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Test nullo di Medicina, il Consiglio di stato apre la strada ad altri 1500. I 5mila riammessi mandano in tilt alcune facoltà

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Aula lezioni medicina

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La carica dei 5 mila aspiranti medici bocciati al test del 9 aprile 2014 e ripescati dal Tribunale amministrativo regionale ha mandato in tilt gli atenei italiani, scatenando le proteste dei vincitori del concorso che non hanno ancora visto partire i corsi o hanno dovuto aspettare settimane e si sono ritrovati a condividere spazi e strutture con colleghi in numero doppio e talvolta triplo rispetto a quanto era stato programmato. Read more

Test di Medicina e anonimato violato. L’errore di un dirigente del Miur favorisce i candidati bocciati

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Daniele Livon

Daniele Livon

L’Università Cattolica del Sacro cuore di Roma l’ha coperto con la polvere dorata (quella dei Gratta&Vinci), ma non l’ha reso comunque invisibile. Altre, invece, hanno tentato di impedire che lo si potesse associare al nome del candidato utilizzando buste che si sono però rivelate trasparenti.  Gli atenei, alla vigilia delle prove per l’ammissione alla facoltà a numero chiuso di Medicina per l’anno accademico 2014/2015 dopo avere letto le linee guida per lo svolgimento del concorso giunte dal Ministero il 2 aprile 2014 avevano lanciato l’allarme. La presenza sui fogli delle risposte e sulla scheda anagrafica dei candidati del codice alfanumerico accanto a quello a barre avrebbe potuto determinare la replica di quanto accaduto l’anno precedente: l’invalidità del test per violazione dell’anonimato. Ma i frenetici contatti con il ministero dell’Università a poche ore dalle prove dell’8 aprile hanno prodotto rimedi che si sono rivelati inefficaci se non peggiori del male. L’allarme è diventato un incubo due mesi e mezzo dopo. A partire dal 18 luglio 2014 i giudici del Tar del Lazio con varie ordinanze cautelari (e dunque in base ad un’esame sommario della vicenda e senza entrare nel merito) hanno fatto a pezzi il numero chiuso ammettendo sinora 2mila candidati bocciati (5mila sono i ricorrenti) che, anche con un punteggio pari allo zero, si erano affidati alla carta bollata. Il motivo? Violazione dell’anonimato. Read more

Medicina, il Tar Lazio boccia per violazione dell’anonimato anche le prove del 2014 e copre di ridicolo la pubblica amministrazione

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Il dirigente generale del ministero dell’Università Daniele Livon alla vigilia delle prove, tenute l’8 aprile scorso, per l’ammissione all’anno accademico 2013/2014 aveva modificato le modalità di identificazione dei candidati dettati a tutti gli atenei d’Italia per il test precedente del 9 settembre 2013 e ritenuti dal Consiglio di Stato lesive dell’anonimato. Ma il rimedio non ha funzionato. Anche l’ultimo concorso, infatti, è stato bocciato, e sempre per violazione dell’anonimato, dai giudici amministrativi.

La decisione, attesa dagli addetti ai lavori e dalle migliaia di ricorrenti per il modo in cui si sono svolte le prove, è stata depositata nella cancelleria del Tar di Roma nella serata di venerdì 18 luglio. Sono ordinanze cautelari (adottate dunque dopo una disamina superficiale della vicenda) e riguardano un gruppo di aspiranti medici cui è stata accordata l’ammissione. I provvedimenti non specificano né il come nè il perché ci sarebbe stata la violazione dell’anonimato. Tuttavia, poiché queste ordinanze accolgono i ricorsi in cui i legali dell’Udu, Michele Bonetti e Santi Delia, hanno rappresentato tutte le violazioni dell’anonimato che hanno caratterizzato le prove di vari atenei, se questa valutazione dei giudici della sezione terza bis del Tar Lazio troverà conferma nei successivi pronunciamenti, gli effetti sono facilmente immaginabili: tutti gli studenti bocciati al test passato e che si sono affidati agli avvocati potranno coronare il sogno di accedere al corso di laurea per diventare medici. Nella migliore delle ipotesi, si tratta di 5mila candidati che si potrebbero aggiungere ai circa 10mila ammessi in prima battuta: complessivamente i partecipanti erano stati 80mila.

L’ennesimo verdetto in materia di test di ammissione a Medicina fa a pezzi il numero chiuso e copre di ridicolo la pubblica amministrazione italiana incapace di organizzare e gestire in maniera legittima un pubblico concorso.

