Estorsione ai danni degli imprenditori della cantieristica Palumbo, il sindacalista della Cisl Enzo Cambria condannato a tre anni

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Tre anni di reclusione. Si è chiuso con una condanna il processo di primo grado nei confronti di Enzo Cambria. Il sindacalista della Cisl era accusato di aver costretto gli imprenditori Palumbo a pagare somme di denaro per evitare proteste e scioperi nel cantiere navale che ha preso il posto della Smeb, nella zona Falcata della città di Messina.

Il giudice Fabio Pagana si è convinto della colpevolezza del sindacalista benché Cambria, difeso da Giovambattista Freni, abbia protestato la propria innocenza chiedendo che venisse visto in aula un video che immortalava la dazione di denaro, avvenuta in un bar, dall’imprenditore Antonio Palumbo e l’allora responsabile provinciale del settore metalmeccanici del sindacato bianco.

Secondo la difesa il video avrebbe mostrato – contrariamente a quanto sostenuto degli inquirenti della Squadra mobile della polizia – che non ci fosse stato alcun passaggio di busta. Il giudice ha rigettato la richiesta. A sostenere l’accusa, però non c’era solo il video.

L’impianto accusatorio era fondato sulle intercettazioni telefoniche tra Antonio Palumbo e il figlio Raffaele e tra questi e lo stesso Cambria, e su alcune testimonianze.

Enzo Cambria

Enzo Cambria

 

AL BAR ANTICO

«Si è pappato unʼaltra volta i soldi». È il 15 aprile del 2010. Antonio Palumbo si è appena congedato da Enzo Cambria, sindacalista della Cisl di Messina, con cui si era intrattenuto alcuni minuti nel bar “Caffè Antico” di Messina, a due passi dal Tribunale. Dallʼaltro capo del telefono cʼè il figlio Raffaele. Che di rimbalzo, commenta: «Secondo me di come era abituato in precedenza che si prendeva il doppio o il triplo…». Gli inquirenti della Polizia di Stato non solo ascoltano le sue conversazioni telefoniche ma sono a pochi passi dal titolare del cantiere navale. Erano infatti nel bar a filmare lʼincontro tra questʼultimo e il sindacalista. Il tenore dellʼintercettazione consente loro di decifrare quanto è accaduto nel locale e immortalato dal video di cui la difesa ha chiesto la visione in aula.  «Con gesto repentino Palumbo ha prelevato qualcosa dalla tasca e lo ha consegnato al Cambria. Questʼultimo con gesto altrettanto repentino riponeva nella tasca quanto aveva ricevuto dallʼimprenditore», hanno scritto nella relazione di servizio gli uomini della Squadra mobile.

«La rapidità del gesto ha impedito di capire cosa i due si fossero passati, ma dalla telefonata successiva è emerso che cʼera stata una consegna di denaro».

Che così sia stato gli investigatori lo hanno appreso direttamente dalla bocca di Antonio Palumbo il 19 maggio del 2010 negli uffici della Squadra Mobile. «Cambria le ha mai chiesto somme di denaro in maniera esplicita per un suo fattivo intervento volto a risolvere la conflittualità allʼinterno dellʼazienda?», gli è stato chiesto. «No – ha risposto Palumbo – Ma era evidente attraverso i nostri incontri che il suo intervento dellʼorganizzazione sindacale poteva porre fine a scioperi illegittimi o al blocco del lavoro arbitrario da parte dei lavoratori. Ad ogni suo intervento seguiva un corrispettivo in denaro da parte mia. La maggior parte delle problematiche allʼinterno dellʼazienda erano strumentali. Da queste Cambria ne traeva vantaggi economici. In occasione dellʼincontro gli ho dato mille e 500 euro. Non è stata lʼunica volta che è successo. In passato ho consegnato somme della stessa entità in coincidenza con situazioni conflittuali allʼinterno del cantiere. Non sono in grado di quantificarle. Il suo intervento sui responsabili delle rappresentanze sindacali unitarie calmava i lavoratori, ma poi dopo un poʼ tutto tornava come prima». Interrogata, la responsabile del Personale dellʼazienda, Alessandra Latino, ha confermato: «Mi risulta che Antonio Palumbo elargiva somme di denaro a Cambria, il quale si presentava come colui che poteva risolvere ogni problematica con i lavoratori in azienda».

RELAZIONI PERICOLOSE

Che i rapporti tra Enzo Cambria e lʼimprenditore napoletano non si svolgessero allʼinsegna della norma dialettica di controparti, gli inquirenti lo capiscono dal tenore delle intercettazini: “Cambria mantiene uno strano rapporto di complicità con Palumbo, a cui garantisce di poter controllare le maestranze e riconosce che le proteste dei lavoratori non hanno fondamento e sono protestuose”, avevano scritto in una delle informative. Il 6 aprile del 2010 Palumbo e Cambria sono al telefono. «Enzo quando ci siamo visti io e te io gli impegni li ho sempre mantenuti nei tuoi confronti..tu hai sempre detto “si, si ,si” però in 4 anni non è mai successo niente», ha protestato, intercettato, Palumbo. «Qui in città la sigla che rappresento ha sempre difeso Palumbo», gli ha risposto Cambria. Che ha aggiunto: «Se tu vieni qui a Messina e ci incontriamo chiariamo in maniera serena». Palumbo ha ribattuto: «Enzo, sai quando chiariamo? Quanto io e te andiamo al bar ci prendiamo un caffè io mantengo i miei impegni e finisce lì, dopo due giorni iniziamo unʼaltra volta dʼaccapo». «No, no siccome su questa cosa io non ho coinvolto il segretario generale, ecco quando tu vieni ci incontriamo alla Cisl insieme a Tonino Genovese … poi se ci dovremmo prendere il caffè ce lo prendiamo», ha sottolineato Enzo Cambria. Secondo l’accusa “La locuzione “prendersi il caffè” indica lʼappuntamento per la dazione di denaro». Ecco perché gli inquirenti al bar Antico di Messina il 10 aprile del 2010 si presentarono, telecamere nascoste al seguito, per gustare “lʼaroma” del caffè.

