Decadenza di Donatella Sindoni: anche i giudici si trovano d’accordo con la Legge. La figuraccia del Consiglio comunale “astenuto” e dei consiglieri “giuristi” Trischitta e Santalco. Il Tribunale di Messina spazza via le tesi ballerine del legale Antonio Catalioto

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Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

Antonio Catalioto e Donatella Sindoni

 

“Donatella Sindoni era ineleggibile e deve decadere da cosnigliere comunale”. E’ questo il responso del Tribunale di Messina. Il responso era tanto atteso quanto scontato.

Ad uscire con le ossa rotte da Palazzo Piacentini prima ancora che la biologa prestata alla politica e il suo avvocato Antonio Catalioto, è stato il Consiglio comunale che da due anni sulla vicenda si comporta come Ponzio Pilato, benchè la legge gli imponesse di pronunciarsi in punto di diritto e non di politica.

C’era una norma regionale che ne sanciva l’ineleggibilità. C’era, vigente, la norma nazionale nell’identica formulazione. C’era una sentenza della Corte di Cassazione che aveva dichiarato legittima la decadenza di un consigliere comunale del Comune di Guidonia Montecelio che si era trovato nella stessa identica situazione.

Il tutto era stato prima raccontato prima in un servizio giornalistico pubblicato il 22 giugno del 2015: “Occupa lo scranno di consigliere comunale ma era ineleggibile. Lo strano caso di Donatella Sindoni”, che indusse il primo dei non eletti a rivolgersi al Segretario generale del Comune.

Successivamente in un secondo servizio del 2 luglio del 2015: “La consigliera Sindoni grida al complotto e si vanta di scoprire e denunciare il malaffare. Ma sulla sua ineleggibilità scmabia lucciole per lanterne. E il suo legale Catalioto le dà una mano” , erano stati precisati tutti i termini tecnico giuridici della questione.

Era pure arrivato un anno dopo, a giugno del 2016, un parere netto e chiaro dell’Ufficio legale e legislativo della regione Sicilia.

 

Ponzio pilato a palazzo Zanca

Eppure, chiamati a decidere sulla decadenza di Donatella Sindoni la stragrande maggioranza dei consiglieri comunali di Messina (con l’eccezione di otto) accodandosi alle argomentazioni giuridiche dei loro colleghi Pippo Trischitta e Carmelo Santalco, avvocati di professione, si erano astenuti.

Il 4 agosto del 2016 hanno scelto nella sostanza in violazione della legge e della democrazia di mantenere in sella un loro collega, consentendole così di rappresentare cittadini che non poteva rappresentare e di incassare gettoni di presenza che non le sarebbero dovute toccare.

Lo hanno fatto senza assumersi la responsabilità di un voto contrario alla decadenza. In 11 non si sono neppure presentati in aula (solo due giustificati).

A votare per la decadenza erano stati, Cecilia Caccamo, Claudio Cardile, Fabrizio Sottile, Ivana Risitano, Gaetano Gennaro, Lucy Fenech, Antonella Russo, Maurizio Rella.

 

I giudici decidono al posto dei sedicenti politici

Ci hanno pensato così, 6 mesi dopo, il 2 febbraio del 2016, i giudici del Tribunale di Messina a decidere ciò che per chi ha un minimo di dimestichezza con il diritto era scontato.

Donatella Sindoni al momento in cui è stata eletta nel giugno del 2013 era ineleggibile, benché avesse dichiarato di non avere alcuna causa di ineleggibilità all’atto della presentazione delle candidature.

Era, infatti, titolare di un laboratorio di analisi convenzionato con l’asp 5 di Messina: ciò che la legge regionale e nazionale vietano.

La stessa consigliera, peraltro, aveva occupato lo scranno di consigliere comunale tra il 2005 e il 2006 pur essendo allo stesso modo ineleggibile.

 

Le argomentazioni dei giudici

Il Tribunale presieduto da Giuseppe Minutoli non ha avuto nessun dubbio: “La legge regionale che sancisce l’ineleggibilità della Sindoni è pienamente vigente, così come quella nazionale”, hanno scritto in sintesi i giudici citando la sentenza della Cassazione del 2001 che aveva  ritenuto legittima la decadenza del primo degli eletti al Consiglio del comune di Guidonia Montecelio perché legale rappresentante di 4 laboratori di analisi convenzionati con la locale Asp.

Nell’occasione la Cassazione aveva stabilito che la ratio della norma è “la captatio voti da parte del titolare di strutture sanitarie private (che trattano un bene delicato come la salute e incassano soldi pubblici, ndr), che la condizione di ineleggibilità in esame tende ad evitare”. Ratio che i giudici messinesi hanno fatto propria.

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Trischitta e Santalco: la coppia delle meraviglie e l’obbrobrio giuridico

I giudici hanno ridicolizzato le argomentazioni giuridiche di Pippo Trischitta, consigliere comunale di lungo corso e avvocato di professione: “La norma che sancisce l’inelegibilità della Sindoni esiste solo in Sicilia. E’ mai possibile che esiste in Sicilia una norma che non esiste nel resto d’Italia?”, disse l’avvocato, ignaro evidentemente dell’articolo 30 del Testo unico degli enti locali, quello che si applica in tutto il territorio nazionale, nel corso del consiglio comunale in cui si doveva votare la decadenza della Sindoni.

Nell’occasione Trischitta aveva definito la proposta di delibera di decadenza della Sindoni “un obbrobbrio giuridico”. Tanto che dopo aver annunciato l’astensione, ha votato contro la decadenza stessa.

Dello stesso tenore erano state le dichiarazioni del collega Carmelo Santalco.

 

Catalioto, un avvocato (mai domo) in cerca di autore…

I giudici hanno spazzato via le argomentazioni del legale della Sindoni, Antonio Catalioto, che in tutta la vicenda ha dato il meglio della sua sapienza giuridica, come è stato illustrato nel seguente servizio pubblicato il 20 luglio del 2016: “Ineleggibilità della Consigliera Sindoni: le acrobazie pseudo giuridiche del legale Catalioto nel circo politico mediatico messinese sguarnito di specchi. I ritardi annosi del segretario Le Donne”.

Quest’ultimo, infatti, all’indomani della pubblicazione dell’articolo che sollevava la questione dell’ineleggibilità aveva definito lo stesso “una bufala”. Poi aveva sostenuto che la legge non era vigente. Successivamente, convocando apposita conferenza stampa, ha sostenuto che c’erano delle circolari che dicevano che la legge non fosse applicabile, come se le circolari potessero mettere nel nulla una legge. Poi ancora  nel corso del giudizio ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ammettendo così che la norma c’era ed era vigente.

Arrivata la decisione di decadenza, Catalioto ha continuato sulla scia della raffinatezza giuridica già sciorinata attraverso il suo ufficio stampa preferito: “La decadenza opera dopo 30 giorni della pronuncia e solo se la consigliera decaduta nel frattempo non  fa appello”, ha sotenuto citando una norma del codice di procedura civile.

Tuttavia, la norma (generale) non si applica al caso di specie, come gli ha dovuto spiegare Antonio Saitta, il legale di chi ha proposto l’azione popolare sfociata nella pronuncia di decadenza. “La decadenza opera subito. Lo dice la norma (speciale) sui procedimenti elettorali. L’appello sospende l’efficacia della decadenza nel momento in cui verrà proposta”.

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