La bocciatura dei test di ammissione del 2014 sancisce, infatti, in maniera clamorosa che ai 70mila aspiranti medici che nei due ultimi anni si sono confrontati per accaparrarsi uno dei 10mila posti messi in palio, per coronare il loro sogno, garanzia di un lavoro futuro sicuro, invece di sgobbare sui libri di chimica, di fisica e di biologia e di indurre le loro famiglie ad investire migliaia di euro in corsi di preparazione, sarebbe bastato iscriversi al test di ammissione e affidarsi, anche con un punteggio pari allo zero, alla carta bollata.

 

Test nullo e risarcimento danni: l’ateneo di Messina se la prende con il ministero e fa un autogol

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prorettori

MESSINA. Invece di fare mea culpa e sperare che non arrivino altre sentenze dello stesso segno ha scaricato le responsabilità sul Ministero dell’Università. E’ questa la reazione dell’ateneo di Messina guidato da Pietro Navarra alla sentenza del Consiglio di Stato (vedi articolo correlato in basso) che, fissando un principio nuovo e rivoluzionario e dagli effetti dirompenti, l’ha condannata  pagare 10mila euro a testa (più spese legali di 5mila euro) a due aspiranti medici bocciati al test di accesso al corso di laurea a numero chiuso dichiarato invalido per violazione dell’anonimato.

“Siamo parte lesa, l’errore rilevato dal Consiglio di Stato  è frutto di un ordine del Miur ricevuto da tutte le commissioni italiane. Sia il ministero a farsi carico dei danni”, ha scritto l’ateneo in un comunicato stampa ufficiale diramato non appena le agenzie di stampa hanno ripreso e rilanciato la notizia pubblicata da corriere.it.

Il comunicato è stato (acriticamente) ripreso da tutti i giornali locali e la verità dei fatti è stata travisata. Le cose, infatti, non stanno per nulla come sostiene l’ateneo messinese e chi ha scritto il comunicato stampa condiviso – da quanto ha specificato l’ufficio stampa – da tutti (rettore, prorettori, alcuni di questi professori di diritto e avvocati, dirigenti generale e non) o non ha letto la sentenza o non l’ha bene compresa. E ha confuso la nullità delle prove di ammissione a Medicina tenuti in tutt’Italia il 9 settembre del 2013 e viziati per “disposizione ministeriale”(nel senso che le istruzioni date alle commissioni locali dal dirigente generale del Miur Daniele Livon sono state ritenute dagli organi di giurisdizione amministrativa lesive dell’anonimato), e i test tenuti negli anni precedenti e dichiarati nulli per violazione dell’anonimato solo a Messina, a causa di procedure di identificazione dei candidati anomale praticate solo nell’ateneo allora guidato da Franco Tomasello, di cui l’attuale rettore Navarra era il braccio destro.

Ebbene, il Consiglio di Stato ha accordato il risarcimento ai due studenti che avevano partecipato alle prove del 2008 per l’ammissione all’anno accademico 2008/2009: basta leggere la sentenza numero 2935 del 2014 dell’organo di giustizia amministrativa d’appello.

Era stata l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la Cassazione a sezioni unite in materia amministrativa, infatti, il 20 novembre 2013, ad attestare la nullità delle prove tenute all’Ateneo di Messina dal 2001 al 2010: tanto che l’ateneo mise sotto procedimento disciplinare il presidente della Commissione, costretto a dimettersi da presidente del corso di laurea.

Con la stessa sentenza l’Adunanza plenaria aveva stabilito un altro principio rivoluzionario in materia di pubblici concorsi: perché le prove siano annullate non è necessario che si scopra, per uscire dai tecnicismi giuridici, che nel viaggio dall’ateneo al Cineca a Bologna per la correzione, qualcuno potendo individuare (a causa della violazione dell’anonimato, appunto) la scheda di risposte del candidato preferito lo abbia poi davvero favorito con la correzione postuma. Basta soltanto che questa possibilità, in astratto, ci sia.

Ora, dopo che il Consiglio di Stato ha sancito il principio secondo cui “a causa delle illustrate inadempienze riscontrate nell’attività dell’amministrazione (violazione dell’anonimato), le ricorrenti sono state illegittimamente private della possibilità di iscriversi alla facoltà cui aspiravano e hanno subíto di conseguenza danni, anche economici, determinati dal ritardato ingresso nel mondo del lavoro con perdita di chance”, su tutt gli atenei di Italia potrebbero abbattersi decine di sentenze di condanna a favore dei ricorrenti bocciati al test 2013 che ancora aspettano un verdetto degli organi giurisdizionali. L’ateneo di Messina, i cui test sono stati dichiarati invalidi dal 2001 al 2010, rischia in più di pagare i risarcimenti agli studenti che avevano partecipato alle prove in questo decennio e si sono rivolti alla giustizia amministrativa ottenendo una sentenza di ammissione che comunque ha fatto perdere loro almeno un anno di studi.

