Per anni boss della mafia, dal 2010, dall’inizio della collaborazione con la giustizia, era protetto dallo Stato ma se ne faceva beffa, commettendo reati.
La Corte di Cassazione mette il sigillo all’inchiesta del commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto che il 16 maggio del 2016 portò in carcere il boss di Barcellona Carmelo Bisognano e l’imprenditore di Gioiosa Marea Tindaro Marino.
I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso, dichiarato inammissibile, proposto dai legali dei due imputati.
E’ così passata in giudicato la sentenza della Corte d’appello di Messina che il 26 marzo del 2019 aveva condannato a 5 anni di reclusione il collaboratore di giustizia per tentata estorsione e intestazione fittizia di beni e a due anni l’imprenditore Marino, accusato però solo (in concorso) di intestazione fittizia.
I reati sono stati commessi tra il 2015 e il 2016 mentre Bisognano, collaboratore di giustizia dal 2010, si trovava sotto la protezione e i contribuenti italiani gli pagavano la scorta, due avvocati, la casa, i viaggi e un assegno mensile di 1600 euro.
Gli arresti scattarono anche per Angelo Lorisco, uomo fidato di Bisognano.
Lorisco ha scelto il rito abbreviato e, per gli stessi reati che hanno portato ora alla condanna dell’ex collaboratore, l’8 gennaio 2017 è stato condannato a tre anni di reclusione.
A cavallo tra il 2015 e il 2016, gli inquirenti del commissariato di Barcellona guidati da Mario Ceraolo scoprirono che Bisognano dalla località protetta, usando proprio Lorisco, aveva costituito una società e aveva iniziato l’attività di imprenditore, sotto mentite spoglie, grazie all’aiuto dell’imprenditore Tindaro Marino, sottoposto alla misura di prevenzione patrimoniale e condannato all’epoca per concorso esterno alla mafia.
Per tornare operativo, Bisognano tramite Lorisco aveva – secondo l’ipotesi accusatoria che ha tenuto in tutti i gradi del processo – strumentalizzato il ruolo di collaboratore e tentato di sottoporre a estorsione i membri della famiglia Torre, titolari di un’azienda, minacciandoli di fare dichiarazioni sul loro conto.
Sull’ex capomafia, la cui collaborazione è stata molto utile per mettere alla sbarra vari esponenti della mafia del Longano e di fare luce su diversi delitti, pendono altri processi, tutti figli dell’inchiesta Vecchia Maniera.
E’ infatti sotto processo per un’altra ipotesi per estorsione consumata sempre ai danni degli imprenditori Torre, inizialmente sfuggita alla direzione distrettuale antimafia di Messina, che dopo averne per anni gestito la collaborazione è stata costretta a chiederne gli arresti.
Carmelo Bisognano, è pure sotto processo a Roma per accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio.
Sempre dalle indagini del commissario di Barcellona era pure emerso che due degli agenti che dovevano proteggerlo e controllarlo, avevano intessuto con il collaboratore un rapporto di complicità che consentiva a quest’ultimo di muoversi e incontrarsi a suo piacimento in violazione di ogni norma regolamentare con i propri avvocati Mariella Cicero e Fabio Repici e con altri collaboratori di giustizia, e, soprattutto, di avere libero accesso al sistema informatico della polizia.
La procura di Roma, guidata all’epoca da Giuseppe Pignatone, a cui erano stati trasmessi gli atti per competenza territoriale, ha declinato l’accusa in termini di violazione abusiva dei sistemi informatici e di violazione del segreto d’ufficio.
Nel frattempo, un anno e due mesi dopo gli arresti, a Bisognano è stato revocato il programma di protezione e, non potendo più godere dei benefici riservati a chi collabora, l’ex boss si trova recluso in un carcere.
Bisognano, infatti, sta scontando una condanna passata in giudicato a 13 anni di reclusione rimediata nell’ambito del processo Gotha per omicidio e associazione mafiosa. Ora si aggiunge questa a 5 anni.
Lo Stato gli garantisce comunque la tutela.
La legittimità della revoca è stata avallata prima dal Tribunale amministrativo del Lazio e dal Consiglio di Stato, nel giudizio cautelare e poi, di recente, sempre dal Tar, nel giudizio di merito, il 18 gennaio del 2021.
Tuttavia, per il suo legale Fabio Repici, Bisognano è stato vittima di un complotto, ordito tra gli altri dallo stesso commissario Ceraolo.
Per questo ha fatto denunce in diverse sedi,anche pubbliche.
In pratica, volendo trarre le sintetiche conclusioni dal materiale dell’inchiesta, secondo il legale, noto in tutta Italia per le sue battaglie in nome della legalità, Bisognano commetteva reati, per alcuni dei quali ora è stato condannato con sentenza definitiva, per dare un aiutino a coloro che avevano ordito il complotto.