Il COMMENTO: La scuola, l’istruzione e la cultura? A Messina valgono poco o niente. Il sindaco Cateno De Luca lo sa bene e ne approfitta, a suo uso e consumo, per manipolare il consenso. L’eloquenza del silenzio

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Il sindaco Cateno De Luca

 

La scuola e il diritto all’istruzione, alla socialità e alla formazione culturale dei ragazzi?

A Messina valgono poco. O, forse, niente.

Viene prima, molto prima, l’interesse dei professionisti a poter lavorare e ricevere negli studi i loro clienti anche dopo le 19. E dei commercianti a tenere aperti i negozi sino a sera tardi.

Non è dato sapere se il sindaco Cateno De Luca all’annuncio via face book farà seguire una nuova ordinanza che lascerà ancora a casa tutti gli studenti della città, nonostante i dati dei contagi nelle scuole cittadine siano i più bassi dell’intera italia, così come i dati generali relativi all’intera cittadinanza.

Ma se lo farà è perché, da abilissimo manipolatore del consenso, ha capito che in fondo della scuola nella città dello Stretto importa davvero a pochi, a una sparuta minoranza. E quindi non ci sarà alcuna protesta seria, alcuna opposizione credibile. Come sinora non c’è stata.

La sua certezza è stata rafforzata da ciò che è accaduto dopo che il 20 novembre ha adottato l’ennesima ordinanza contingibile e urgente efficace sino al 27 per affrontare l’emergenza Coronavirus a Messina.

Un’emergenza che nella città dello Stretto non c’è (e neppure in Sicilia, e al sud in genere) e il sindaco crea ad arte soltanto per finalità di propaganda clientelare; complice l’unico giornale cartaceo della città, la Gazzetta del sud (rete televisiva compresa), quotidiano che durante la campagna elettorale, quando c’era da far eleggere come sindaco Placido Bramanti, rappresentante degli interessi del gruppo editoriale/immobiliare che ruota attorno al giornale, si è mostrato oltremodo “nemico” di De Luca; poi, incassata la sconfitta, è divenuto velocissimamente grande “amico” del nuovo sindaco.

Chiusura delle scuole per tutti, e non solo per i ragazzi dalle scuole superiori, come nel resto delle regione; e coprifuoco (comprese chiusura attività commerciali e professionali) alle 19, invece che alle 22, come prevede la normativa nazionale: queste le misure principali.

Contro quest’ultima parte dell’ordinanza si sono mobilitati tutti.

Antonio Tierno e Vincenzo Ciraolo, notaio il primo e avvocato il secondo, l’hanno impugnata al Tribunale amministrativo regionale di Catania nella giornata del 26.

Un gruppo di consiglieri comunali capitanati dai “progressisti” del Partito democratico l’ha contestata, ma non è riuscito neppure a fare approvare una mozione da un  Consiglio comunale sottomesso al sindaco.

I presidenti degli ordini professionali della città, notai, avvocati, architetti e commercialisti, organismi che raccolgono almeno 10 mila persone, l’intellighènzia  della città, hanno stigmatizzato l’operato di De Luca in un documento congiunto al termine di 6 giorni di dibattito. E alla fine se ne sono usciti, giorno 26, con un atto stragiudiziale di diffida.

E la scuola?

Nessuno ha speso una parola, impegnato un solo rigo. Così come non si sono sprecati sul tema i cosiddetti rappresentati del popolo, gli esponenti politici, i sindacalisti (duri e puri compresi).

In prudente silenzio, ad esempio, è rimasto l’ex rettore dell’ateneo di Messina, Pietro Navarra, deputato del Pd, l’uomo che proprio per travasare nella politica la cultura e la sensibilità al sapere non ha esitato a coinvolgere l’ateneo di Messina nella bagarre politico elettorale.

“Ecclesiastico” è stato pure il silenzio del Vescovo Giovanni Accolla. La chiesa non ha sempre rivendicato un ruolo sociale? D’altronde nell’unica occasione in cui l’alto prelato è intervenuto pubblicamente è stato per rimproverare il sindaco reo di aver pronunciato una parolaccia, peccato davvero gravissimo.

D’altro canto i ragazzi non votano, non sono (ancora) partecipi del mercato clientelare, non costituiscono platea da blandire in vista di imminenti consultazioni.

 

L’annullamento del diritto allo studio non determina, non immediatamente almeno, un calo degli incassi.