 

Test medicina, risarcimenti ad orologeria. Il Consiglio di Stato riammette due studenti e condanna l’ateneo di Messina a pagare 10mila euro

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«Gli aspiranti medici bocciati ai test dichiarati invalidi non hanno solo diritto a frequentare i corsi a numero chiuso di Medicina ma anche al risarcimento dei danni». Mentre i Tribunali amministrativi della Penisola sono invasi da ricorsi che denunciano la violazione dell’anonimato anche nelle ultime prove dell’8 aprile del 2014, , dopo che un clamoroso autogol del Ministero aveva viziato la tornata precedente del 9 settembre del 2013,  arriva dal Consiglio di Stato una sentenza che fa venire i brividi a Viale Trastevere, nei piani alti del ministero dell’Università guidato da Stefania Giannini.  I giudici di Palazzo Spada, infatti, ordinando l’ammissione di due  studenti bocciati alle prove di alcuni anni fa per l’accesso alla facoltà di Medicina dell’Ateneo di Messina hanno fissato per la prima volta un principio dagli effetti dirompenti: «A causa delle illustrate inadempienze riscontrate nell’attività dell’amministrazione (violazione dell’anonimato), le ricorrenti sono state illegittimamente private della possibilità di iscriversi alla facoltà cui aspiravano e hanno subíto di conseguenza danni, anche economici, determinati dal ritardato ingresso nel mondo del lavoro con perdita di chance, che si quantificano in via equitativa in euro 10mila (più le spese legali di 5mila euro) che l’Università di Messina dovrà sborsare», hanno disposto i magistrati il 9 giugno 2014.

Casse degli atenei a rischio

La decisione mette a rischio le già disastrate casse degli atenei. Sono circa un migliaio, infatti, i giovani che hanno fatto ricorso contro il test del 2013 e che sono ancora in attesa del verdetto dei magistrati. Se ottenessero ragione per loro adesso scatterebbe il risarcimento da 10mila euro. Per le università, invece, si tratterebbe di un salasso valutabile in almeno 15 milioni di euro. Senza contare le migliaia di studenti delusi dal test di aprile scorso per l’ammissione all’anno accademico 2014/2015 che si sono affidati alle carte bollate. «Il principio è rivoluzionario, ma fondato già a lume di buon senso. Allo stato, al risarcimento potranno accedere tutti coloro che grazie ad una sentenza con uno o più anni di ritardo hanno ottenuto di accedere al corso di laurea e i candidati che hanno partecipato al test del 2013 invalido “per disposizione ministeriale” e ancora non ammessi dai giudici», sottolineano in coro Santi Delia e Michele Bonetti, i legali dell’Udu (Unione degli universitari) autori del ricorso vincente.

Il concorso del 2013 e le regole di identificazione «viziate»

Era stata la violazione dell’anonimato a indurre nel dicembre del 2013 il Tar di Palermo a sancire l’invalidità delle prove tenute il 9 settembre del 2013. I magistrati avevano bocciato le modalità di identificazione dei candidati e quindi il Miur, reduce in quei giorni dalle polemiche sul bonus maturità (prima eliminato, poi con le prove già svolte, ripristinato) chiuse con una sanatoria che aveva obbligato gli atenei a ripescare 2 mila ragazzi inizialmente esclusi. La commissione di esame palermitana, infatti, si era limitata a seguire le direttive dettate a tutte le Università il 13 agosto del 2013 dal ministero. Allo stesso modo hanno fatto tutte le altre Commissioni. «Risulta che i candidati hanno dovuto compilare la scheda anagrafica prima dello svolgimento dei test e l’hanno tenuta esposta sul banco accanto al documento di riconoscimento», ha osservato il Tar: proprio quello che aveva ordinato il dirigente generale Daniele Livon nelle Linee guida per lo svolgimento delle prove. Per i giudici «queste modalità hanno consentito la conoscenza del codice identificativo abbinato a ciascun candidato prima della compilazione dei questionari, con conseguente rilevante violazione dell’anonimato e possibilità, quanto meno in astratto, dell’alterazione dei risultati».

Quei mille studenti che potrebbero avere diritto al risarcimento

Le argomentazioni del Tar Palermo sono state in seguito condivise a più riprese dal Consiglio di Stato inducendo  lo stesso ministero dell’Istruzione a modificare  le modalità d’identificazione alla viglia del test di aprile.  Le porte degli atenei si sono così aperte via via per centinaia di studenti. Ma ce ne sono ancora  circa un migliaio che, in attesa del verdetto dei giudici, hanno già perso un anno di studio. Quando finalmente  arriverà la sentenza, non sarà più solo l’Ateneo di Messina a dover pagare  30  mila euro per i «suoi» due ricorrenti. Anche tutte le altre università condannate  per violazione dell’anonimato subiranno un analogo salasso. E la cifra totale è da capogiro:  15 milioni di euro.

di Michele Schinella per Corriere.it

http://www.corriere.it/scuola/universita/14_luglio_10/test-medicina-bomba-orologeria-risarcimenti-e80375bc-0849-11e4-9d3c-e15131ae88f3.shtml

Diplomi facili, 26 a giudizio in Sicilia. Ecco la scuola fantasma del politico Dino Galati Rando

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Per ottenere la maturità in un istituto tecnico della provincia di Messina non era necessario andare a lezione, bastava pagare la retta: ci pensavano i prof a truccare i registri. Il caso della «scuola fantasma» di un ex consigliere provinciale.

