Caso “Il Detective”: tutti assolti. L’inchiesta della Procura di Messina sulla storica società di vigilanza si sgonfia come una bolla di sapone. Il vizio originario

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il detective

 

“Assolti perché il fatto non sussiste”.

Finisce come una bolla di sapone l’inchiesta sulla società di vigilanza Il Detective che tra il 2007 e il 2010 mobilitò l’intera sezione della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza e mise sulla graticola la moglie dell’allora rettore dell’ateneo Franco Tomasello.

Il Tribunale di Messina presieduto da Mario Samperi ha dichiarato non responsabili dei reati loro contestati gli ultimi 6 imputati sopravvissuti alla prescrizione.

Lo straordinario…abbaglio

Sono stati assolti dalla grave accusa di estorsione Enzo Savasta, uomo di fiducia prima del fondatore della società Antonino Corio e poi, dopo la sua morte, avvenuta nel 1998, della moglie Antonia Privitera; Salvatore Privitera, fratello di quest’ultima, e Mariella Russo, sorella (non germana) del fondatore Antonino Corio: in qualità dipendenti amministrativi erano accusati di aver obbligato alcuni dipendenti ad accettare pagamenti in nero dello straordinario e in misura minore al dovuto, attraverso la minaccia  di licenziamento.

Teste principale dell’accusa per questo capo di imputazione era Salvatore Di Natale, sindacalista aziendale della Cgil: sentito in fase di indagine dalla Guardia di Finanza aveva fatto delle dichiarazioni di accusa nette e dure ai tre imputati.

Nel corso del processo, Di Natale, costituito parte civile,  rispondendo alle domande del pubblico ministero ha ribadito le accuse, ma incalzato dal legale di Savasta, Salvatore Saccà, che aveva iniziato a dare lettura di alcune intercettazione da cui emergeva la sua posizione di sindacalista tutt’altro che neutra rispetto alla guerra intestina societaria, ha lamentato un malore. Il Tribunale è stato costretto a rinviare il contro esame.

Che non si è mai potuto tenere: Di Natale ha ripetutamente presentato certificati medici finché il Tribunale non ha revocato l’ordinanza ammissiva.

La tesi difensiva – emersa nel corso del dibattimento – è che non ci fu alcuna minaccia, né avesse motivo di esserci: i dipendenti che hanno lamentato di aver avuto corrisposto lo straordinario in nero (6 su 100) erano guardie che mensilmente facevano più straordinario di quanto la legge consentisse.

Per cui questo ulteriore straordinario non poteva essere  per legge inserito nella busta paga,  ma veniva pagato in nero. Il dipendente, in realtà, così non solo non veniva danneggiato ma addirittura avvantaggiato: percepiva – dati alla mano – di più per ogni ora di straordinario per così dire “ultra legem”, perché quanto corrisposto era netto non dovendosi pagare ritenute fiscali e contributive.

Il Tribunale, sulla scorta di queste argomentazioni logico giuridiche, mai prese in considerazione durante le indagini, e anche delle testimonianze di altre guardie giurate, ha ritenuto non credibile Di Natale, assolvendo i tre imputati.

La polizza della discordia

Sono stati assolti, sempre dall’accusa di estorsione, Antonella Corio e il marito Marco Lenci: secondo l’accusa avevano minacciato la mamma (e suocera) Antonia Privitera, proprietaria de Il Detective di non farle più vedere il proprio figlio (ovvero il nipotino), se non avesse trasferito alla figlia una polizza vita, che aveva come beneficiaria la stessa Antonella.

L’accusa si fondava sulla testimonianza di Maria Bongiovanni, donna delle pulizie di casa Corio che era stata sempre vicina alla signora Privitera nel periodo della malattia.

Maria Bongiovanni e il marito Carmelo Maceli, quando scoppiò la guerra tra le 4 sorelle si schierò dalla parte di Daniela Corio e nel periodo in cui fa le dichiarazioni contro la sorella Antonella, ottiene da Daniela dei miglioramenti di stipendio per se stessa e il marito Carmelo Maceli.

Il Tribunale – a leggere il dispositivo d’assoluzione – non ha ritenuto credibile la Bongiovanni.

Se Maometto non va alla montagna…

E’ stato assolto Carmelo Altomonte, dirigente del Comune di Messina. Era accusato di aver autenticato la firma di Antonia Privitera che – secondo l’accusa – mai incontrò di persona, visto che, come ha riferito Carmelo Maceli, autista della signora Privitera,  questa mai poté andare al Comune e mai ci andò a causa delle sue condizioni di salute.

La tesi difensiva – che ha trovato ora l’avallo dal Tribunale – è che fu Altomonte ad andare a domicilio della Privitera, nella sede de Il detective, per autenticare la firma, eventualità questa mai scandagliata dagli inquirenti.

