezione”.

Che ci fossero state delle trattative per rendere delle dichiarazioni di favore era un dato di fatto. C’erano infatti molteplici intercettazioni telefoniche e ambientali che attestavano le trattative tra Bisognano e Tindaro Marino.

“Tuttavia, non ho detto il falso né ho cambiato versione rispetto a quanto avessi dichiarato prima“, ha affermato dinanzi ai due pm Bisognano.

Insomma – seguendo il ragionamento di Bisognano – Marino  in cambio del suo aiuto economico voleva dal collaboratore delle dichiarazioni di favore; Bisognano ha accettato la proposta “scellerata”; Marino ha chiesto insistentemente al suo difensore, Salvatore Silvestro, di sentire Bisognano; il 30 settembre del 2015, alla presenza dei suoi difensori Fabio Repici e Mariella Cicero, il collaboratore però poi queste dichiarazioni di favore non le ha fatte; tuttavia, il legale di Marino le ha depositate in Cassazione e in Corte d’appello e Marino stesso è entrato lo stesso in società con Bisognano, offrendo il suo apporto economico per l’attività di Ldm Costruzioni Srl.

In conclusione, l’imprenditore Marino – a seguire la tesi difensiva – è stato in qualche modo raggirato da Bisognano.

Di Giorgio e Cavallo dopo aver confrontato la trascrizione della registrazione integrale delle dichiarazioni rese il 30 settembre del 2015 con quelle rese in precedenza, hanno sposato la tesi di Bisognano: “Nelle linee essenziali, le dichiarazioni di Bisognano su Marino non sono cambiate”, hanno scritto nella prima richiesta di archiviazione, cambiando così l’idea che si erano fatti al momento di richiedere la misura cautelare per Bisognano.

Al collaboratore, infatti, avevano contestato, sulla base dei verbali riassuntivi, anche di aver fatto dichiarazioni diverse e di favore rispetto a prima sul conto dell’imprenditore di Gioiosa Marea.

Questione di Giudice

Lo stesso lavoro di confronto tra le dichiarazioni del 30 settembre del 2015 (sia dei verbali riassuntivi che delle dichiarazioni integrali) e quelle rese in precedenza lo ha fatto il Gip Marino, che era giunto senza esitazioni a conclusioni invece diametralmente opposte a quelle dei due pm e ora della collega Finocchiaro.

Conclusivamente, può senz’altro sostenersi che Carmelo Bisognano, in ossequio ad accordi presi in precedenza con Tindaro Marino, abbia rilasciato false dichiarazioni sullo stesso Marino, in quanto oggettivamente diverse da quelle rese in precedenza, assolutamente più favorevoli in quanto ne attenuano non poco la sua responsabilità penale e ciò al fine di conseguire un’utilità e un vantaggio di non poco rilievo: poter iniziare a svolgere una nuova e lucrosa attività imprenditoriale al riparo da occhi indiscreti”, aveva scritto il 26 giugno scorso il Gip Marino, giudice che aveva accolto la richiesta di misure cautelari per l’ex boss del Longano.

Alla Vecchia Maniera

Tre mesi dopo, il 28 settembre del 2017, per il reato di intestazione fittizia di beni (proprio nella società Ldm Costruzione srl) e di tentata estorsione che, unitamente al reato di False dichiarazioni ora archiviato dal Gip Finocchiaro,  gli erano stati contestati al momento degli arresti, Bisognano è stato condannato in primo grado a 5 anni di reclusione dal Tribunale di Barcellona. A due anni è stata la pena per Marino.

 

Se la Procura di Roma bussa alla porta

Da venerdì 7 luglio 2017 Bisognano è nel carcere di Rebibbia. Era stato prelevato dalla località in cui viveva sotto protezione e arrestato su ordine del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Chiara Gallo, che ha accolto la richiesta della Procura, guidata da Giuseppe Pignatone.

La procura di Roma, a cui erano stati trasmessi gli atti per competenza territoriale, ha declinato l’accusa in termini di violazione abusiva dei sistemi informatici e di violazione del segreto d’ufficio.

Sempre nell’ambito dell’inchiesta Vecchia Maniera condotta dal commissario di Barcellona diretto da Mario Ceraolo era pure emerso che due degli agenti (Domenico Tagliente e Enrico Abbina) che dovevano proteggerlo e controllarlo, avevano intessuto con il collaboratore un rapporto di complicità che consentiva a quest’ultimo di muoversi e incontrarsi a suo piacimento, anche con altri collaboratori di giustizia, in violazione di ogni norma regolamentare e, soprattutto, di avere libero accesso al sistema informatico della polizia.

Bisognano era libero. Infatti, su richiesta del suo difensore Repici, era stato scarcerato il 26 maggio del 2017 proprio dal Tribunale di Barcellona (che poi lo ha condannato), anche sulla base della considerazione che il programma di protezione non fosse stato revocato.

 

La revoca del Programma di protezione

La legge prevede che la violazione delle regole di condotta (anche se in ipotesi non costituisce reato) che il collaboratore di giustizia si impegna a osservare comporta la revoca del programma di protezione. Tuttavia, a Bisognano dopo gli arresti di maggio del 2015 era stato mantenuto il programma di protezione. Ed era stato mantenuto anche dopo gli arresti chiesti e ottenuti dalla Procura di Roma il 7 luglio del 2017.

In questo modo l’ex boss di Barcellona ha continuato a godere dello speciale trattamento riservato ai collaboratori e che pagano i contribuenti italiani: la scorta, due avvocati, la casa, i viaggi e un assegno mensile di 1600 euro.

Ciò di cui godeva mentre – secondo gli inquirenti e il Tribunale di Barcellona – commetteva reati

Il programma di protezione gli è stato revocato da qualche settimana, dopo la condanna del Tribunale di Barcellona del 29 settembre 2017 e un anno e mezzo dopo gli arresti.

 

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