Stando ai registri di classe, regolarmente firmati dai docenti, avevano partecipato a interessanti lezioni persino l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata concezione e festa nazionale da tempo immemorabile. In realtà, gli aspiranti maturandi, come hanno raccontato candidamente agli inquirenti della polizia, le porte della scuola paritaria Dante Alighieri di Caprileone, cittadina della provincia di Messina, le avevano varcate «solo i giorni degli esami finali e in qualche altra occasione precedente». Il segretario di Unicobas Lombardia, Paolo Latella, in un dettagliato report inviato all’ex ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha denunciato lo scandalo delle «scuole parificate in cui gli insegnanti non vengono retribuiti e talvolta sono pure costretti a pagarsi i contributi previdenziali».
Tutti complici: proprietari, allievi e prof.
Le carte di un’inchiesta condotta dalla Procura di Patti e approdata in questi giorni alla prima udienza di un processo penale, offrono uno spaccato impietoso di come queste strutture, destinatarie di contributi pubblici, possano in assenza di controlli trasformarsi in veri e propri esamifici in cui si realizzano gli interessi di tutti i protagonisti. I proprietari della scuola incassavano le succose rette; gli studenti conseguivano un diploma di maturità da spendere sul mercato del lavoro che mai avrebbero potuto ottenere in una scuola pubblica; gli insegnanti, invece, trasmettevano il loro sapere ad allievi di una classe esistente solo sulla carta e portavano a casa in un anno i 12 punti per scalare senza fatica le graduatorie ed aspirare ad un posto di insegnamento pubblico. Non a caso sul banco degli imputati sono finiti non solo i gestori delle scuole e i discenti ma anche gli stessi docenti: in tutto 26 persone.
Classi fantasma
Il sistema messo a punto dal gruppo imprenditoriale capitanato da Dino Galati Rando, ex consigliere provinciale, titolare di fatto di una miriade di scuole private era articolato. Originari di altre regioni, dove erano reclutati attraverso scuole private satelliti, gli studenti per poter sostenere gli esami di maturità nelle sue scuole avevano bisogno della residenza in terra sicula. Un ostacolo insuperabile? Niente affatto.
La residenza si inventava «per svolgere attività di volontariato per conto di un’associazione denominata Jacques Maritan» o «per la necessità – attestata con tanto di certificati medici – di curarsi in ambienti climatici marini». Peccato che gli stessi aspiranti maturandi erano ignari di soffrire di patologie e dell’onlus non aveva nemmeno sentito parlare. «Non so cosa sia questa Maritan», hanno dichiarato alcuni di loro. «Non mi pare di avere problemi di salute», hanno detto altri. Che la classe fosse fantasma lo hanno riconosciuto gli stessi insegnanti accusati di aver falsificato i registri: «In effetti, notai che non c’erano più di 4 o 5 alunni per lezione», hanno dichiarato due docenti agli inquirenti. E allora perché i registri erano in ordine e gli assenti presenti? «Era la segretaria a dirci di lasciarli in bianco. Era lei a riempirli. Ci faceva intendere che se non lo avessimo fatto ci avrebbero licenziato. Non ero stata pagata per l’intero anno non volevo certo rischiare di perdere anche il punteggio che avevo maturato», si sono giustificate nel tentativo vano di alleggerire le loro posizioni. «Senza le false attestazioni le classi in cui insegnare non ci sarebbero nemmeno state», hanno osservato gli inquirenti.
Iscriversi alle scuole paritarie può significare non solo non frequentare le lezioni obbligatorie. Una delle allieve ha ammesso: «Agli esami mi sono state fatte domande concordate in precedenza». Di «domande su argomenti a piacere», ha invece parlato un’altra.
Il ruolo della segretaria
Secondo la Procura un ruolo di primo piano nell’organizzazione l’ha svolto Tecla Vitale, la segretaria, moglie di un ufficiale dei carabinieri in servizio in una cittadina limitrofa, indicata da tutti quelli che sono stati interrogati (insegnanti e studenti), come colei che, mutuando le parole che gli uomini della Polizia di Stato hanno usato nell’informativa «dava indicazioni su come compilare i registri di classe e su come aggiustare i voti degli allievi». Chi più di lei conosce il business del settore? Con le indagini in corso si è messa in proprio, creando una società per avviare nuove scuole paritarie. Non l’avesse mai fatto. La donna ha denunciato una serie di episodi di minacce, ricatti e di ritorsione cui sarebbe stata vittima da parte dei suoi ex datori di lavoro che – a suo dire – avevano poco gradito l’inaspettata concorrenza. L’inchiesta è nata da una denuncia dell’ex Provveditore agli studi Gustavo Ricevuto, sul cui tavolo giunse una relazione del presidente (esterno) della commissione d’esame che ci mise pochi minuti per rilevare una serie di anomalie nei registri di classe. Giusto Scozzaro, segretario regionale dell’Flc della Cgil, commenta: «Questa vicenda è tutt’altro che isolata. Il fenomeno, favorito dai mancati controlli, in Sicilia è imponente ma le denunce sono pari a zero: gli unici, in teoria, ad avere un interesse a farle sono i precari delle scuole pubbliche vittime della concorrenza sleale, ma con quali prove? Per porre un freno basterebbe imporre la tracciabilità dei pagamenti ai docenti».