 

ESTORSIONE O CORRUZIONE?

Per gli inquirenti il problema più grosso è stato stabilire se Antonio Palumbo fosse costretto a pagare il sindacalista, ipotizzando in questo modo il reato di estorsione, o se invece fosse stato lʼimprenditore napoletano a pagare sua sponte per ottenere un atteggiamento meno rigido da parte della Cisl. In questʼultimo caso si sarebbero dovute archiviare le indagini visto che la “corruzione” di un rappresentante di unʼassociazione privata, qual è il sindacato, non costituisce reato. Il magistrato Maria Pellegrino, sulla scorta degli elementi che sono stati raccolti dagli inquirenti, ha ritenuto di potere ipotizzare lʼestorsione nei confronti di Enzo Cambria e, in concorso, di 2 Rappresentanti sindacali, Leonardo Miraglia e Giovanni Schepis, usati come strumenti da Cambria, secondo lʼipotesi accusatoria, per creare tensioni e conflitto allʼinterno del cantiere in modo da costringere lʼimprenditore napoletano a richiedere il suo intervento, a cui seguisse lʼerogazione di somme di denaro.

 

L’ INNOCENZA DI SCHEPIS E MIRAGLIA

L’accusa di estorsione nei confronti di Cambria ha retto al processo, quella nei confronti di Miraglia e Schepis, vagliata nel giudizio abbreviato, no.

Nei confronti dei due lavoratori non è stato trovato alcun elemento di prova e le intercettazioni telefoniche hanno dato esito negativo.  Antonio Palumbo ha precisato: «Non ho mai consegnato denaro a Schepis o Miraglia. Non posso escludere che siano stati in combutta con Cambria. Alla luce di quanto sto apprendendo qui, osservo che è stato Cambria a volerli nelle Rsu e che tutte le proteste da loro promosse erano strumentali».

Il telefono di Leonardo Miraglia è stato sottoposto a intercettazione per verificare se fosse in combutta con Cambria: “Lʼintercettazione ha avuto esito negativo”, hanno rilevato gli inquirenti. «Non cʼentriamo nulla in questa vicenda – hanno sempre ripetuto i due operai – Le nostre azioni di lotta erano mosse solo da motivi sacrosanti di difesa dei diritti dei lavoratori”.

Il giudice Massimiliano Micali ha motivato così l’assoluzione di MIraglia e Schepis, difesi dall’avvocato Salvatore Silvestro, poi confermata in appello: «Schepis e Miraglia, come hanno sostenuto con forza sin dal momento in cui sono stati coinvolti nelle indagini, non hanno mai avuto alcun rapporto con Cambria. Non risulta alcun contatto telefonico con lo stesso nel periodo in cui risultano le dazioni di denaro ed è da escludere che le proteste cui aderivano tutti i lavoratori che scioperando rinunciavano alla loro paga fossero strumentali agli interessi del sindacalista. Anzi alcuni provvedimenti del Giudice del Lavoro dicono che si è trattato sempre di proteste correlate ad un disagio sul luogo di lavoro. Dʼaltra parte che gli scioperi organizzati da Schepis e Miraglia non abbiano avuto quella natura biecamente strumentale denunciata dai Palumbo lo si trae dal sostegno e dalla convinta adesione che ad essi è stato nel tempo sempre assicurato dalle maestranze allʼinterno dellʼazienda», ha concluso il giudice Micali.

CONFLITTI GIUDIZIARI

Incidentalmente, Il magistrato, in un passaggio delle 20 pagine di motivazione, aveva posto le basi per l’assoluzione di Cambria: «Che nel rapporto che ha legato i Palumbo al Cambria devono ravvisarsi i caratteri di un fenomeno di corruzione privata è giudizio che si impone con tratti di evidenza». Per il giudice Micali la condotta addebitata a Cambria non è penalmente rilevante non essendo considerato il sindacalista un pubblico ufficiale. «Che i Palumbo, insofferenti, e non costretti, dalle ripetute manifestazioni di protesta organizzate dai propri dipendenti, abbiano voluto reclutare il Cambria, e che questʼultimo in spregio al suo ruolo, abbia accettato di degradare se stesso a occulto strumento di persuasione; che, per effetto, egli sia ripetutamente attivato in coerenza della volontà dellʼimprenditore spendendo la propria autorevolezza presso i lavoratori per placarne le proteste, che la sistematica dazione di danaro dal primo al secondo abbia avuto la funzione di ricompensarne lʼopaco servigio reso, è allʼevidenza, proposta ricostruttiva dotata di sicura forza persuasiva», aveva tuttavia sottolineato il giudice Micali.

Il collega Pagana l’ha pensata allo stesso modo sulla valutazione dei fatti, ma in maniera diametralmente opposta sulla qualificazione giuridica degli stessi.

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