Estorsioni all’Aias di Barcellona, 4 anni e 6 mesi al collaboratore Carmelo D’amico. La Corte d’appello ritiene provate le accuse di Luigi La Rosa. D’amico da boss si era difeso attaccando ma è stato condannato per calunnia ai danni del commercialista e dell’imprenditore Maurizio Marchetta

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Il collaboratore Carmelo D'amico

Il collaboratore Carmelo D’amico

Quattro anni e sei mesi di reclusione.

Nuova condanna per Carmelo D’amico, il boss di Barcellona Pozzo di Gotto da tre anni e mezzo collaboratore di giustizia. Dopo la condanna per calunnia rimediata il 26 febbraio scorso, la Corte d’appello di Messina l’ha ritenuto colpevole di estorsione ai danni dell’Aias, l’associazione italiana assistenza spastici, di Barcellona.

In primo grado, quando non era ancora collaboratore, D’amico era stato assolto dal Tribunale di Barcellona, mentre erano stati condannati per lo stesso reato i coimputati Giovanni Rao, Mariano Foti e Carmelo Giambò.

L’inchiesta che portò in carcere e a processo i quattro esponenti della mafia nacque dalla dichiarazioni di Luigi La Rosa, l’ex presidente dell’Aias.

Questi raccontò agli inquirenti che sin dalla fine degli anni novanta (quando alla guida dell’ente c’era Pietro Arnò) e sino al 2009, quando decise di porre fine al pagamento del pizzo, l’Aias fosse costretta a pagare la somma di 40milioni di lire all’anno (diventati poi 40mila euro) e a effettuare delle assunzioni a favore di persone vicine ai membri dell’organizzazione criminale.

Se nel giudizio di primo grado le dichiarazioni di Luigi La Rosa, ritenute riscontrate relativamente a Rao, Giambò e Foti, non sono state considerate sufficienti per condannare D’amico, nel giudizio di appello hanno avuto un peso (le motivazioni diranno quale) le stesse dichiarazioni di Carmelo D’amico, che nel frattempo aveva iniziato a collaborare confermando nella sostanza le dichiarazioni del commercialista di Barcellona: e cioè che i vertici dell’Aias fossero costretti a piegarsi a voleri della mafia del Longano, di cui lui D’amico dal duemila in poi era divenuto un capo.

Difesa boomerang

Carmelo D’amico ha finito per smentire se stesso rimediando così anche la condanna per la calunnia.

Il boss reo confesso di decine di omicidi, infatti, prima di iniziare la collaborazione, per difendersi aveva denunciato che a convincere La Rosa ad accusarlo fosse stato il suo amico Maurizio Marchetta, l’imprenditore di Barcellona per un periodo vice presidente del Consiglio comunale.

Quest’ultimo, a sua volta aveva  già denunciato di estorsione lo stesso D’amico e Carmelo Bisognano, l’altro esponente di spicco della mafia del Longano che a partire dal 2010 inizierà la collaborazione con la magistratura.

L’accusa a La Rosa e Marchetta a D’amico è costata il 26 febbraio scorso la condanna ad un anno di reclusione (pena mitigata, come quella per l’estorsione all’Aias, dall’essere un collaboratore)

Tutto si Sistema

Entrambi, D’amico e Bisognano, furono arrestati nel 2009 nell’operazione “Sistema” proprio in virtù delle dichiarazioni di Marchetta.

Condannati in primo grado a pene molto pesanti decisero di diventare collaboratori: prima, dal 2010, Bisognano e poi, dal 2013, D’amico. Le loro dichiarazioni hanno permesso di fare luce su decine di delitti (tra cui efferati omicidi) che erano rimasti senza colpevoli.

Si sono sempre difesi sostenendo che Marchetta era uno colluso e non una vittima della mafia.

Il processo a loro carico per l’estorsione alle imprese di Marchetta è ancora in corso: i due boss, dopo la condanna di primo grado sono stati assolti in appello, ma la Corte di Cassazione ha annullato e rimesso la decisione finale a Reggio Calabria.

Nel frattempo Carmelo Bisognano è stato arrestato e rinviato a giudizio. Mentre era sottoposto a programma di protezione – secondo l’accusa – ha continuato a delinquere alla Vecchia maniera (vedi articolo sulla vicenda).

Le spine di La Rosa

Le dichiarazioni del commercialista La Rosa sono state già sottoposte positivamente al vaglio di altri giudici.

Il Tribunale di Messina ha condannato, in primo grado, l’ex senatore Tatà Sanzarello per le estorsioni all’Aias (vedi articolo correlato a firma Michele Schinella).

Il Giudice per le indagini preliminari di Barcellona ha rinviato a giudizio per una serie di reati il presidente dell’Aias nazionale, Francesco Lo Trovato, e una serie di dirigenti dell’associazione, oltre ai politici Sanzarello (per altre ipotesi di reato) e Natale D’amico (vedi articolo).

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