di Michele Schinella: corriere.it

Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra “grazia” il docente Mauro Federico. Accolto l’appello di 32 docenti che però avevano chiesto Giustizia: ovvero la revoca del provvedimento disciplinare

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Il rettore Pietro Navarra

MESSINA. Invocavano giustizia, hanno ottenuto la grazia.  Il rettore dell’ateneo di Messina Pietro Navarra revoca il provvedimento disciplinare di censura nei confronti di Mauro Federico, reo di aver commentato (sul suo blog) la notizia appresa da un giornale on line (ma poi rivelatasi falsa) degli arresti del collega Mario Centorrino, “accogliendo la richiesta di clemenza”, come scrive in un nota datata 21 giugno del 2014, di un gruppo di 32 docenti dell’ateneo di Messina.

Ma quest’ultimi, invece, avevano chiesto di annullare il provvedimento perché “non fondato sulla violazione di alcuna norma, anomalo sotto il profilo procedurale, carente di motivazione e fosco presagio di una limitazione alla libertà costituzionale di espressione di un collega da anni voce critica nell’ateneo e membro di organismi istituzionali di rappresentanza democratica”.

La decisione del Magnifico invece di chiudere il caso che ha avuto come protagonista il coordinatore dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) rischia di arroventarlo ancora di più. Nella lettera, infatti, Navarra, ribadisce la fondatezza del provvedimento di censura e rincara la dose di critiche contro il docente di Fisica: riepilogando tutta la vicenda usa più volte il termine falsa o falso per indicare la condotta di Federico.

Il docente di Fisica a stretto giro di posta ha inviato a tutti i docenti dell’ateneo una dura nota con la quale confuta tutte le contestazioni di falsità del rettore Navarra.

Il rettore Navarra scrive: “La mattina del 19 marzo il dottor Federico pubblicava sul blog dell’Andu Messina una notizia dal titolo: Aria di primavera: facciamo pulizia?” in cui venivano riportate informazioni false sul conto del professor Mario Centorrino, professore emerito dell’ateneo presidente del Nucleo di valutazione. La notizia falsa era così riportata: “Come diretta conseguenza delle misure cautelari relative alle misure cautelari a suo carico, ci aspettiamo che immediatamente il presidente del Nucleo di valutazione rimetta il suo mandato e sparisca per sempre. Ove ciò non dovesse accadere, ci aspettiamo che intervenga il rettore destituendolo a divinis dalla carica…”

Navarra tuttavia non dice che la notizia falsa non se l’era inventata Mauro Federico ma questi l’ha ripresa da una testata giornalistica on line registrata al Tribunale e con tanto di direttore (per la cronaca Messinaora.it). E sulla scorta di questa ha fatto un commento sul blog dell’Andu esercitando il diritto di critica.

Aveva l’obbligo Mauro Federico di controllare la fonte? Certo che no. Questo obbligo incombe solo sui giornalisti e non certo ai comuni cittadini. Se per ipotesi, il telegiornale o un giornale (e non un gruppo di amici al bar) danno notizia che un politico è indagato e un cittadino commenta che dovrebbe dimettersi e poi la notizia non è vera può mai essere accusato di diffamazione? A risponderne è il giornalista che ha dato la notizia falsa non il cittadino che l’ha commentata sulla base della presunzione fosse vera e fosse stata controllata dal giornalista. A meno che il cittadino non perseveri nel dare per buona la notizia anche dopo che è stata smentita: cosa che nel caso di specie non è accaduta.