Gli effetti perversi di una sospensione dell’attività didattica che ormai dura da 8 mesi e che non ha precedenti nella storia (le scuole sono rimaste aperte pure durante la guerra) si vedranno solo tra qualche anno.

Alla fine a pagarne maggiormente le conseguenze sono i figli delle famiglie che vivono ai margini, quelli che non si possono permettere insegnanti privati, né hanno gli strumenti culturali per seguire i figli: massa destinata a rimanere ignorante, sotto acculturata, che sarà costretta a dare il voto ai soliti professionisti del clientelismo in cambio di un pacco di pasta.

Il danno non è solo dovuto alla mancata frequenza della scuola ma al messaggio che si manda: la scuola non ha valore, la cultura non è importante, nella vita conta soprattutto la ricchezza materiale. 

Ma, a ben vedere, se si alzano gli occhi dal proprio orticello, l’intera comunità ha poco da essere tranquilla.

I ragazzi nelle ore in cui non vanno a scuola sono per strada a lezione di spaccio o di furto. O nella migliore delle ipotesi, si gingillano con lo smartphone in mano tutta la giornata, risucchiati nel vortice della banalità, anticamera del disagio e della devianza sociale.

La didattica a distanza, come sanno tutti, è il nulla: inutile se non disutile.

Diversamente sarebbe andata – c’è da scommettere – se si fosse previsto un taglio del solo 10% degli emolumenti giornalieri del personale delle scuole per le giornate di chiusura: è facile pronosticare ci sarebbero stati sollevamenti popolari, sindacalisti indignati, politici improvvisamente sensibili alla cultura.

O forse, più semplicemente, il sindaco non le avrebbe chiuse.

Eppure, che la chiusura delle scuole fosse e sia una misura non necessaria, gratuita e frutto di un vero e proprio abuso di potere del sindaco era evidente dalla semplice lettura del provvedimento.

A fronte di numeri risibili di contagio, per giustificare la decisione De Luca, infatti, è stato costretto a fare a pezzi l’Azienda sanitaria di Messina diretta da Paolo La Paglia, giudicata – nero su bianco (ovvero nel preambolo della stessa ordinanza) e “sulla base di documentazione” che nessuno ha però visto – “incapace persino di rispondere alle mail di segnalazione di casi di contagio”, e più in generale “inadempiente rispetto alla normativa dettata per contrastare la ulteriore diffusione del contagio nella comunità scolastica”.

Tutto ciò a 9 mesi dall’inizio dell’emergenza.

Ora, se quello che ha affermato De Luca fosse minimamente vero, il direttore generale La Paglia dovrebbe essere immediatamente rimosso o quantomeno invitato a dimettersi. Invece il silenzio. Neppure un commento, né da destra, né da sinistra; né dalla maggioranza che sostiene il Governo regionale, né dalla (finta) opposizione.

Da chi l’ha nominato, i suoi sponsor politici, il presidente Nello Musumeci e l’assessore alla Sanità Ruggero Razza, coloro che ne avrebbero la responsabilità politica, non è giunto nessun segno di vita.

E nessun giornalista, non che questo stupisca, ha chiesto loro di prendere posizione o di spiegare.

Eppure, era stato (anche) l’assessore Razza a segnalare con circolare a tutti i sindaci della Sicilia (valeva anche per De Luca?) che la Legge, per quanto possa ancora valere nella stagione del terrore, aveva tolto loro ogni potere in materia di misure di contenimento del coronavirus.

Poi, però, di fronte alla tracotanza di De Luca, come un vero politicante di razza attento solo alle tattiche politiche e non certo agli interessi collettivi è rimasto “muto”.

Muta è rimasta la Prefetta Maria Carmela Librizzi: la rappresentate di un Governo ancora in carica solo grazie al coronavirus, si è mostrata una volta di più palesemente incapace di arginare gli abusi di potere del sindaco.

E, sempre e solo per fare un esempio, nessuna presa di posizione è venuta da un altro esponente politico di primo piano della città, il signor Francesco D’Uva: capogruppo (e già questo la dice lunga) alla Camera del Movimento 5 Stelle, formazione che fornisce al Governo il ministro dell’Istruzione siciliana Lucia Azzolina.

Quest’ultima è impegnata un giorno si e l’altro pure a spiegare quanto sia perniciosa la chiusura delle scuole, quanto queste siano più sicure di altri luoghi e che debba essere disposta solo in casi di estrema necessità (necessità, s’intende, oggettiva, non personale del sindaco De Luca).

Ma forse D’Uva di questo non è stato informato.

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