Fioccano le prescrizioni

All’inizio del giudizio di primo grado, nel 2012, i capi di imputazione erano 65. In piedi, dopo 5 anni, nel 2017, ne rimasero 9.

Il 22 maggio del 2018 il Tribunale dichiarò l’avvenuta prescrizione per il decorso del tempo di 56 capi di imputazione.

Tredici imputati, infatti, hanno beneficiato della sentenza di non doversi procedere per il decorso massimo del tempo dai fatti contestati.

I fatti oggetto delle ipotesi di reato erano stati commessi nel 2007.

Uscirono dal processo Daniela Corio, figlia dei proprietari della società di vigilanza, e Pietro Cacace, il marito; la figlia Federica Cacace; Cristina Corio e Natala Corio le altre due sorelle figlie dei proprietari de Il Detective; Corrado Emanuele Galizia, ex agente dei servizi segreti, per un periodo amministratore de Il Detective, consigliere e braccio destro di Daniela Corio; Giuseppe Giammillaro, marito di Cristina Corio; Antonino Lo Giudice, avvocato e consulente della società; Pietro Sofia e Massimiliano Morabito, guardie giurate; Pietro Previte e Massimiliano Carrozza, titolari di ditte che avevano lavorato per il Detective; Maria Gabriella Ciriago, funzionaria della Prefettura di Messina.

I reati contestati e dichiarati prescritti andavano dalla turbativa d’asta, all’appropriazione indebita, alla falsa testimonianza, alla truffa attraverso false fatturazioni, alla circonvenzione di persona incapace, alla rivelazione del segreto d’ufficio.

 

Origini interessate e assunzioni di favore

Le indagini coordinate all’epoca dai sostituti Antonino Nastasi e da Adriana Sciglio sono nate dalle denunce di una delle figlie di Antonino Corio e Antonia Privitera, Daniela Corio, presentate un paio di mesi dopo la morte della mamma, avvenuta il 3 maggio del 2007, al termine di una malattia.

Daniela Corio, in quel momento  minoranza nella società di famiglia (dopo alcuni di mesi da direttore generale) si presentò insieme alla sorella Cristina in Procura denunciando una serie di fatti che accusavano coloro che in quel momento avevano la guida della società: le sorelle Antonella e Natala e Enzo Savasta, socio con il 5% e amministratore della società,  ago della bilancia nella battaglia tra le 4 sorelle.

Le indagini condotte dalla sezione della polizia giudiziaria della Guardia di Finanza, guidata da Diego Arena, furono caratterizzate – per come è emerso – dai rapporti frequenti tra Daniela Corio e Corrado Emanuele Galizia e il luogotenente Giuseppe Smedile, che di fatto svolgeva le indagini.

L’ufficiale Smedile, con le indagini ancora in corso, si ritrovò assunto il genero da parte di un’altra società di vigilanza, la Corio srl (ex Vigilnot) nel frattempo acquisita da Daniela Corio e Cristina Corio.

Le due sorelle, rimaste minoranza nella società di famiglia ma prima che un’assemblea dei soci certificasse ciò, avevano affittato a prezzo irrisorio l’azienda de Il Detective proprio a Corio Srl, appena acquistata.

Alla fine, tirando le fila di un’indagine durata tre anni e fatta di intercettazioni telefoniche, la procura contestò reati anche a Daniela Corio e Corrado Emanuele Galizia, commessi secondo la procura proprio nel periodo in cui i due entravano e uscivano dagli uffici della Guardia di Finanza.

Nell’inchiesta rimase invischiata la moglie dell’allora rettore dell’ateneo di Messina Franco Tomasello, Melitta Grasso (deceduta tre anni fa), amica di vecchia data di Antonia Privitera: indagata inizialmente per corruzione anche in base alle dichiarazioni di Maria Bongiovanni, la Procura chiese e ottenne per lei l’archiviazione.

Effetto boomerang: fallimenti e condanne

La società Il detective, che quando iniziarono le indagini della procura aveva 7 milioni di euro di fatturato e 100 dipendenti, nel 2013 è stata dichiarata fallita.

Fallita è stata dichiarata pure la società Corio srl (ex Vigilnot).

Da quest’ultimo fallimento è nato un procedimento penale per bancarotta fraudolenta che al termine del processo d’appello ha visto condannate Daniela Corio  e Cristina Corio a  3 anni e 6 mesi di reclusione.

Daniela Corio, nell’ambito di un’altra costola dell’inchiesta principale, è stata condannata con sentenza passata in giudicato ad otto mesi di reclusione per rivelazione del segreto d’ufficio: nel corso della guerra societaria aveva chiesto e ottenuto informazioni riservate da impiegati della Prefettura di Messina.

 

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