 

Il rettore Navarra continua: “Dopo circa un’ora il dottor Federico modifica leggermente i contenuti della notizia, asserendo che comunque il prof Centorrino sarebbe stato coinvolto nei giorni successivi negli sviluppi dell’inchiesta: considerazione rivelatasi anche in questo caso, assolutamente falsa”.

Mauro Federico, in realtà ha cancellato la notizia dopo 20 minuti (era stata postata alle 8 e 21 è stata cancellata alle 8 e 41). Semmai e contrariamente a quanto afferma ora il rettore, in una nota successiva aveva espresso l’opportunità che “il rettore agisse con tempestività per mettere al riparo l’Istituzione da contraccolpi di immagine che potrebbero derivare dal proseguo delle indagini”. Le indagini sono quelle sulla Formazione che hanno portato arresti il leader del Pd Francantonio Genovese, ovvero di chi aveva voluto Mario Centorrino come assessore alla Formazione del Governo di Raffaele Lombardo.

Il Cus ridotto ad agenzia di lavoro, l’Ispettorato del lavoro boccia l’ateneo. L’inchiesta della Procura

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MESSINA. Il Centro universitario sportivo? A Messina è stato trasformato in «un’agenzia di lavoro per reclutare (senza concorso) e fornire all’Università lavoratori a basso costo». E’ questa la conclusione cui è giunto il locale Ispettorato del Lavoro al termine di un anno di indagini sull’ente figlio del Centro universitario sportivo italiano (Cusi) per legge monopolista dell’attività sportiva universitaria e per questo beneficiario di ingenti finanziamenti da parte del Ministero dell’Istruzione.

I funzionari regionali nella convenzione tra Ateneo e Cus hanno riscontrato un appalto fraudolento di manodopera e hanno inflitto una multa complessiva da 2 milioni di euro al Cus e all’ex commissario Sergio Cama, all’ateneo di Messina e all’ex rettore Franco Tomasello. Gli istruttori sportivi, gli addetti alla segreteria e persino quelli alle pulizie (in tutto 80 lavoratori), li assumeva il Cus con contratti di collaborazione sportiva esentati da tasse e contribuzione previdenziale, ma i lavoratori venivano utilizzati come fossero propri dipendenti subordinati (senza, però, le tutele previste per quest’ultimi), direttamente dall’Università di Messina, che poi rimborsava al Cus il valore degli stipendi: il giochetto, ora sanzionato, è andato avanti per due anni tra il 2010 e il 2012. «Non c’è dubbio che la convenzione lascia travisare una chiara interposizione fittizia di manodopera. I lavoratori sono stati inseriti nell’organizzazione dell’ateneo come veri e propri dipendenti», scrivono gli ispettori nel provvedimento di 51 pagine. Che l’obiettivo della convenzione fosse proprio quello censurato dall’Ispettorato trova conferma nei verbali della seduta di agosto del 2010 in cui il Cda dell’Università la discusse e la votò: «Sarà garantito all’ateneo un rilevante risparmio dovuto al minor costo il personale assunto», disse Cama. «Non verrà neppure pagata l’Iva dovuta nel caso di appalto di servizi», gli fece eco l’allora rettore Tomasello.

Pietro Navarra

La maxi multa è il primo provvedimento di un’inchiesta a largo raggio condotta dalla Procura di Messina sulla gestione dell’associazione sportiva messa in liquidazione nel 2013 a causa di un buco di 5 milioni euro. L’inchiesta del sostituto Antonio Carchietti, che si avvale di 3 consulenti tecnici, vede sotto indagine per falso e truffa ai danni dello Stato i vertici del Cusi nazionale: Leonardo Cojana, deceduto qualche mese fa; del Cus locale: Piero Jaci (presidente per 40 anni, fino agli inizi del 2010) e il successore Cama; e dello stesso ateneo: l’ex rettore Tomasello e il dirigente Carmelo Trommino. Nel mirino degli inquirenti sono finite le rendicontazioni inviate al Ministero per ottenere i contributi della legge 394 del 1977.

Secondo l’ipotesi investigativa, l’ateneo e l’organismo sportivo per ottenere le risorse destinate al «Potenziamento dell’attività sportiva universitaria», attestavano che il Cus gestiva tutti gli impianti sportivi mentre in realtà ciò non accadeva da anni. Nel 2006, infatti, l’ex Magnifico Tomasello consigliato dall’allora prorettore Pietro Navarra, che dal giugno del 2013 indossa l’ermellino, decise di togliere gli impianti al Cus e di gestirli direttamente: con personale, però, come è ora emerso, «svenduto» dallo stesso Cus. Mandato al macero il vecchio Cus e le centinaia di creditori, l’ateneo guidato da Navarra per non perdere i fondi ministeriali ha creato un Cus nuovo di zecca sgravato di tutti i debiti: CusUnime, subito affiliato dal Cusi. L’operazione non ha convinto gli inquirenti che stanno verificando se non sia stata fatta in frode ai creditori.

IL BUCO. All’esame dei tre consulenti del pm anche la gestione allegra dell’ente sportivo e soprattutto i Campionati nazionali universitari, organizzati dal Cus alla vigilia dell’estate del 2012 nonostante i 4 milioni di euro di deficit. La manifestazione, costata 800mila euro, è passata alla storia non tanto per le gesta degli atleti arrivati da tutt’Italia per cimentarsi in 20 discipline sportive, ma per le spese «folli». Dai 15mila euro (per una settimana di lavoro) ai 5 addetti stampa reclutati benché fosse stata ingaggiata un’agenzia di comunicazione costata a sua volta 14mila euro; passando alla cena di inaugurazione da nababbi (30mila euro); per finire alle spese per una serie di appalti per servizi, affidati senza regolare gara a prezzi più alti di quelli di mercato. La kermesse ha aggravato il deficit del Cus. Per coprire i costi della manifestazione l’allora assessore al Turismo del Governo regionale di Raffaele Lombardo, Daniele Tranchida, docente egli stesso dell’ateneo, aveva promesso dapprima 500mila euro; poi, in extremis, il giorno prima dell’inizio della manifestazione, aveva firmato un provvedimento da 150mila euro di risorse a disposizione del suo ufficio per il sostegno alle iniziative turistiche. Dalla regione Sicilia, però, non è arrivato neanche un euro.

di Michele Schinella per il Corriere.it, 25 maggio 2014

Medicina, laurea facile in Albania. Il rettore di Tor Vergata dalle pagine di corriere.it annuncia lo stop.

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Giuseppe-Novelli

ROMA. Per gli oltre 62 mila aspiranti medici che affronteranno il test d’ingresso all’Università l’8 aprile, si avvicina il giorno della verità e si sfruttano gli ultimi giorni per prepararsi alla temutissima prova. Ma  per chi accarezza l’idea  di aggirare il numero chiuso iscrivendosi all’ormai famosa università «Nostra Signora del Buon Consiglio» di Tirana – che ha docenti e rettore italiani e lo stesso programma di studio dell’Università di Roma di «Tor Vergata» – il «piano B» potrebbe presto essere sbarrato. Giuseppe Novelli, rettore dell’ateneo romano  sta studiando, insieme ai vertici dell’Università di Tirana, nuove regole per l’ateneo albanese, che coinvolgeranno studenti e docenti. «A Tirana non voglio una Tor Vergata di Serie B, nè scorciatoie per aspiranti camici bianchi. Ecco perché stiamo stilando un nuovo protocollo d’intesa», ha detto.

La sentenza

Una recente sentenza del Tar del Lazio ha stabilito che gli studenti iscritti all’università albanese possono richiedere, facendone apposita domanda, di continuare i propri studi a una università italiana senza sostenere il test. I giudici hanno stabilito che trattandosi di fatto di un titolo di studio anche italiano, dopo la loro sentenza basterà rimanere in Albania solo un anno: il tempo di sostenere qualche esame e di chiedere di tornare in Italia. Fino a quel momento, l’alternativa era l’intero corso di studi a Tirana e poi il riconoscimento. Ma Novelli non ci sta. Il caso su cui si è pronunciato il Tar – una studentessa che aveva chiesto il trasferimento all’Università di Roma Tor Vergata senza aver mai sostenuto il test d’ingresso – è un evidente espediente per aggirare il numero chiuso, secondo il rettore. Che ha fatto a sua volta ricorso al Consiglio di Stato. Anche perché – ha dichiarato a un’agenzia di stampa –  l’esame di accesso a Tirana è molto diverso dal nostro».

Accordi da rivedere

Novelli afferma di aver «ereditato» l’accordo con Tirana. E di avere, in base a tale accordo, «accolto quest’anno una ventina di studenti dall’Albania, che dopo aver superato il concorso nazionale sono stati spalmati tra il secondo e il quarto anno». L’Università Cattolica NSBC, nata dalla convenzione di tre Atenei italiani, la Statale di Milano, Roma Tor Vergata e l’Università di Bari, ha programmi di studio, libri, docenti e lingua di insegnamento analoghi a quelli di Tor Vergata. «Ma per altri versi restano molte differenze. Ecco perché, in quanto nuovo rettore, mi sono impegnato per un nuovo protocollo d’intesa che modifichi per prima cosa le modalità d’accesso». Test su standard europei, con quiz in inglese preparati in Gran Bretagna. Docenti contrattualizzati in base a un meccanismo chiaro di reclutamento. Tirocinio professionalizzante da svolgere in ospedali, laboratori e strutture di livello. Queste le linee guida cui dovrebbe ispirarsi l’accordo.

30 dottori l’anno

All’ateneo albanese (che ha costi abbastanza elevati: 10mila euro per l’iscrizione, più le spese di soggiorno) si diplomano 20-30 studenti l’anno, ricorda Novelli. Forse non un numero che possa mutare gli equilibri della graduatoria di ammessi, che saranno 7.918, in base al decreto del nuovo ministro dell’Istruzione Giannini.  Ma sottolinea il rettore, «non può trattarsi di medici, odontoiatri e operatori sanitari meno preparati dei nostri».

di Antonella De Gregorio, corriere.it

Diecimila euro e un anno a Tirana bastano per diventare medici in Italia. Ecco come aggirare il test

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Università di Tirana

ROMA. Il Paese è straniero e i costi proibitivi per chi non ha la fortuna di essere nato in una famiglia ricca, ma i programmi di studio, i libri, i docenti e la lingua di insegnamento sono identici alla Facoltà di Medicina dell’Università Tor Vergata di Roma. Identici a tal punto che secondo una sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio pubblicata agli inizi di febbraio, lo studente iscritto alla facoltà di Medicina dell’Università Cattolica «Nostra Signora del Buon Consiglio» di Tirana che lo domanda ha diritto di essere trasferito dall’ateneo albanese in uno italiano, benché non abbia mai superato il test di ammissione a Medicina.

I 62mila aspiranti medici che il prossimo 8 aprile non riusciranno ad entrare negli 7 .918 posti disponibili secondo le direttive del Ministero dell’Università e della ricerca per l’anno accademico 2014/2015  per coronare il loro sogno aggirando il numero chiuso avranno un’alternativa: attraversare i confini con la vicina Albania, sobbarcarsi i 10mila euro di iscrizione all’anno e i disagi anche economici degli studi all’estero.

In realtà, questo succedeva già. Ma finora uno studente italiano  iscritto a Tirana doveva ultimare gli studi in Albania. L’Università, nata da una convenzione con la Statale di Milano, la Seconda Università di Roma e l’Università di Bari, rilascia titoli che hanno valore legale anche in Italia, i docenti sono in gran parte italiani così come il rettore, e provengono dalle tre università che l’hanno fondata. E per questo i giudici ritengono che trattandosi di fatto di un titolo di studio anche italiano, dopo la loro sentenza  basterà rimanere in Albania solo un anno: il tempo di sostenere qualche esame e di chiedere di tornare in Italia.

La pronuncia ha creato molto imbarazzo al ministero dell’Istruzione. E minaccia di arroventare un tema già caldo alla vigilia delle prove selettive. I giudici del Tar laziale hanno in generale fissato un principio esplosivo per il sistema fondato sul numero chiuso: «L’ordinamento interno non prevede, almeno allo stato attuale, disposizioni tali da precludere agli studenti comunitari il trasferimento ad anni successivi al primo presso Atenei italiani, seppur a “numero chiuso” senza necessità di espletare un test preselettivo». Immediato è stato il ricorso al Consiglio di Stato.  L’esodo di centinaia  di studenti a Tirana raccontato dai media nazionali aveva suscitato molte polemiche e contestazioni. Michele Bonetti e Santi Delia, storici legali dell’Udu (Unione degli Universitari) autori del ricorso (al momento) vincente, commentano: «E’ evidente la violazione della parità tra studenti che si cimentano nel test in Italia o studiano in altri atenei comunitari e coloro che si recano in Albania, così come la discriminazione tra cittadini abbienti e non. Questa sentenza suona come l’ennesima bocciatura del numero chiuso».

La questione diventa anche politica e scatena una polemica da parte del centrodestra. Nel dicembre scorso un gruppo di parlamentari di centro destra guidati alla Camera da Vincenzo Garofalo e al Senato da Vincenzo Marinello in due distinte interrogazioni al Ministro dell’Università hanno puntato l’indice sul trattamento di favore riservato all’Ateneo albanese, sulla cui importanza «per il sostegno e la diffusione della cultura italiana» si è espresso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso della visita di Stato del 5 marzo scorso. «Perché il riconoscimento in Italia della laurea in Medicina rilasciata dall’Università di Tirana ha una procedura semplificata? Che garanzie ha lo Stato italiano sulla formazione dei medici? Come e da chi sono pagati i docenti e quali sono gli oneri per le casse pubbliche italiane?», hanno domandato gli onorevoli. Alle due interrogazioni il Ministero nel frattempo passato dalla guida di Maria Chiara Carrozza a quella di Stefania Giannini non ha ancora dato risposta.

 

di Michele Schinella per corriere.it, 25 marzo 2014